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“Progetto Gramsci”: il futuro a spese del passato?”

Archivio de Carolis

Stefano de Carolis ricostruisce la storia della villa comunale, invitando ad accertarsi che si operi nel rispetto della legge


Ritorniamo a parlare del programma di collaborazione interregionale con Albania e Montenegro, denominato “Compagni e Angeli”, che punta a riqualificare piazza Sandro Pertini e piazza Aldo Moro nel segno dell’eredità culturale di Antonio Gramsci.

Convinti che per progettare il futuro occorra conoscere il proprio passato, prima di indugiare sulle possibili problematiche del progetto, abbiamo chiesto al concittadino Stefano de Carolis di aiutarci a ricostruire la storia della nostra villa comunale.

Da “orto delle clarisse” a villa comunale

«Il Carcere di Turi – racconta de Carolis – nasce, alla fine del 1830, come uno dei più grandi Monasteri di clausura della Terra di Bari e i terreni limitrofi erano di proprietà della Chiesa Madre di Turi. In particolare, il suolo su cui verranno realizzate entrambe le ville comunali era denominato “orto delle clarisse”, perché era utilizzato per la coltivazione di frutta e verdura con la presenza di antiche cisterne per l’irrigazione, i cui resti sono tutt’ora conservati nel sottosuolo della villa comunale».

La Villa negli anni '20 - Archivio Franco Giannini

«Per alcuni anni – prosegue – la Curia Vescovile di Conversano concede questo terreno in fitto al Comune di Turi, avviando un rapporto di locazione che sarà segnato da varie controversie relative al pagamento del canone. Ogni contesa, tuttavia, si annulla nel 1866: con la promulgazione delle cosiddette “leggi eversive” che sopprimono numerosi enti ecclesiastici avocandone il patrimonio allo Stato e agli enti pubblici locali. Il Monastero diviene di proprietà dello Stato che, successivamente, lo riconverte in Carcere; il terreno che ospitava l’orto delle clarisse, invece, entra a far parte del demanio pubblico e, dopo tante traversie, viene nel 1876 acquistato dal Comune al prezzo di 800 lire».

«Una volta acquisito il suolo, che si presentava in pessime condizioni, si inizia a discutere su come convertirlo. Ed è in questo momento – spiega de Carolis – che si costituisce spontaneamente un comitato di cittadini illuminati, chiedendo con forza agli amministratori locali la realizzazione di un parco cittadino, dato che Turi non aveva un luogo pubblico di aggregazione. Nell’arco di un paio d’anni, la posizione del comitato ha la meglio: il terreno viene bonificato, livellandolo e chiudendo le buche, affidando ad un giardiniere di Bari il compito di piantare e gestire il verde pubblico che caratterizzava i giardini ottocenteschi, tra cui spiccavano aiuole con piante ed essenze varie, acacie, palme e i nostri lecci. I lavori proseguiranno per vari anni sino ad arrivare all’assetto che oggi possiamo ammirare, riconducibile al 1916».

Tuteliamo la storia del nostro parco

«Non voglio entrare nel merito del progetto dal punto di vista estetico e artistico, mi limito semplicemente a sottolineare la necessità che si ottemperi a tutte le norme vigenti per la tutela e la salvaguardia del nostro parco». Così risponde de Carolis quando, alla luce della ricostruzione storica della villa comunale, chiediamo una sua opinione sul “Progetto Gramsci”.

«In primis – argomenta – secondo l’articolo 21 del Codice dei Beni Culturali (D.Lgs. n. 42 del 22/01/2004), per qualsiasi modifica su un bene sottoposto a vincolo storico è indispensabile richiedere l’autorizzazione preventiva al Ministero dei Beni Culturali che, esaminato il progetto, valuta la congruità dell’intervento, dettandone le dovute prescrizioni. In secondo luogo, andrebbe considerata anche la possibile sussistenza di un vincolo indiretto: poiché la Casa Circondariale è una struttura “monumentale” sottoposta a vincolo diretto, qualunque cosa si voglia costruire nelle vicinanze del bene tutelato (fascia di rispetto) deve rispondere a ferree prescrizioni, disposte dalla Soprintendenza, che hanno l’obiettivo di evitare che “sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e decoro”».

Uno dei lecci centenari

I lecci centenari non si toccano

Nella conferenza di presentazione del progetto del 21 maggio, si è accennato alla possibilità di spostare alcuni alberi, rassicurando, tuttavia, che sarebbero stati reimpiantati. Sulla questione de Carolis ricorda che «i primi lecci, il cui nome scientifico è “quercius ilex”, risalgono alla fine dell’Ottocento: parliamo, quindi, di alberi centenari che devono essere preservati. Gli strumenti esistono e sono chiari: oltre a interpellare la Soprintendenza, va richiesta la preventiva autorizzazione al Dipartimento Sviluppo Rurale ed Ambientale, in base alla Legge regionale n.14 del 31.05.2001 e al Regolamento regionale n.19 del 13/10/2017. Tra l’altro, vorrei ricordare che l’esito dell’operazione di reimpianto dei lecci potrebbe non andare a buon fine, decretando la morte della pianta».

Carcere e Sicurezza

«Dagli studi che ho condotto sulla malavita in Terra di Bari nella fine dell’Ottocento, è emerso che uno dei principali problemi per le Carceri italiane era quello di bloccare le comunicazioni con i detenuti. Dai pizzini agli stornelli, esiste un vasto repertorio di espedienti a cui si ricorreva (e si ricorre) per superare le mura del carcere e far filtrare messaggi o, magari, trasmettere ordini.

In passato, anche il Carcere di Turi è stato interessato da questo fenomeno. Ho avuto modo di raccogliere una testimonianza diretta di questi “contatti clandestini”: il nostro concittadino Franco Cistulli (classe 1951), quando aveva poco più di dieci anni, veniva avvicinato dai parenti dei detenuti che chiedevano di recapitare un messaggio al proprio recluso. La prassi era tanto rocambolesca quanto ben rodata: il giovane Franco memorizzava il messaggio scritto su un pezzo di carta – volutamente criptato dai mittenti – e lo trasformava in versi, cantando gli “stornelli” in cui veniva inserito il soprannome del detenuto destinatario della “ambasciata”. Visto che in via Casamassima c’era una guardia che era di vigilanza lungo il muro di cinta, agiva dall’altro lato, quello appunto della villa comunale: si arrampicava sugli alberi, che all’epoca erano piantati anche sulla “montagnetta”, e iniziava a canticchiare il messaggio. In cambio, riceveva dalle 20 alle 100 lire, un piccolo tesoro da investire in caramelle e dolci.

In sintesi, proprio per evitare che tali scenari si ripetano, mettendo a serio rischio la sicurezza, se si vuole realizzare una struttura architettonica che superi in altezza il muro di cinta della Casa Penale, è d’obbligo trasmettere il progetto e chiedere la preventiva autorizzazione alle autorità del sistema carcerario italiano: dalla Direzione della Casa Circondariale fino al Ministero di Giustizia, passando per il Comandante della Polizia Penitenziaria e il Magistrato di Sorveglianza del Carcere interessato. Tra l’altro, sul muro di cinta sono ben visibili i cartelli che vietano di fotografare o eseguire rilievi a vista, pena pesanti sanzioni penali».

FD

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