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Le antiche e nobili origini del Primitivo di Turi

Cratere di Turi - Nozze di Zeus ed Hera

Dal cratere di Turi ai pionieri della famiglia Cozzolongo, gli studi di Stefano de Carolis riscrivono la storia del nettare turese

Rievocazione storica della vinificazione - 2019Ad ottobre 2019 Stefano de Carolis, con la collaborazione dell’Associazione Mule del Carro di Sant’Oronzo e dei Discjadiscie, metteva in scena davanti a nutrita platea di alunni della scuola primaria di Turi una minuziosa rievocazione storica del ‘rituale’ della vinificazione. Iniziava così la sua ricerca sui ‘segreti’ del vino turese; quel vino di cui aveva sentito parlare fin da bambino, allorquando i suoi avi de Carolis Domenico e Valentini Raffaele coltivavano e producevano Primitivo. Negli anni ’40, suo zio Modesto Valentini, nella sua attrezzata cantina di via Conversano, produceva 200 quintali di ottimo primitivo e lo vendeva ad un grossista di Monopoli.

La svolta in questi studi risale allo scorso anno, quando Stefano de Carolis si imbatte in alcuni documenti pubblicati a metà Ottocento: «Sono riuscito a consultare – spiega – vari saggi di ampelografia, trattati di ampelologia e riviste di viticoltura ed enologia, in cui si parla esplicitamente del Primativo o Primaticcio di Turi, accertandone la produzione nel nostro territorio fin dal periodo pre-unitario». «Questi documenti – aggiunge – sono per la maggior parte pubblicati al nord Italia, dunque nelle “terre del vino”, e ritraggono il nostro Primativo come un vino rosso di alta qualità esportato in tutta Italia e nel resto del mondo».

L’ESPOSIZIONE DI PARIGI E VIENNA

La conferma del carattere “internazionale” del Primativo prodotto a Turi arriva dal dott. Antonio Carpenè, direttore della Società Enotecnica Trevigiana di Conegliano Veneto e massima autorità nel campo enologico italiano: «Nell’ambito dell’Esposizione Universale di Parigi (1867) – ricostruisce de Carolis – Carpenè così elogia il nettare turese: “limpido, bel colore di vino vecchio, sapore secco, tonico, fragranza gradevolissima, armonico nel complesso e generoso”. E aggiunge: “[…] diamo una stretta di mano al cordiale Sig. Cozzolongo e lo preghiamo a proseguire nel cammino bene iniziato, perché avrà soddisfazione morale nel bene che farà al suo paese e sicuro lucro […]”.

Nel 1873, inoltre, il nostro Primativo approda all’Esposizione Universale di Vienna con lo slogan: “Produciamo ottimi vini da pasto, ed un vino speciale di Turi”. Due anni dopo, nel volume del giornale vinicolo italiano diretto da Ottavi e Macagno, si ritorna a parlare in termini entusiasti del Primaticcio di Turi, “[…] trovato sceltissimo per ogni verso, e giudicato superiore ai barbera, ai grignolini e a tutti i migliori vini piemontesi, escluso il barolo”.

Ancora, nel 1877, sulla rivista pisana “L’Agricoltura Italiana”, diretta del prof. Caruso, il Primativo di Turi è nuovamente protagonista: “limpido, bel colore, sapore ottimo, aromatico secco tonico generoso”».Bollettino scientifico Ampelografico del 1879


L’IMPRIMATUR DI CARPENÈ

Antonio Carpenè, illustre enologo veneto

A questa carrellata delle attestazioni 800esche del Primitivo di Turi rintracciate da Stefano de Carolis, ne va aggiunta un’altra: la recensione apparsa sulla rivista di viticoltura ed enologia italiana del 1881, diretta dal prof. G.B. Cerletti e dal dott. Antonio Carpenè.

«Oltre a descrivere dettagliatamente le caratteristiche tecniche della vite da cui si ricava il Primitivo – dichiara de Carolis – la recensione indica che questa varietà di uva autoctona, i cui acini mezzani si presentano di color azzurro scuro, era estesamente coltivata “a Turi, Casato Michele, Gioia del Colle ed Acquaviva delle Fonti”.

Carpenè, in sostanza, mette in evidenza due dati rilevanti. Il primo è che la varietà di uva “Primitivo” potrebbe discendere direttamente dalle coste della Dalmazia, dove ancora oggi è presente la cultivar “plavac mali” (letteralmente “piccolo blu”) identica al nostro Primitivo. Il secondo elemento è che il Primitivo era coltivato principalmente a Turi e Gioia del Colle fin dall’800. Tesi, quest’ultima, che è suffragata anche dalla consultazione di uno dei catasti onciari, redatto a metà del Settecento, da cui emerge che almeno un terzo del territorio comunale di Turi era coltivato con la vite “a vigna”, spesso associata con uliveti».

«Dunque – annota de Carolis – è indiscusso che Turi sia un territorio vocato da sempre alla coltivazione della vite, anche grazie alle straordinarie peculiarità del territorio, quali le favorevoli condizioni climatiche, la natura del sottosuolo e le sostanze organiche e inorganiche disciolte nel terreno. Tutto questo, nel tempo, è stato arricchito dalla plurisecolare esperienza fatta sul campo dai nostri nonni, esperti agricoltori e vocati alla coltivazione della vite da sempre».


LA FAMIGLIA COZZOLONGO, “PIONIERI DEL PRIMATICCIO”

Primicerio Modesto Cozzolongo 1803-1876

Gli studi di de Carolis hanno permesso anche di recuperare la memoria di Domenico Cozzolongo, uno dei primi produttori del Primativo di Turi, che svolse un ruolo fondamentale nella promozione del nettare turese come vino d’eccellenza. Non a caso una bottiglia di “Primaticcio di Turi”, annata 1869, costava 1 lira, ovvero l’equivalente del salario di una giornata di lavoro in campagna.

«Domenico Cozzolongo – racconta de Carolis – fu un lungimirante proprietario turese, che possedeva vigneti sia sul versante Gioia-Putignano che su quello Turi-Rutigliano. Annoverato “tra i più distinti enologi della provincia di Bari”, fu un vero pioniere della produzione e commercializzazione del vino Primitivo in bottiglia. Suo zio, tale Modesto Cozzolongo, anch’egli proprietario terriero, era un primicerio del Capitolo di Turi, nato nel 1803, primo maestro della scuola pubblica di Turi e, con molta probabilità, anch’egli esperto di vini. domenico cozzolongo

Dopo la sua dipartita, Domenico Cozzolongo passò il testimone al suo giovane figlio Giovanni, agronomo, che intraprese una carriera imprenditoriale altrettanto brillante. Classe 1856, Giovanni Cozzolongo viene ricordato come un elegante uomo d’altri tempi, d’animo buono e gentile, soprannominato dai suoi concittadini “Don Giovanni non piglia resto”, per la sua abitudine di non chiedere mai il resto quando faceva compere. Nel 1914 venne eletto sindaco del Comune di Turi, carica che ricoprì per poco più di un anno a causa dell’improvvisa morte che avvenne il 22 dicembre 1915».

«Ritornando al Primaticcio prodotto da Domenico Cozzolongo – annota de Carolis – oltre ad essere oggetto delle entusiastiche recensioni di cui abbiamo parlato prima, venne più volte premiato come miglior vino rosso sia in Italia che all’estero. Ad esempio, nel 1877 alla II Fiera dei vini italiani di Roma, ottenne la medaglia d’argento, ex aequo con il barolo prodotto al nord, e “vino rosso tra i migliori d’Italia”».

Palazzo Cozzolongo 2

Palazzo Cozzolongo


DON FILIPPO INDELLICATI E L’ORIGINE DEL PRIMITIVO

Vincenzo Carenza, viticultore turese

La ricostruzione storica fin qui proposta da Stefano de Carolis, con documenti e protagonisti, pone un interrogativo sull’assunto secondo cui la paternità del Primitivo vada attribuita a Gioia del Colle, poiché il vitigno sarebbe stato individuato dal sacerdote primicerio don Francesco Filippo Indellicati che, dopo aver notato che quella particolare uva maturava con largo anticipo rispetto alle altre varietà, avrebbe ideato il nome di “primativus”.

«Il primicerio Indellicati – stigmatizza de Carolis – viene nominato per la prima volta nel 1919 dal prof. Giuseppe Musci, all’epoca direttore dei Consorzi di Difesa della Viticoltura di Bari, autore della monografia “Il Primativo di Gioia”. Tuttavia, Musci precisa di aver fatto una propria ricerca ma di non avere rintracciato alcuna documentazione certa.

Tra l’altro, se questa paternità fosse stata storicamente comprovata, se ne sarebbe trovata traccia nelle pubblicazioni ampelografiche e ampelologiche 800esche, dove, al contrario, si parla di Primitivo di Turi e di Gioia del Colle. Don Indellicati non viene mai indicato quale scopritore della cultivar».

Vinicola Zaccheo (1882) attuale Vinicola Coppi


IL CRATERE DI TURI

Cratere di Turi - Scena con Dionisio e Sileni danzanti

Un secondo filone complementare dell’approfondimento di Stefano de Carolis vira verso il culto del vino nel nostro territorio, che affonda le sue radici in un passato molto più remoto di quanto si possa immaginare.

«I tanti palmenti installati sia nel centro abitato che nei vigneti – evidenzia de Carolis – assieme alle numerose cantine e alla presenza dei resti di un antichissimo “torchio a leva di Catone”, un autentico reperto di archeologia industriale, dimostrano un’antica ed importante tradizione enologica a Turi».

Se non bastasse, arriva in soccorso l’archeologia classica, che permette a de Carolis di individuare un inedito legame tra il territorio dell’antica Turi e il mito del vino: «Nel 1932 – ricorda – nei pressi della stazione ferroviaria, in via Fiume, nel corso di alcuni lavori edili, venne rinvenuta una tomba con un sarcofago di epoca peuceta. Nel ricco corredo funerario scoperto a Turi, riferibile al VI secolo a.C., venne recuperato uno straordinario vaso attico, alto 40 cm e largo 36 cm, completamente dipinto e riccamente e finemente decorato con figure e scene della mitologia greca. Questo contenitore chiamato “cratere” è un vaso di grandi dimensioni, sicuramente in uso ad una famiglia della aristocrazia locale, che veniva impiegato nei banchetti per la mescita del vino.

Il cratere di Turi – citato dall’archeologo Michele Gervasio e da Giovanni Bruno, e descritto dall’archeologo Donato Labate – raffigura le nozze di Zeus ed Hera, rappresentati su una quadriga preceduta da Ermes e seguita da Dionisio; il restante del corteo nuziale è composto da Apollo e da tre figure femminili. Sull’altra faccia del vaso è raffigurata una scena dionisiaca con al centro Dionisio e ai suoi lati due Sileni che danzano, figure della mitologia greca molto spesso assimilati ai satiri, e due Menadi. I Sileni erano divinità minori a cui si attribuiva la protezione delle sorgenti e dei fiumi che irrigano e fecondano i campi.

Su questo importante reperto che, come spiega Gervasio, si salvò grazie alla diligenza del Podestà Orlandi, sto continuando ad approfondire e analizzare la scena raffigurata assieme al collega Maestro Fabio Tassinari, musicista ed etno-musicologo, che ha già messo in risalto il particolare strumento suonato da Apollo, la Kithara tradizionale; uno strumento difficilissimo da suonare che nell’antica Grecia veniva utilizzato solo da musicisti professionisti».

Cratere di Turi - Nozze di Zeus ed Hera


VINO TRA ARCHEOLOGIA E BENESSERE

Prima di congedarci, de Carolis ci anticipa che è già a lavoro per organizzare insieme a Vito Donato Giuliani, Doni Coppi e ad altri esperti del settore, una tavola rotonda incentrata sul Primitivo declinato tra territorio, storia, archeologia e benessere. Del resto, Ippocrate, considerato il padre della medicina, considerava il vino un medicamento naturale, utile a migliorare le funzioni renali e quelle della digestione. Tesi che è stata sposata anche dalla medicina moderna, a patto che chiaramente se ne faccia un uso morigerato.

Fabio D’Aprile

Foto Archivio de Carolis

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