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Politica

Un congresso poco Risplendente

Nicola Amoruso

È impressionante il tempismo attraverso cui gli effetti della politica nazionale si abbattono su quella locale. A Roma, nel Partito Democratico si sta consumando un dramma, un collasso di mastodontica portata, tale da evocare la Svolta della Bolognina del 1991. Ripenso a Occhetto, travolto da quella crisi epocale, che nell’agosto 2014, ancora rintanato a leccarsi le ferite di quanto accadde ventitre anni prima, si fece menagramo e perfino minaccioso: “Occhio Renzi, farai la mia fine!”. E invece quella sorte lì sta toccando proprio a D’Alema e a Fitto.

Renzi in realtà è la reincarnazione di un’epoca post-ideologica, i cui effetti sono evidenti tanto a Roma, quanto a Turi. E mentre Emiliano si prepara a completare il puzzle del renzismo in salsa pugliese post-vendoliana, la Svolta della Bolognina è un film che si ripete ancora nel 2015. Che differenza c’è allora tra un Fitto e un D’Alema? Divengono entrambi simulacri di un passato abbattuto dalla post-modernità, accomunati dallo stesso destino e dagli errori che ci trasciniamo con fare recidivo dalla Seconda Repubblica, ormai al tramonto.

Risplendente risuona come un’eco lontana, inarrivabile e indecifrabile per le nuove generazioni. Il congresso del Partito Democratico di Turi, celebrato nel fine settimana scorso, di riflesso rispetto a quanto accade in queste ore nella capitale dell’Italicum, è un termometro che segna il dramma della mancata presa di coscienza di questa realtà. Chi ha preteso di suddividere ancora la società per classi sociali, invece che per ordini di precariato, aggregando e di conseguenza escludendo, non ha saputo offrire una piattaforma ideologica alle nuove voci soffocate e derise, ai precari e ai flessibili: per Hollande i poveri di Francia sono sdendati senza riso e speranza; per loro non restano in dispensa neppure le brioches di Maria Antonietta!

La carica di presidente onorario di Risplendente è come l’ultimo dei capricci concessi alla “monarchia”, come un senatore a vita sordo e cieco davanti al mondo che fabbrica precariato, che cambia e rivendica nuovi diritti. Un mago Merlino ormai rintanato nel suo silenzio di un bosco immaginario, già depredato e ridotto in cenere a causa delle sue stesse alchimie. Il “debito” di una società sbagliata sta gravando tutto sulle nuove generazioni.

“Ringraziasse il Signore che abbiamo votato noi per Emiliano – rivendica il giovane Nicola Amoruso –perché con i soli voti loro, avrebbero perso come fanno sempre”. Amoruso ci mostra (vedi foto) i numerosi voti che ha portato alle urne delle scorse primarie. “Dopo quel voto – ci svela il giovane esponente dei moderati – Emiliano ci ha pure ringraziato. Bene, Risplendente non è contento? E chi se ne frega!”.

In queste confessioni si misura la cifra del fallimento della vecchia e immarcescibile classe politica. È la cifra dello scontro generazionale in atto, che raggiunto l’acme e che vive il suo transito fisiologico, il ricambio che tutti ci auspicavamo già al tramonto del berlusconismo.

Perché una giovane consigliera come Arianna Gasparro, fino a prova contraria, al momento unica esponente che rappresenta il Pd in seno al consiglio comunale, e alla maggioranza, dovrebbe costituire un pericolo per il partito? Perché dovrebbe chiarire la sua posizione? O meglio, il suo essere presente in un tempo passato? In una società tenuta a freno dalla gerontocrazia.  

Penso che a quelli come Risplendente oggi si debba guardare con tanta compassione, come si conviene a un nonno davanti al camino, intento a snocciolare ricordi e rancori. Un Risplendente di oggi rivendica il voto di sinistra alle primarie, eppure ha scritto e accettato le regole del gioco di queste primarie. Eppure quei voti, quando conviene non fanno così ribrezzo. Per non parlare dei nominati al Parlamento, che hanno accettato quelle stesse regole che oggi contestano e che si ostinano a non cambiare. Che esempio e quale credibilità potranno reclamare i vecchi saggi alle nuove generazioni?

Potremmo ragionare ancora riportando esempi di vita pratica. Lo stesso progetto editoriale che caparbiamente portiamo avanti da quasi dieci anni, in alcuni casi si è dovuto arrendere davanti alle ottusità e al parassitismo di vecchie guardie sempre sulle barricate, in lotta contro un mondo che non ci appartiene, in guerra senza lasciare spazio e respiro a nulla. Ricordo che a Rutigliano, tempo fa furono distrutti i sogni imprenditoriali di giovani giornalisti della nostra testata, ridotti in frantumi da chi, arroccato su se stesso, difende da decenni il proprio status, solo il proprio ego, eppure senza aver raccolto un solo frutto che possa ricondursi al proprio sudato e meritato lavoro. La cultura d’impresa inciampa davanti a tali ostacoli, nel caso di Rutigliano, una realtà economica è stata devastata dal parassitismo e dall’ignoranza. È questo lo scontro generazionale che fa male ai giovani, che distrugge i sogni e uccide ogni speranza.

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