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Turi protagonista del calendario dell’Associazione Cavalcata di Sant’Oronzo

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Grazie al contributo di Stefano de Carolis, l’almanacco raccoglie quattro testimonianze della devozione della comunità turese al proprio Santo Patrono

Nella serata di ieri, 17 dicembre, il Palazzo di Città di Ostuni ha ospitato la conferenza stampa di presentazione del calendario realizzato dall’Associazione Cavalcata di Sant’Oronzo, presieduta da Agostino Buongiorno, su iniziativa del prof. Dino Ciccarese e con il patrocinio del Comune di Ostuni.

L’edizione 2022 del pregevole almanacco, che racconta le tracce del “culto oronziano” nel Salento, a cura del teologo Andrea Pino, si distingue per lo spazio di rilievo riservato al Comune di Turi. Un traguardo raggiunto grazie alla collaborazione di Stefano de Carolis, invitato a far parte del team di storici che ha curato il calendario, con il compito di documentare la devozione della comunità turese al proprio Santo Patrono.

 

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Da sinistra: Stefano de Carolis; il presidente dell’Associazione Cavalcata di Sant’Oronzo, Agostino Buongiorno; la prof.ssa Enza Aurisicchio; il sindaco di Ostuni, Guglielmo Cavallo; Andrea Pino.

 

«Con grande orgoglio – commenta de Carolis – l’Associazione ostunese ha deciso di dedicare la copertina del calendario agli emigrati turesi, i quali ebbero il merito di mantenere vivo il “culto oronziano” in America. Lo scatto selezionato risale agli anni ’40 e immortala i nostri concittadini mentre festeggiano Sant’Oronzo nei pressi della “St. Mary’s Church” di Windsor Locks, in Connecticut».

«All’inizio del 1900 – spiega – in molti lasciarono Turi per inseguire il “sogno americano”, creando comunità più o meno grandi nei vari stati degli USA. Una delle più nutrite “colonie” era appunto quella nel Connecticut: qui troviamo i fratelli Colapietro che, secondo le fonti storiografiche, introdussero la venerazione di Sant’Oronzo in America, aderendo alle “Saint Oronzo Societies”, vere e proprie confraternite che, il 26 agosto, organizzavano i festeggiamenti in onore di Sant’Oronzo, imitando fedelmente la festa patronale che si celebrava a Turi, con tanto di luminarie, banda e stand di prodotti tipici».

«Nella foto che apre l’almanacco – annota de Carolis – si nota una statua del nostro Patrono, commissionata intorno agli anni ‘20 dagli stessi emigrati turesi. Con il passare del tempo, la venerazione di Sant’Oronzo si affievolisce fino a scomparire quasi del tutto intorno agli anni ’70: è questo il periodo in cui il parroco della “St. Mary’s Church” scrive a don Giovanni Cipriani, concordando la restituzione della statua, custodita ancora oggi da don Giuseppe Dimaggio nella Parrocchia “Maria SS. Ausiliatrice».

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Il culto di Sant’Oronzo in quattro immagini

Oltre all’onore della copertina, all’interno del calendario sono pubblicate quattro immagini, con relative glosse, che de Carolis ha selezionato per testimoniare il “culto oronziano” a Turi. La prima raffigura la Grotta di Sant’Oronzo con i suoi «due altari in pietra che si affacciano sul rinomato pavimento di 238 maioliche, opera di esperti ceramisti laertini».

A seguire, spazio alla cassettina reliquiario, ritrovata nella Chiesa di Sant’Anselmo a Nin, che conserva la reliquia della tibia del Santo. Il manufatto, frutto dell’alta oreficeria zaratina, è stato accolto e venerato a Turi in occasione dell’Anno Giubilare Oronziano.

La terza immagine presenta il reliquiario realizzato dall’artista Daniela Angelillo – fortemente voluto dall’arciprete don Giovanni Amodio ed esposto in Chiesa Madre – in cui è incastonato un frammento della sacra reliquia donato dall’Arcidiocesi di Zara ai fedeli turesi.

Il quarto scatto propone l’ex voto “per grazia ricevuta”, custodito all’interno dell’Ufficio di Gabinetto del sindaco: «Si tratta di un olio su tela, di pittore ignoto, risalente all’inizio del 1700. «La preziosa opera d’arte devozionale – spiega de Carolis – ritrae un gentiluomo malato, seduto su un letto a baldacchino, che con la mano sinistra indica una ferita sulla gamba, mentre con l’altra mano mostra agli astanti un frammento di stalattite, verosimilmente prelevata dalla grotta di Sant’Oronzo. L’ipogeo da secoli era ritenuto luogo santo e miracoloso, dove i pellegrini si recavano per pregare e chiedere l’intercessione del Santo. Nel dipinto, in alto fra le nubi, si staglia la figura di Sant’Oronzo, il quale con l’indice della mano destra indica l’avvenuto miracolo, mentre con l’altra tiene il pastorale».

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Il mezzo busto leccese di Sant’Oronzo

Il mezzo busto realizzato da Domenico Gigante (1961)

Ultima curiosità: scorrendo le pagine dell’almanacco, si trova il mezzo busto d’argento di Sant’Oronzo, conservato presso il Museo Diocesano di Lecce. Anche in questo caso si tratta di un pregevole ex voto che de Carolis è riuscito a mettere in correlazione con la peste di Terra di Bari scoppiata a Conversano nel 1690-92.

«Inizialmente – evidenzia de Carolis – era stato indicato il 1761 come anno di realizzazione dell’opera, collegandola al terremoto del 1743.
Nel marzo 2020, ho appurato che la statua va retrodatata al 1691.
Analizzando le fonti documentali, infatti, si apprende che verso la fine del 1690 un famoso argentiere e orafo leccese, tale Domenico Gigante, maestro di pregio operante a Napoli, volle realizzare e donare il mezzo busto di Sant’Oronzo (in argento a sbalzo e pietre preziose) a devozione e in onore del Santo Patrono, primo Vescovo di Lecce, che nel 1656, “annus horribilis”, grazie alla sua intercessione aveva salvato per la seconda volta l’intero popolo salentino dal contagio di peste bubbonica».

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