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Sciopero della fame per i diritti dei migranti

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Dall’incontro tra diversi attivisti, tra cui Donata Columbro e Claudio Riccio, è nata una piccola iniziativa che ha visto partecipare più di mille e cinquecento persone di diverse nazionalità, su tutto il territorio nazionale e anche altri luoghi del mondo. Si tratta di uno sciopero della fame di un giorno per manifestare il proprio dissenso rispetto alle politiche del governo nazionale e dei governi europei su migrazione e diritti dei migranti, in solidarietà ai migranti a bordo della Sea Watch e nei lager libici e in memoria delle persone che hanno perso la vita tentando di attraversare il Mediteraneo.

«Abbiamo scelto il 28 gennaio, in continuità con la Giornata della Memoria, per ricordarci che la morte e la miseria umana sono ancora qui, a pochi chilometri da noi, e non possiamo più accettarlo» – così dal sito cipassalafame.it.

L’iniziativa prevedeva diverse azioni: saltare il pranzo; donare i soldi raccolti dal non-consumo dei pasti e donarli ad una ONG che opera nel Mediterraneo; sedersi con i colleghi a pausa pranzo e parlare delle ragioni dello sciopero; firmare la petizione Iniziativa dei Cittadini Europei “Welcoming Europe”; organizzare una “cena a digiuno” coinvolgendo vicini di casa, amici e familiari; postare sui social network un piatto vuoto.

A Turi, due abitanti, un ragazzo e una ragazza, hanno partecipato a questo sciopero e ci raccontano la loro esperienza.

 

«Ho fatto lo sciopero della fame – ci spiega C. – perché non lo avevo mai fatto e volevo provare questa esperienza di contestazione e poi perché speravo non sarebbe stato come farsi la foto con la maglietta rossa. Il problema è che è stato esattamente uguale, con la sola differenza che io ho avuto fame per tutto il giorno. Almeno ho capito cosa prova una persona che un giorno mangia e non sa quanto tempo passerà tra un pasto e l’altro.

Un’iniziativa del genere, però, oggi è fattibile solo sui social, perché non abbiamo idea di come fare senza. Più che altro non sappiamo più comunicare senza social network e quindi una manifestazione che si fa a distanza, sul piano nazionale o internazionale, non può avere mai successo se tu la progetti per andare su Facebook o Instagram. Con questo non intendo dire che dovremmo tornare al ciclostile e al volantino come 30 anni fa, ma che semplicemente occorre dare un senso migliore ai social, se devono essere il principale strumento di comunicazione fra persone lontane.

Probabilmente nel 1997, Luther Blisset avrebbe organizzato un “attacco psichico” in 4 città italiane solo parlando al telefono e diffondendo volantini, non essendoci i social network ed essendo internet stesso molto rudimentale. Oggi abbiamo Facebook, Twitter e Instagram, abbiamo i forum, le mailing list, le chat, Youtube e altre mille cose e per questo penso che possiamo essere molto più creativi e non fermarci a postare una foto a un piatto vuoto o a una maglietta rossa sul nostro profilo social, se vogliamo che questo sia lo strumento. Se non lo vogliamo, beh dobbiamo capire come erano efficaci certi contenuti in un mondo senza Facebook e riprovare a metterli in atto. Io personalmente non disdegno i social, penso che possano essere usati di gran lunga meglio, perché poi un’iniziativa bella e di sacrificio come quella di lunedì non ottiene la forza che ha in quanto tale, perché parliamo di 1500 persone che digiunano per i diritti umani, non è una cosa da poco».

 

A. invece ci parla di cosa ha colto della situazione che stiamo vivendo: «Una delle cose che ho capito è che l’Europa così come agisce è in una farsa. Mi chiedo: é possibile che 47 persone non possano essere ridistribuite in tutti i paesi europei? Per non parlare dell’Italia che non si assume la responsabilità di accogliere e del ruolo che ha nel Mediterraneo, oltre che quello che ha in Europa. Ma poi, mentre si trattengono 47 persone, ne sono sbarcate altre 155. Quindi il problema è tutto mediatico. È, appunto, una farsa. Non vogliono accogliere perché temono qualcosa, cosa temano non lo so ancora, ma il ragionamento che la destra sta facendo, almeno una destra di cui non so trovare il nome, è quello che dice: “la sinistra vuole portare tutta l’Africa in Europa”. Ma così non è, perché non tutta l’Africa vuole venire in Europa. Poi non c’è ragione di credere che tutti vogliono venire, per non parlare del fatto che stiamo ancora depredando l’Africa e che, se volessimo veramente aiutarli a casa loro, condivideremmo con loro le nostre conoscenze e loro con noi i loro saperi e la loro cultura».

Antonio Zita

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