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Attualità

A fianco dei docenti per una “Buona Scuola”

Il Dirigente Scolastico, prof. Andrea Roncone

Ha creato una mobilitazione nazionale, ha determinato il fermo totale della maggior parte delle scuole italiane, ha portato in piazza l’intero comparto docente, genitori e studenti. Parliamo del DDL sulla “Buona Scuola” che il governo Renzi ha presentato e che è in via di definizione.
Ma cosa ha determinato questa grande manifestazione e cosa ha portato la classe docente a scioperare? Cosa pensano i dirigenti scolastici della stessa proposta di riforma?
Tanti i punti che hanno scatenato lo sciopero, primo fra tutti, l’affidamento alla figura del dirigente scolastico, della possibilità di valutare i “suoi” docenti, di definire l’assegnazione di meriti o bonus, di assegnare ad uno, piuttosto che ad un altro, un impiego nella scuola, superando le classiche graduatorie fino ad ora adoperate e attingendo da un albo a cui i docenti sono iscritti.
Sono questi solo alcuni punti della grande manovra sulla scuola su cui il Governo Renzi sta lavorando, determinando, come è anche accaduto in altre situazioni, in anni precedenti e con proposte di riforma scolastica di altri governi, scioperi e striscioni contro l’iniziativa.
Abbiamo voluto parlare della “Buona Scuola” con il neo dirigente scolastico dell’Ites “Pertini – Montale” di Turi, il prof. Andrea Roncone. I nostri più attenti lettori ricorderanno che, all’avvio della sua dirigenza nell’Istituto, il prof. Roncone ci aveva dato l’impressione – non sbagliando – di un’impostazione aziendale sulla gestione della scuola, un’immagine non distante dall’idea che la riforma renziana stava per presentare.
Lo abbiamo interrogato sugli aspetti predominanti del Decreto, quelli più scottanti e dibattuti e, come neo presidente provinciale dell’Associazione Nazionale Presidi, ha chiarito la sua e la posizione dell’intera Associazione, la più rappresentativa della categoria nell’intera nazione.
“Riteniamo che il Ddl presentato dal governo Renzia sia prevalentemente positivo, con alcuni aspetti negativi” – esordisce il dirigente Roncone. Inizia così a inquadrare la situazione della scuola italiana, rapportando non solo la figura dei docenti, rispetto ai colleghi europei, ma la stessa immagine che la scuola ha nell’intera area industrializzata del vecchio Continente.
“Nella scuola italiana esistono diverse anomalie, prima fra tutte la mancanza di un sistema di valutazione dei docenti, nonostante già altri governi, si pensi alla Moratti, o a Berlinguer, abbiano provato ad introdurlo”. “Siamo l’unico Paese europeo a non averlo, impedendo così un sistema di crescita o di carriera per la figura di docente utile per la sua professione – se questi lo desidera – e per la stessa scuola”. A noi – prosegue con fermezza il professor Roncone – “non interessa chi debba valutarli, purché ci sia, perché diverrebbe lo strumento per premiare e valorizzare il docente che lavora bene”.
Porta così a confronto la situazione di stasi che la condizione di docente vive in Italia, senza la possibilità di una crescita o un avanzamento di carriera utile a valorizzare il suo operato e le sue azioni. Rapporta in tal senso l’arbitrio di ogni persona o famiglia a scegliere lo specialista a cui fare riferimento, o il diritto di usufruire di servizi pubblici senza alcuna dubbio o interrogativo sulla qualità, che dovrebbe essere già insita in un sistema. “Lo Stato italiano ha il dovere di valutare i suoi docenti, perché il loro ruolo è alla base della formazione e della crescita dei futuri cittadini e come genitore devo avere la certezza e la sicurezza che mio figlio abbia una formazione che sia la migliore e non che sia nelle mani di un docente ‘stanco’ della sua professione”. Ma non sono solo i docenti che andrebbero valutati. “Sono anni – rincara la dose – che ANP chiede la valutazione dei dirigenti, in base al loro lavoro, agli obiettivi che vengono raggiungi, ai risultati della scuola – ripete – Perché un dirigente che non fa nulla deve guadagnare ugualmente rispetto ad uno che si impegna per far crescere la sua scuola? Dove sta la meritocrazia in tutto questo?”.
Passa così a commentare la sua fortuna di aver incontrato docenti che dimostrano grande professionalità e passione per il loro lavoro. “Perché non posso gratificarli? – si chiede – Perché non posso dare loro un merito per il lavoro compiuto? Perché devo accontentarli con delle briciole ed in maniera ugualitaria?” “È una montatura dei sindacati quella che si instaurerebbe uno scontro o una competizione tra docenti, perché piuttosto sarebbe positivo per la crescita del docente e della stessa scuola” – aggiunge Roncone.
Rimanere “il fanalino di coda europea nel settore scolastico? Restare agli ultimi posti rispetto a alla scuola europea? Perché non provare a introdurre delle innovazioni?” – propone il dirigente.
“Non siamo tutti uguali; non lavoriamo tutti allo stesso modo; pertanto è opportuno che il Governo dia gli strumenti per valorizzare e dare maggiore merito a chi lavora bene”.
Ma non è solo questo l’elemento conteso del decreto. Importante è anche la cancellazione delle graduatorie e la formazione di un albo di docenti da cui i dirigenti possono attingere per creare la loro “squadra di lavoro”. Un’immagine forse un po’ brutale, anche questa di matrice aziendale, ma che porta, ancora una volta, ad inquadrare la scuola come una realtà dalla quale “sfornare” dei prodotti competitivi e preparati. “Perchè per altri sistemi lavorativi possiamo avere la possibilità di scegliere con chi lavorare e di chi avere bisogno, mentre per una scuola non possiamo applicare la stessa relazione? Perché devo accogliere un insegnante, magari senza più la passione per la sua professione e persino incapace di farlo, piuttosto che permettere ad una persona meritevole, che ancora non ha avuto la possibilità, di farlo? E perché non devo accogliere e anche pagare di più un docente che dimostra di saper lavorare, o permettere ad un insegnate di essere conteso dalla scuola che lo paga di più?”. “Fino a ieri i docenti si lamentavano del basso stipendio che portavano a casa, rispetto ai colleghi europei. Oggi che gli vien data una possibilità, la contrastano” – commenta amaramente il preside Roncone. “Ma non è colpa dei docenti – chiarisce – piuttosto dei loro sindacati, dell’intero comparto, che fermo agli anni ’70/’80 vogliono fare i propri interessi, a discapito dei suoi iscritti, di una reale possibilità di cambiamento della scuola e degli studenti”.
Non si raccontano stranezze se si nominano alcuni insegnati “stanchi” della loro professione; incapaci di fornire curiosità e preparazione agli studenti. “Formazione, crescita, progetti, valutazione sono alla base di un progetto educativo. Ecco perché noi dirigenti scolastici siamo dalla parte dei docenti: perché valutarli significa dare loro merito, significa premiarli, significa dare la possibilità di una maggiore gratificazione” che potrebbe essere pure alla base di una buona competizione. “Ma nessuno vorrà punirli. Chi sia a valutarli, non ci interessa. La competizione è una falsità montata dai sindacalisti. Se una persona vale, va premiata!”
Uno degli aspetti negativi risiede nella posizione dei dirigenti: “abbiamo responsabilità che a volte non ci competono. Avevamo più volte chiesto che venissero individuate delle figure professionali a cui le scuole di determinati distretti potessero usufruire per le necessità scolastiche, così da poterci noi concentrare sulle attività didattiche – educative della scuola” – spiega Roncone, portando ad esempio l’incapacità di un dirigente di comprendere lo stato di una struttura scolastica e la spesa che la scuola autonomamente deve addossarsi per avere consulenze esterne. “Alleggerire anche l’aspetto burocratico, che appesantisce il lavoro di responsabilità di un dirigente: si parla di autonomia del dirigente, ma questo contrasta con i ruoli degli altri organi scolastici a cui noi siamo per legge tenuti a far riferimento”.
A seguito dello sciopero, “non sappiamo cosa accadrà – rimarca infine il professor Roncone – ma i peggiori ostacoli alla crescita dei docenti, sono i loro sindacati!”.
“Perché perpetrare il malessere della scuola italiana? Perché perpetrare con lo stato di malessere degli insegnanti?”.

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