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Ciliegie, tutti ai nastri di partenza

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Schivato il pericolo delle gelate, bisogna fare i conti con il “rischio Covid”. L’analisi di Tonio Palmisano

Tra un paio di giorni prenderà il via la nuova annata cerasicola: si inizierà con la raccolta delle “Bigarreaux”, per poi proseguire con la “Giorgia” e concludere la volata con la “Ferrovia”, la regina delle ciliegie turesi sulla cui vendita sono riposte le speranze di gran parte dei produttori turesi.

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«L’annata – commenta l’imprenditore agricolo Tonio Palmisano – si presenta con una buona produzione a livello quantitativo; anche nelle “zone fredde” (Putignano – Gioia del Colle), dove le gelate avevano fatto temere il peggio, i danni sono stati contenuti».

«Continuiamo a sperare che le condizioni meteorologiche non ci riservino tristi sorprese. Nel frattempo – aggiunge – faccio a tutti i cerasicoltori un grosso in bocca al lupo per questa annata, confidando nella protezione di Dio e del nostro Sant’Oronzo».

Le ombre del Covid

Meteo a parte, il principale ostacolo per il nostro oro rosso si chiama Covid. «L’anno scorso, di questi tempi, avevamo pochi contagi; oggi non possiamo dire lo stesso. Fornire i dispositivi di protezione individuale (mascherine e guanti) è diventata una routine ed è il “minore dei mali”. Il vero problema – spiega Palmisano – è che, se un operaio dovesse contrarre il virus, si rischia di bloccare l’intera squadra per 15 giorni, il che vuol dire perdere l’annata: abbiamo un paio di settimane di tempo per raccogliere ciascuna varietà, e mettere insieme una nuova squadra non è affatto semplice».

«Si scarica ogni responsabilità sui produttori che, al contrario, andrebbero tutelati. Le associazioni di categoria e la politica – sottolinea – dovrebbero prendere in seria considerazione il rischio di vedere andare in fumo il lavoro di un anno intero, studiando interventi pianificati e strutturali per sostenere il comparto. Gli imprenditori agricoli forniscono cibo, lavoro e fanno muovere un indotto non indifferente dell’economia italiana, eppure sembra che non esistano».

Misure di sostegno ridicole

«L’anno scorso – prosegue Palmisano – il Governo ha previsto ristori a fondo perduto per le imprese che subivano una perdita del 30% del fatturato. Ci sono aziende che fatturavano 100.000 euro e, a causa della pandemia, ne hanno fatturati 40.000. Ebbene, il contributo che hanno ricevuto è stato di appena 5.000 euro, una cifra ridicola che non consente all’azienda di rialzarsi e guardare con fiducia al proprio futuro. Senza contare che, paradossalmente, l’azienda che ha perso il 29,9% del fatturato è esclusa da qualsiasi beneficio».

«Dirò di più. Noi imprenditori saremmo anche pronti a rinunciare agli aiuti governativi ma devono darci la possibilità di interfacciarci con le banche per ottenere prestiti a tassi realmente agevolati, non con interessi intorno al 3% e con l’obbligo di rientro in 72 mesi, un lasso di tempo troppo stretto visto che non sappiamo quando usciremo da questa pandemia e potremo riprendere il nostro lavoro a pieno regime».

L’incoerenza del piano vaccinale

Anche sul fronte della pianificazione delle vaccinazioni, secondo l’imprenditore Palmisano, si è stati poco lungimiranti: «Da profano, mi chiedo perché non si sia pensato di vaccinare subito i lavoratori stagionali. Parliamo di un flusso importante, nell’ordine delle migliaia di persone, che si sposta da una regione all’altra e che, potenzialmente, può veicolare il virus, determinando un aumento dei contagi. Vaccinare questa categoria avrebbe voluto dire proteggere tutti: i cittadini, i lavoratori e le imprese».

«Vorrei pregare le associazioni di categoria e la classe politica di aprire quanto prima un tavolo di confronto in cui discutere con tutti i produttori, centrando il dibattito non sui sofismi ma sui problemi reali che ogni giorno dobbiamo affrontare; non sulle buone intenzioni ma sui rimedi concreti per liberare le aziende dai macchinosi vincoli della burocrazia, concepiti da chi non ha mai messo un piede in campagna. È arrivato il momento – conclude – di staccare la spina alla “politica dei proclami” e mettere in campo strategie serie per evitare il collasso del sistema produttivo».

Fabio D’Aprile

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