“Come si può essere Lgbt in un paese a maggioranza islamica?”
Da una tesi della dott.ssa Marina De Carolis in cui si analizzano le censure e le lotte sociali, subite e portate avanti dalla comunità LGBT. Prossimamente sui social “Laym?n”: “concentrati di Medio Oriente”
Un anno fa, sulle colonne de “La Voce del Paese”, inauguravamo la rubrica dedicata alle tesi di laurea, alle ricerche e ai papers scientifici inerenti alla nostra città e/o realizzati da dottori e ricercatori turesi di qualsiasi facoltà ed ambito. Nell’arco di tutto questo tempo, ci siamo occupati di pedagogia, storia, comunicazione, sport, fisica, medicina, ingegneria, turismo, telecomunicazioni, sociologia urbana, fashion design, informatica, scienze naturali, architettura, gestione delle risorse umane, assistenza agli anziani.
Quest’oggi ci focalizzeremo sulla dott.ssa Marina De Carolis, turese classe ’92, laureatasi lo scorso 22 luglio in Scienze delle Lingue, Storia e Culture del Mediterraneo e dei Paesi Islamici con una tesi in “Gender Politics in Contesto Islamico” intitolata “L’Omosessualità nell’area Mena: i casi Libano e Tunisia”.
Cosa ti ha spinto a scegliere questo tema così complesso e delicato?
«Ho deciso di approfondire la questione dell’omosessualità nella regione Mena (Medio Oriente e Nord Africa) sia per puro coinvolgimento personale, in quanto sostenitrice dei diritti umani, sia poiché ritengo che questo sia un argomento a cui è stata rivolta ancora poca attenzione».
Prima di inoltrarci nel lavoro di tesi della De Carolis, va chiarito che l’area Mena comprende 18 Stati e si estende a sud del Mediterraneo, dal Marocco all’Egitto e, a est, dallo Yemen e i Paesi della Penisola araba fino all’Iran.
«Il mio lavoro di tesi si è sviluppato attorno alla seguente domanda: come si può essere LGBT (sigla usata per indicare la comunità Lesbica, Gay, Bisessuale e Transgender) e vivere in un Paese a maggioranza islamica? Si deve infatti tener conto che, nella maggior parte dei paesi dell’area di Mena, essere LGBT è un reato punito, in modo diverso da Paese a Paese, con sanzioni pecuniarie, reclusione o, nel peggiore dei casi, persino con la pena di morte. Questa tendenza eteronormativa, che determina una condanna sia a livello legislativo che sociale, è il risultato di una concatenazione di molteplici cause: una delle principali è da rintracciarsi nel diritto islamico».
LA CENSURA IMPLICITA DEL CORANO
«Pertanto, la mia prima analisi è stata rivolta al background religioso, a partire dall’esamina delle fonti primarie del diritto islamico in materia di “omosessualità”, ovvero Corano e ?ad??, le parole del Profeta Muhammad. Queste ultime hanno rivelato una comune propensione alla condanna dell’omosessualità e degli atti omosessuali, sebbene non in maniera sempre conforme ed eterogenea. Nel caso del Corano, infatti, non sono state riscontrate espliciti menzioni dell’omosessualità, sebbene si narri ripetutamente in diverse Sure (i capitoli del Corano) la storia di Lot, uno dei Profeti inviato da Dio per redimere i popoli delle città di Sodoma e Gomorra, celebri per aver commesso una serie di atti turpi tra cui rientrano i rapporti omosessuali. La condanna proveniente dalle fonti religiose ha costituito, insieme ad altri fattori, la base su cui si è sviluppato il discorso contemporaneo sull’omosessualità nei Paesi considerati in questo studio. Infatti, le leggi che sono attualmente in vigore contro l’omosessualità e le tendenze Lgbt in genere derivano anche dai modelli giuridici diffusi nell’area Mena durante le campagne di colonizzazione occidentale».
LE RESTRIZIONI LEGISLATIVE E LA CONDANNA SOCIALE
«Ho deciso di prendere in considerazione Libano e Tunisia poiché nonostante le restrizioni legislative e la forte condanna sociale, la comunità Lgbt è impegnata strenuamente e a costo della propria incolumità non solo per l’abrogazione delle leggi ma anche nella conquista di una “normalizzazione” e pertanto integrazione nel tessuto sociale dei propri paesi. L’articolo 230 del Codice Penale tunisino condanna “la sodomia con la reclusione fino a tre anni”, l’articolo 534 del Codice Penale Libanese stabilisce che “qualsiasi rapporto sessuale contrario all’ordine della natura è punibile fino a un anno di reclusione”. Sono numerosi i casi di persone perseguitate dalle forze dell’ordine, denunciate dalle proprie famiglie con l’accusa di essere omosessuali e sottoposte a torture, violenze e trattamenti inumani e degradanti».
IL CASO “MARWEN” IN TUNISIA
«In Tunisia, ha ricevuto grande clamore mediatico, riuscendo a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’applicazione dell’art. 230, il caso “Marwen”. Il caso ha visto coinvolto un giovane studente tunisino di 20 anni che nel 2015 fu convocato dalla polizia di Hammam Sousse come testimone di omicidio per poi essere accusato di violazione dell’art.230. Costretto a sottoporsi alla pratica dei test anali, è stato incarcerato per diversi mesi».
ASSOCIAZIONISMO E COMUNICAZIONE PER IL PROGRESSO
«Nonostante le disposizioni vigenti condannino i rapporti e gli atti omosessuali e mettano in atto una serie di meccanismi persecutori a livello sociale, Libano e Tunisia sono i due paesi dell’area Mena più progressisti in materia di omosessualità. Il progresso di tali paesi è determinato, in gran parte, all’operato di una serie di associazioni che lavorano in entrambi i territori, dedicandosi, contro il benestare del potere centrale, con diverse iniziative all’integrazione legale e sociale delle minoranze.
In Libano associazioni come Helem, Meem, Afe, Beirut Pride e Lebmash, organizzano iniziative a sostengo dell’abrogazione dell’articolo 430 e si battono per le numerose violazioni ad esso connesse come l’inosservanza del diritto alla privacy o la perpetrazione di torture come l’imposizione forzata dei test anali. Inoltre le associazioni si sono occupate di fondare centri per il sostegno economico e psicologico delle persone omosessuali. LebMash ha istituito dei presidi per il controllo e la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. Beirut Pride è riuscita per bene due volte ad organizzare il Pride per le strade della capitale, iniziativa che è costata mesi di carcere al presidente dell’associazione.
In Tunisia, le rivolte scoppiate nella primavera del 2011 hanno costituito la base per la nascita di associazioni come Shams, Chouf, Mawjoudin e Damj che alla pari delle associazioni libanesi lottano per l’abrogazione dell’articolo 230 del Codice Penale, l’abuso dell’impiego dei test anali. Shams, inoltre, ha istituito la prima radio on line Lgbt, al fine di promuove campagne e sensibilizzazione verso la causa. L’associazione Chouf ha istituito Chouftouhonna, un festival di arte femminista a Tunisi, organizzato dal 2015 che offre uno spazio di espressione artistica affinché le donne possano rivendicare i propri diritti attraverso un programma multidisciplinare che comprende dibattiti, mostre, esibizioni e proiezioni di film.
In conclusione, risulta difficile rispondere alla domanda iniziale “come si può essere Lgbt e vivere in un paese a maggioranza islamica?”. Si dovrebbe piuttosto parlare di come si può sopravvivere in un contesto così repressivo. Di certo si deve attestare che in tali condizioni discriminatorie e sanzionatorie per l’omosessualità, le associazioni Lgbt costituiscono l’ultimo baluardo per il progresso legale e sociale in tema di omosessualità. La comunità LGBT+ dell’area Mena sembra ancora vivere in una sorta di “medioevo”, inteso come periodo di transizione verso l’accettazione legale e sociale dell’omosessualità. È il lavoro delle associazioni a rappresentare un faro verso l’obiettivo finale. Attraverso le numerose campagne, gli eventi, le dimostrazioni pubbliche o il semplice supporto economico e psicologico, gli attivisti Lgbt mettono in gioco la propria vita, la propria sicurezza per il raggiungimento dell’equità».
“LAYM?N”, “CONCENTRATI DI MEDIO ORIENTE” SUI SOCIAL
Siamo a conoscenza di un progetto che ti vede attualmente coinvolta; è possibile avere qualche anticipazione a riguardo?
«Attualmente mi sto occupando di un progetto chiamato “Laym?n”, ovvero “limone” in arabo. Si tratta di una pagina Facebook ed Instagram che si propone di dar voce a “concentrati di Medio Oriente”. Il progetto, infatti, nasce dalla voglia di un gruppo di ex studenti appassionati di Medio Oriente e Nord Africa di condividere, in uno spirito tutt’altro che accademico, le proprie conoscenze in merito a cultura, tradizioni, lingua, storia, politica e molte altre peculiarità relative ad un’area ancora poco nota al grande pubblico. Spesso ci siamo interrogati su quanto questa zona sia in gran parte appannaggio di riviste e giornali scientifici, relegato al quasi esclusivo mondo accademico o, ancora più di frequente, se ne parla in maniera parziale e non del tutto oggettiva, lasciando spazio alla diffusione di fraintendimenti e diversi preconcetti. Quindi, se non sapevate che la parola limone come tanti altri vocaboli italiani deriva dall’arabo, o volete conoscere cosa sta succedendo in Libano o volete capire perché Patrick Zacky sia ancora detenuto in Egitto, cercate su Facebook ed Instagram “Laym?n”: saremo presto on line! Sentitevi liberi di conoscere ma anche di dibattere!».
LEONARDO FLORIO