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Politica

SWAP, MA QUANTO MI COSTI!




Continua
a tenere banco la questione degli swap, all’interno degli ambienti politici
turesi. Mutui pregressi che molti Comuni hanno rinegoziato, stipulando
contratti particolari con alcuni istituti di credito.




Inizialmente,
a molti Comuni non è parso vero di pagare interessi ridotti sui propri mutui. E
così, nei propri bilanci di previsione potevano alleggerire la voce “spese per
interessi” prevedendo un risparmio notevole. La doccia fredda è giunta




nel
momento in cui i tassi d’interesse hanno subito un incremento, facendo saltare quelle
stesse previsioni inserite nel bilancio che dovrebbe essere approvato ad inizio
anno, ma che di solito si approva in primavera inoltrata. Si è generato un
debito fuori del bilancio. Ossia, pur restando il tasso d’interesse al di sotto
del valore medio che il Comune si era impegnato a versare prima della stipula
degli swap, tuttavia si incrementava al di sopra delle previsioni. Ed è questo
ad aver prodotto il debito non previsto. Una situazione che peraltro colpisce
numerosi città. Si pensi al Comune Milano o a quello di Napoli che ha contratto
swap per 30 milioni di euro. Il problema è serio. Menico Coladonato, già
Assessore al bilancio nella Giunta capitanata da Nicola De Grisantis è colui il
quale ha rinegoziato i mutui. Gli abbiamo chiesto di raccontarci come e perché
il Comune di Turi pensò alla “finanza creativa”, per dirla alla maniera del
ministro Tremonti.

 

ITALIA SOTTO
OSSERVAZIONE DELL’EUROPA NEL 2004

 

Cominciamo
dicendo che l’ammontare del debito del Comune di Turi, stando a quanto
dichiarato dallo stesso De Grisantis nel corso del comizio tenuto in piazza
Orlando, era pari a circa 6 milioni di euro. Secondo De Grisantis, per il 60%
circa riveniente dalla Giunta Stefanachi. Debiti contratti per investimenti.
Opere pubbliche, insomma. Il tasso medio di interesse sul prestito contratto che
il Comune versava alla Cassa Depositi e Prestiti era pari al 5,7%. Intorno a
maggio-giugno del 2004, così come ammette lo stesso Coladonato ai nostri
microfoni, il governo Berlusconi varò il Documento di Programmazione Economica
e Finaziaria (DPEF). Fu emanato un decreto, cosiddetto “taglia-spese”. Il
nostro Paese non rispettò i parametri fissati dai governi della Unione Europea
(UE) nella cittadina olandese di Maastricht che lo vincolavano al patto di
stabilità. In particolare, l’Italia presentava alla Commissione europea un
deficit dei propri conti pubblici superiore al 3% del Prodotto Interno Lordo,
ossia la quantità totale di beni e servizi prodotti.

 

IL DECRETO
“TAGLIA-SPESE” DI TREMONTI

 

Il
decreto “taglia-spese” obbligava perfino i Comuni più bravi a svolgere il
compitino di mantenere a posto i propri conti, a tagliare le spese del 10%. I
Comuni meno ligi al dovere, con i conti fuori posto, avrebbero dovuto tagliare
nel corso del 2004, alcuni capitoli della spesa corrente per un valore del 20%.
Il che, tradotto in parole povere, significa stringere i cordoni della borsa
per il funzionamento della macchina amministrativa comunale e per iniziative come
fiere, sagre, attività culturali, e così via. “Noi, per fortuna, avevamo
rispettato il Patto di stabilità interno” – precisa Coladonato – “In realtà,
eravamo intervenuti in maniera cospicua sulle entrate nel 2003 ed avevamo già
approvato il bilancio per il 2004 per tempo, in modo tale che le spese che il
Governo induceva a tagliare erano già state impegnate, sicché l’effetto del
decreto su di noi fu minimo”.

 

UNA CIAMBELLA DI
SALVATAGGIO

 

Il
problema è che i tempi sono cambiati. Nel corso della prima Repubblica, da Roma
piovevano finanziamenti a pioggia. Oggi, lo Stato, da diversi anni ormai,
trasferisce ai Comuni sempre meno risorse. La parola d’ordine è: assunzione di
responsabilità. Se i Comuni spendono più del previsto, non aspetteranno certo
che mamma-Stato ripiani debiti che sono solo dell’ente locale. Dovranno
aumentare i tributi. Tremonti intuì che avanti di questo passo i Comuni avrebbero
bloccato le spese per investimenti. Bisognava inventare qualcosa. Ecco, la
ciambella di salvataggio. Se un Comune ha un debito, può rinegoziarlo ad un
tasso più favorevole. Questo, si disse.

 

ISTITUTO SAN PAOLO:
AVANTI TUTTA!

 

Ancora
Coladonato: “Un privato cittadino, contrae un mutuo per acquistare la propria
abitazione. Dopo alcuni anni, il tasso d’interesse scende. Quel cittadino può
rinegoziare il mutuo con la banca che lo ha erogato, spalmando il mutuo per
diversi anni a venire rispetto alla scadenza originaria”. In pratica, pagherai
per diversi anni, ma in compenso ottieni un tasso d’interesse più basso. La
stessa cosa accade ai Comuni. “Facemmo una verifica. I mutui pregressi del
Comune, dal 1996 sino al 2003, avevano un tasso d’interesse alto rispetto al
tasso medio vigente in quel periodo. Il Responsabile dell’Ufficio ragioneria fu
incaricato dalla nostra Amministrazione a contattare l’istituto di credito, il
San Paolo, per rinegoziare i nostri mutui contratti con la Cassa Depositi e
Prestiti”.

 

Per
ora, fermiamoci qui. Il discorso è lungo e va affrontato a tappe. Questo è il
quadro all’interno del quale l’Amministrazione De Grisantis si è mossa.

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