Paolo Valerio e la manna caduta dal cielo
L’ensemble barocco “Giovanni Maria Sabino” inaugura a Taranto la XVII edizione del Giovanni Paisiello Festival
Siamo nel suggestivo e controverso centro storico di Taranto, più precisamente nel Santuario dedicato alla Madonna della Salute, gioiello architettonico gesuita, edificato tra il 1686 e il 1729. È il crepuscolo dello scorso 6 settembre, particolarmente umido come diversamente non potrebbe essere nella città marittima fondata, nell’VIII secolo a.C., dai guerrieri spartani.
Dopo due ore di concerto, scivolate via al cospetto di un soffitto stellato color turchese, Paolo Valerio, direttore dell’ensemble barocco “Giovanni Maria Sabino”, imprime nell’aria il gesto della “presa” che libera l’interminabile applauso dei presenti, felici di dover mettere da parte per qualche minuto i propri ventagli: madido di sudore e con in volto l’espressione soddisfatta di un maratoneta che ha appena tagliato il traguardo, il direttore turese, assieme al suo ensemble di raffinati musicisti, può finalmente abbandonare la trance convulsa obbligata dal suo ruolo e rilassarsi.
Entrando dunque nel merito squisitamente musicale dell’evento in questione, quella del 6 settembre è stata la serata di apertura del “Giovanni Paisiello Festival”, giunto quest’anno alla sua XVII edizione: “Musicologia applicata, sensibilità alla restituzione dell’originaria prassi esecutiva e investimento sulle giovani generazioni di cantanti e strumentisti – chiosa il direttore artistico Lorenzo Mattei – restano la ragion d’essere di un piccolo ma prezioso festival, capace di compattare le energie musicali di una città, Taranto, oggi quanto mai gratificata d’una particolare attenzione a livello nazionale”.
La rassegna dedicata al compositore tarantino si pregia anche quest’anno di offrire l’ascolto di due opere di notevole interesse per novità e rarità: la prima delle due, ovvero la “Cantata per la solennità del SS. Corpo di Cristo”, è stata eseguita proprio dall’ensemble di Paolo Valerio, tra l’altro presidente del comitato permanente intitolato a Giovanni Maria Sabino, compositore nato a Turi il 30 giugno 1588. Sabino e Paisiello sono stati due “big” di quella scuola musicale napoletana che, a partire dal XVIII secolo, seppe imporsi nel panorama europeo in virtù della qualità delle sue opere.
“Il turese Sabino – racconta il maestro Valerio – è stato il primo direttore in assoluto del Conservatorio di Napoli “Santa Maria della pietà dei turchini”; agli inizi dell’ ‘800, il conservatorio cambia nome e sede, spostandosi a San Pietro a Majella: la persona che permise ed organizzò questo passaggio fu proprio Paisiello, all’epoca, come in precedenza Sabino, direttore del conservatorio napoletano.”.
La “Cantata per la solennità del SS. Corpo di Cristo” riprodotta da Valerio e dal suo ensemble, nota anche come “Mosè in Egitto”, fu composta da Paisiello sul finire del XVIII secolo e si inserisce in una tradizione che aveva visto, per tutto il Settecento, i maggiori musicisti della scuola musicale napoletana impegnati nel produrre delle cantate a tema sacro in occasione della solennità del Corpus Domini: queste venivano poi eseguite su delle macchine lignee chiamate “catafalchi”, erette per l’occasione in una delle principali piazze di Napoli; stando infatti ad un manoscritto conservato nella Biblioteca del Conservatorio di musica “S. Pietro a Majella” di Napoli, si riscontra che il “Mosè in Egitto” venne sicuramente eseguito nella città partenopea durante il Corpus Domini del 29 maggio 1823.
Ad ogni modo, come d’altronde tiene a rimarcare lo stesso Paolo Valerio, la cantata meriterebbe un titolo ben più idoneo, ovvero “Mosè fuori dall’Egitto”: difatti essa racconta il momento in cui il popolo ebreo, liberato con braccio potente dalla schiavitù in Egitto, si inoltra nel deserto del Sinai, dopo aver attraversato il Mar Rosso. Qui gli Ebrei, stando a quanto riportato nel Libro dell’Esodo, ovvero il secondo volume della Bibbia cristiana e del Pentateuco ebraico, vagheranno per quarant’anni, soffrendo la fame e la sete: per questo motivo, a più riprese, il popolo chiederà a Mosè qualcosa da bere e da mangiare.
L’eroe cristiano, reinterpretato nel dramma della cantata e forte della propria fede in Dio, rassicura e promette ai suoi fratelli e alle sue sorelle “acqua che sgorgherà dalla roccia e pane che scenderà dal Cielo”. All’alba del mattino successivo il miracolo è difatti compiuto: Mosè e gli Ebrei trovano, caduta dal cielo sull’arida sabbia del deserto, la Manna; sarà questo il cibo che li sazierà fino al raggiungimento della terra promessa; cibo che inoltre, da un punto di vista esegetico, preannuncia il sacrificio eucaristico di Cristo che, tredici secoli più tardi, sarebbe poi sceso sulla terra per donarsi come vittima pasquale nel tentativo di salvare l’umanità intera e riconciliarla una volta per sempre con il Dio dell’Antica promessa.
“Nella “Cantata per la solennità del SS. Corpo di Cristo”, Paisiello fa sfoggio delle sue capacità di compositore dai virtuosismi estremi, con i cantanti messi a dura prova nel riuscire ad eseguire lunghi e veloci “passaggi” – questo il commento sull’opera dello stesso Paolo Valerio che, orgogliosamente, ha voluto inoltre rimarcare la fortuna della tradizione musicale napoletana, in grado di stregare persino “un certo” Mozart che in vita ebbe modo di riconoscere la maestria dei suoi colleghi partenopei, imitandone le tecniche compositive e canore: tra questi va citato Paisiello, senza dimenticare ovviamente Sabino, orgoglio culturale turese, la cui memoria sopravvive nel tempo grazie allo stesso Valerio che, con umiltà e passione, ne ripercorre le tracce, rendendole visibili, ascoltabili a distanza di secoli.
La collettività locale non può dunque che “benedire” il suo sudore, ancor prima che fisico, artistico-culturale, versato nei concerti e nel procedere in una ricerca portata avanti da quindici anni, preziosa come la manna di cui prima.
LEONARDO FLORIO