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“Oyfn Pripetshik”: il dramma della Shoah secondo Marzella e Linsalata

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I due artisti hanno prodotto un video, pubblicato su Youtube il 27 gennaio, per non dimenticare la mortificazione e la sofferenza delle vittime della Shoah

Settantasei anni fa, il 27 gennaio 1945, le truppe sovietiche dell’Armata Rossa abbattevano i cancelli di Auschwitz e rivelavano al mondo, per la prima volta, la realtà del genocidio in tutto il suo orrore. Fino a quel momento l’opinione pubblica non era ancora del tutto a conoscenza di una delle pagine più macabre e vigliacche della storia dell’umanità; tutt’oggi, ben più longevi e pericolosi dei “terrapiattisti”, dei negazionisti della neve ecc., resistono frange di negazionisti della Shoah, ovvero coloro i quali, in barba ai libri di storia, alle testimonianze dirette e ai campi di sterminio ancora esistenti in Europa, non credono alla morte di milioni di individui, perpetrata con crudeltà disumana e decretata sulla base di una “logica” razzista e discriminatoria.

CONOSCERE È NECESSARIO

Nonostante qualcuno preferisca restare cieco di fronte ad una realtà che, dopo 70 anni, continua a riverberare grida strazianti – il 15,6% degli italiani nega che la Shoah sia accaduta – “quel che è accaduto non può essere cancellato”: quantomeno, però, “si può impedire che accada di nuovo”. Il virgolettato appartiene ad Anna Frank e condensa quello che poi è il significato del 27 gennaio, Giornata internazionale di commemorazione in memoria delle vittime della Shoah.

L’imperativo, in estrema sintesi, è “non dimenticare”: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre” – scriveva Primo Levi. L’istituzione stessa della Giornata della Memoria – più tardi ampliata nel Mese della Memoria – da parte delle Nazioni Unite ha, infatti, il fine di esortare gli Stati membri a “sviluppare programmi educativi per infondere la memoria della tragedia nelle generazioni future e impedire che il genocidio si ripeta”.

“ODIO GLI INDIFFERENTI”

Lo strumento più potente nelle mani di chi sarebbe ancora oggi pronto a mietere vittime in nome del razzismo e della discriminazione è senza dubbio l’indifferenza, parente stretta dell’omertà che, come tutti sanno, tiene in vita sistemi mafiosi diffusi e capillari. È il girare la testa dall’altra parte, è la banalità del male di cui scrisse Hannah Arendt e che riuscì a trasformare semplici soldati in carnefici spietati, assetati di morte.

Sul concetto di indifferenza si è speso, a suo tempo, Antonio Gramsci, un gigante della cultura italiana che nelle carceri di Turi ha trascorso parte della sua vita, poiché strenuo sostenitore di un pensiero totalmente opposto a quello del regime fascista in quegli anni vigente. Sempre a proposito di indifferenza, si spera presto che la nostra città possa spogliarsi della sufficienza, del disinteresse mostrati fino ad ora nei confronti dello stesso Gramsci, dell’eredità culturale che ha lasciato ai posteri: “Odio gli indifferenti. Credo che vivere – scriveva Gramsci – voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?”.

RICORDARE IL DOLORE, INCARNANDOLO

Da sempre impegnato a smuovere le coscienze attraverso le note del suo trombone e delle sue tube tibetane, il nostro concittadino Michele Jamil Marzella ha deciso, in occasione della Giornata della Memoria, di omaggiare la cultura ebraica, riprendendo ed arricchendo con sovraincisioni di trombone, il canto popolare Yiddish “Oyfn Pripetshik”, che tradotto significa “Accanto al camino”, ma è in tutto il mondo conosciuto come “L’alfabeto”.

Nella traduzione delle strofe di questa antica filastrocca, si leggono frasi significative come: “Il Rabbino insegna ai bimbi piccoli l’alfabeto ebreo. Quando poi l’esilio voi conoscerete, con il suo gran tormento, affidatevi a queste lettere: lor vi sosterran”.

La rivisitazione di “Oyfn Pripetshik” realizzata da Marzella fa da sottofondo alla danza, ai movimenti viscerali, a tratti drammaticamente convulsi, a tratti dolci e leggeri, del talentuoso Mimmo Linsalata, artista performer di danza contemporanea, già ballerino della compagnia spagnola “Martz Contemporary Dance Company” di Eva Sanchez ed attualmente ballerino della compagnia “Altradanza” di Domenico Iannone.

Il video è stato pubblicato su YouTube alle ore 15.00 di mercoledì 27 gennaio: “È una produzione – commentano i due artisti – a scopo esclusivamente divulgativo, affiche l’arte continui ad essere veicolo di emozione e riflessione, ancor più nell’anno del Covid, in memoria del più agghiacciante genocidio della storia dell’umanità”.

L’intento è stato raggiunto, poiché il video, con i suoni e i movimenti proposti, permette all’osservatore di immedesimarsi nel dolore, di incarnare un’anima contrita, un essere umano mortificato sulla pelle, nel cuore e nella mente.

LEONARDO FLORIO

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