“Da un nocciolo nacque la ciliegia ‘Ferrovia’ di Turi”
«La ciliegia ‘Ferrovia’ di Turi nei decenni, con il suo inconfondibile sapore, la sua bellezza, e l’ineguagliabile calibro tra i 28-30 mm, ha conservato il suo nome di cultivar d’eccellenza, nome ormai clonato e impropriamente usato in tutta Italia. Oggi il territorio di Turi ha una superficie coltivata a ciliegio di circa 3.800 ettari ed una produzione media di 100.000 quintali. La ciliegia ‘Ferrovia’ di Turi sui mercati nazionali ed esteri può proporsi come prodotto di eccellenza e può a pieno titolo fregiarsi di ciliegia regina delle regine».
Così iniziano le riflessioni di Stefano de Carolis che, investigando la contesa primogenitura della ciliegia ‘Ferrovia’, ha raccolto alcune preziose testimonianze che inducono a collocare la nascita del pregiato frutto proprio a Turi. Merito dello spirito d’iniziativa di due agricoltori che, nel giugno della fine degli anni ‘30, a ridosso dell’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, ebbero la fortunata intuizione di seminare nella contrada Prociere alcuni noccioli di ciliegia.
UNA FOTOGRAFIA DEL NOVECENTO
Ma procediamo con ordine, iniziando da una fotografia della cerasicoltura agli esordi del “Secolo breve”. «Agli inizi del ‘900 – afferma de Carolis – la maggior parte delle ciliegie prodotte a Turi e in Terra di Bari venivano solforate e stipate in barili con acqua salata per essere commercializzate nei mercati esteri e del nord Italia, rifornendo le industrie conserviere per la produzione di marmellate, canditi e sciroppi».
«L’esportazione – prosegue – avveniva esclusivamente per mezzo della ferrovia, utilizzando treni con vagoni merci refrigerati con temperatura costante, un espediente necessario per mantenere la conservazione e per non far deperire i fragili frutti. Per meglio capire come fosse complicato e difficile questo commercio, basti tenere presente che il trasporto dalla Puglia con destinazione Londra durava circa otto giorni. E nei mesi di maggio-giugno, anche se il vagone merci era ben ventilato e refrigerato, spesso accadeva che, durante il viaggio, le ciliegie subivano alterazioni e arrivavano a destinazione avariate».
«Solo una modesta parte delle ciliegie veniva riservata al “mercato del fresco”, ovvero venduta al dettaglio per il mercato interno. Del resto – commenta – il prezioso frutto aveva un prezzo molto elevato ed erano pochi quelli che potevano permettersi di acquistarlo».
UN’AFFASCINANTE STORIA
«Verso la fine degli anni ’30 – riferisce de Carolis – nella contrada ‘Prociere’ di Turi, in un piccolo terreno di proprietà di Modesto Valentini (soprannominato Anzìdde-Anzìdde) nei pressi della Masseria Caracciolo, con molta probabilità, casualmente, ebbe inizio la bella e affascinante storia della nostra ciliegia ‘Ferrovia’.
Si racconta che i primi attori di questa storia furono Giovanni Arrè e suo cognato Matteo Di Venere, entrambi agricoltori di Turi, i quali dopo aver merendato un frugale pasto accompagnato da alcune ciliegie, mangiate nel podere dello zio Modesto, curiosi pensarono bene di seminare quei noccioli di ‘Capo di Serpe’ – ‘Ruvo’ sotto un piccolo cumulo di pietre (specchia). Dopo aver prestato le dovute cure, a distanza di un anno, quei semi finalmente germogliarono ed una piantina portò un frutto molto speciale».
DUE AUTOREVOLI VOCI
«A testimonianza di questa storia di vita vissuta – precisa de Carolis – abbiamo parlato con due esperti agricoltori turesi, i quali, con disinteresse, e con la loro lunga esperienza hanno narrato come quei semi, probabilmente della varietà ‘capo di serpe’ o ‘Ruvo’, grazie a madre natura e alle leggi della botanica, divennero ciliegia ‘Ferrovia’».
GIOVANNI CAZZETTA
Il primo racconto registrato è quello di Giovanni Cazzetta (classe 1939): «Mio nonno si chiamava Giovanni Arrè, e di professione era agricoltore. Alla fine degli anni ‘30, nel mese di maggio-giugno, con suo cognato Matteo Di Venere, a bordo del traino, si portarono in un podere dello zio Modesto Valentini, nella contrada Prociere, a lavorare in un terreno. Dopo qualche ora di lavoro nei campi, i due si fermarono per la consueta merenda e, seduti in un sedile in pietra, incavato nella ‘pariete’, consumarono il loro pasto. A poca distanza da loro, c’era una piccola specchia di pietre. Al termine della merenda presero a mangiare un pugno di ciliegie della varietà ‘Ruvo’ e, una volta mangiate, i loro noccioli decisero di seminarli accanto alla specchia di pietre, e dissero: “Vedíme ce av’assìje”.
Dopo circa un anno da quella semina, quei noccioli iniziarono a germogliare, e dopo altri cinque o sei anni, sempre con le dovute cure, una piccola pianta, senza essere innestata, iniziò a portare le prime ciliegie. Da subito, grazie alla loro esperienza, i due agricoltori poterono apprezzare alcune caratteristiche della nuova ciliegia: la forma, il sapore, e soprattutto la consistenza della polpa.
Passati altri quattro anni, il giovane albero di ciliegie, divenne sempre più produttivo, e in un giorno di giugno, finalmente dalla pianta poterono raccogliere un cesto di vimini colmo di belle e rosse ciliegie. Per non rovinare il loro aspetto, le adagiarono con cura sopra uno strato di paglia, e riposero il cesto sul traino per portarle a vendere al mercato di Turi. In quei tempi il mercato cerasicolo era allestito in piazza San Giovanni, ‘sòbbe o trèppizze’.
Giunti nel largo di San Giovanni, trovarono un loro compaesano, tale Vito Simone (1895-1959), capo dei facchini di Turi e commerciante di ciliegie e mandorle, nonché padre di Giovanni, Natale e Cosimo, anch’essi futuri commercianti. Questi, avvicinandosi al traino di Matteo Di Venere, disse: “Matteo c’è gerèse pùurte sòbbe o traìne?” E Di Venere non sapendo cosa rispondere, esclamò: “Vìte, gerèse sònde!”.
A quel punto il compratore Vito Simone prese a mangiare alcune ciliegie e disse: “Caspita sono buone di sapore, e sono toste! Matteo, queste ciliegie sono buone per il trasporto con la ferrovia”».
FRANCO GIANNINI
La seconda testimonianza cristallizzata da de Carolis è quella di Franco Giannini (classe 1931) che, oltre ad essere un esperto agricoltore, ha rivestito l’incarico di presidente della sezione cittadina dei Coltivatori Diretti dal 1965 al 1992 ed ha ricoperto la carica di assessore all’agricoltura del Comune di Turi.
«Confermo totalmente la storia raccontata da Giovanni Cazzetta. Verso la fine degli anni ’70, ero presidente della sezione coltivatori diretti di Turi; un giorno, con il giovane collaboratore, Vito Orlando, andammo nel podere di Matteo Di Venere, sito nella Contrada Prociere, dove al dire di Tommaso Arre’, innestatore turese, esisteva il primo albero di ciliegie ‘Ferrovia’. La pianta si presentava vecchia d’età ed era nata all’interno di una piccola specchia di pietre.
Ricordo che da molti anni, numerosi agricoltori turesi, grazie al passaparola, chiedevano al figlio del Di Venere le marze di quella pianta per poter fare innesti. In quel giorno di giugno, scattammo una foto dell’albero e, dopo aver fatto un ingrandimento, la mettemmo in bella mostra sulla parete del nostro ufficio dei coltivatori diretti, ufficio che in quegli anni era allocato in Corso XX Settembre. Sin dagli inizi degli anni ’60, la varietà della ‘Ferrovia’ si è diffusa in tutti i paesi limitrofi, ed è diventata una ciliegia molto conosciuta su tutti i mercati nazionali ed internazionali».
LA VENDITA DELLE MARZE NELLA PIAZZA DI SAMMICHELE
«Campanilismi a parte – puntualizza de Carolis – dalla testimonianza raccolta dai due anziani agricoltori emerge una storia importante della ciliegia ‘Ferrovia’, una narrazione genuina e ben circostanziata. Inoltre, il tutto è documentato anche da una foto, scattata negli anni ‘70, la quale arricchisce la storia delle origini di questa pianta, nata casualmente nel territorio di Turi. In più, guardando attentamente la foto, si nota che sul tronco non è presente nessun innesto. Questo particolare potrebbe essere la riprova che quell’albero di ‘Ferrovia’ è la pianta madre».
«Se per i natali della ‘Ferrovia’ occorre ragionare con la necessaria prudenza – aggiunge – non c’è alcun dubbio sul fatto che la particolare ciliegia si sia diffusa primariamente a Turi e da qui si sia propagata nei paesi limitrofi e in tutta la Terra di Bari. La conferma di questa tesi – dichiara – arriva dalle autorevoli parole del dott. Oronzo Dalfino, sammichelino doc, già Direttore Generale dell’ex Cassa Rurale di Sammichele di Bari, nonché promotore dello sviluppo cerasicolo di Turi e Sammichele.
Il dott. Dalfino, che nel 1982 organizzò il primo convegno nazionale sul ciliegio, mi ha raccontato che, già all’inizio degli anni ’50, vari agricoltori turesi si recavano a Sammichele per vendere le marze della ‘Ferrovia’ (magghiòle de gerèse), ossia porzioni di ramo tagliati dagli alberi coltivati a Turi che venivano successivamente innestate.
Secondo l’importante testimonianza del dott. Dalfino, “i turesi venivano con i traini carichi di marze, si fermavano in una piazzetta e aspettavano che si avvicinassero gli acquirenti. Era il 1952 e mio padre (Giuseppe Dalfino, classe 1914) acquistò le marze di ‘Ferrovia’, al costo di 50 lire cadauna (15 gemme) da un certo Dell’Aera di Turi. Con le marze reinnestò al colletto piante giovani di ciliegia ‘Forlì’ e ‘Fuciletta’ (cultivar Ruvo e Biscegliese) e creò a Sammichele, nella contrada Cocevola e Mastroroberto (Mèste Lebèrte), il primo impianto specializzato di ‘Ferrovia’ in Puglia. Alcune piante, veri cimeli, sopravvivono tutt’oggi”».
«A tal proposito – riprende de Carolis – mi piace ricordare quando mio padre mi raccontava che, giovanissimo agricoltore, nel 1954, con suo cugino Vincenzo Di Pinto, esperto innestatore, innestarono un filare di 100 alberi a ‘Ferrovia’ in un suo terreno, nella contrada Marchione di Turi. È importante sottolineare che agli inizi degli anni ’50, la giornata lavorativa dello zappatore/potatore era di 200 lire al giorno mentre, come ha ricordato il dott. Dalfino, il costo di una marza era di 50 lire».
TUTELIAMO LA NOSTRA ‘FERROVIA’
«Qualche mese fa – dichiara de Carolis – il noto programma GEO ha trasmesso un documentario ambientato nella cittadina di Roseto Capo Spulico (CS); con immenso stupore, ho potuto ascoltare che in quel centro calabrese si coltiva da qualche anno la “famosa ciliegia ‘Ferrovia’ di Roseto”, omettendo di citare la Terra di Bari, Turi o Sammichele (Sic!)».
«L’episodio – prosegue – è emblematico della necessità di ottenere il marchio DOP per la nostra bistrattata ciliegia ‘Ferrovia’, al fine di tutelarla giuridicamente da qualsiasi “ingiusta appropriazione”. Tale importante riconoscimento è attribuito dall’UE agli alimenti le cui peculiarità qualitative dipendono essenzialmente dal territorio in cui sono stati prodotti: l’ambiente geografico, i fattori climatici e, soprattutto, le tecniche di produzione tramandate dai nostri avi».
«Dopo tante parole e promesse – chiosa – alla luce degli scarsi risultati finora ottenuti, dovremmo aver compreso che per difendere la nostra ‘Ferrovia’ non bastano le annuali e sterili passerelle sulla scena della politica regionale e romana. Occorre prima di tutto che i produttori, i veri protagonisti, facciano all’unisono squadra; in parallelo, la Buona Politica, senza interessi personali e clientelari, dovrebbe attivarsi seriamente, diventando l’anello di collegamento tra i cittadini, il territorio e la politica nazionale deputati alla tutela della nostra ciliegia».
Fabio D’Aprile