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“Stanno asfaltando le strade. Si vota per caso?” Sì

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Partendo da una delle più qualunquiste ed azzeccate domande retoriche che la gente si pone in periodo pre elezioni comunali, è nata una costruttiva e pacata discussione, su uno dei tanti gruppi creati su Facebook per pubblicizzare la candidatura di un consigliere comunale, incentrata sulla ricerca del criterio più giusto per scegliere la persona a cui concedere la propria preferenza.

Un trentenne asseriva di essere “pronto ad andare oltre gli schemi di un dirotto colore politico, ormai sbiadito da una naturale crisi di valori” per preferire l’amicizia di un uomo storicamente schierato agli antipodi del suo partito, rendendogli grata la meritocrazia che merita. Qualcuno lo ha ripreso scrivendo che il voto per amicizia sia il modo, seppur legittimo, più obsoleto che esista e che, così facendo, non si va oltre gli schemi ma se ne resta dentro paurosamente.

Al  che mi è sorta spontanea una riflessione: si riuscirebbe ad esprimere una preferenza solo e soltanto se ci piacessero contemporaneamente il candidato sindaco, tutti i nomi della lista, i programmi, le promesse, i simboli di partito che si nascondono dietro gli schieramenti, gli opportunismi, i calcoli, ecc.? Sarebbe quasi impossibile. Per uscire illesi da una tale scelta paradossale bisognerebbe astenersi: una trovata fallimentare per tutti. La soluzione più pragmatica da prendere, onde evitare un incredibile crollo del numero dei votanti, è quella di concedere un voto ad personam. Alla persona. Al nome. Ai fatti che fa o ha già fatto.

Sosteniamo le persone per quello che valgono e che, eventualmente, hanno avuto la fortuna di dimostrare di saper fare, in campo politico, nella vita quotidiana, nel lavoro e nei rapporti interpersonali. Il voto per amicizia credo sia, al contrario di quanto succitato, il migliore che esista. Chi meglio di un amico, o addirittura un parente, può conoscere i meriti di una persona ed attestarne, con una semplice preferenza, stima e riconoscenza? Bisogna sentirsi obsoleti per questo? Non credo proprio. Così facendo coloro che hanno prodotto meno otterranno risultati minori. E poi, comunque vada, qualcuno che non ci piacerà in consiglio comunale ci sarà sempre, anche nella nostra parte politica preferita. Mettiamoci l’anima in pace. Votando le persone pratiche, passionali, concrete, avremo già fatto un bellissimo filtro all’interno della stessa lista. Non passano mica tutti.

Questo per rispondere a chi poneva come principale criterio elettorale la scelta della lista. Non esistono liste perfette. Sarebbero uninominali e meno di due. Quindi volemose bene e votiamo la persona che ci ispira di più. Chi ci dà più garanzie e che a livello intellettivo, tecnico, caratteriale e personale merita il nostro voto. Facciamolo, almeno a livello locale, dove ci è ancora permesso di esprimere un voto nominale. Permettiamoci di andare contro le idee politiche – magari non troppo – e verso la possibilità di fare del bene per poche decine di migliaia di cittadini. Per fare questo servono a poco i simboli con il tricolore.

Il contro delle elezioni cittadine, e di questo ragionamento, è che spesso ci si ritrova di fronte a tante richieste di voto, pur potendone votare solo uno. A volte ci sono compromessi dietro una preferenza concessa di quanti ce ne sono dietro una candidatura, ahinoi. Ma come quando in amore ci si ritrova a non sapere quale di due o più spasimanti scegliere, significa che è arrivato il momento di non scegliere perché nessuno ci ha preso davvero più di un altro. Era compito loro, non nostro, farci innamorare.

Concludo con tre desideri: spero che in futuro si faccia molta più politica comunale sui palchi e meno sui giornali e sui siti internet; spero che si parli alla gente più durante un mandato elettorale che nel mese di campagna elettorale e poi basta; spero che al di là delle preferenze vengano messi al posto giusto gli uomini giusti: un architetto o un ingegnere all’urbanistica, un economista al bilancio, un proprietario terriero all’agricoltura, e artisti o insegnanti al turismo e alla cultura. Chiedo troppo?

Un lettore

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