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Svelata la panchina rossa realizzata da Daniela Angelillo

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Com’è stata realizzata? Qual è il suo significato? La virtuosa artista turese spiega la sua visione

Il 25 novembre di ogni anno ricorre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne; la data non è casuale, se si pensa che il 25 novembre del 1981 avvenne il primo “Incontro Internazionale Femminista delle donne latinoamericane e caraibiche”.

In realtà, il valore simbolico di questa giornata va rintracciato ancor più indietro nel tempo, ovvero nel 1960: Il 25 novembre di quell’anno, infatti, tre sorelle furono uccise dagli agenti del dittatore Rafael Leonidas Trujillo, a Santo Domingo, nella Repubblica Dominicana. Dopo essere state fermate per strada mentre si recavano in carcere a far visita ai mariti, furono picchiate con dei bastoni e gettate in un burrone dai loro carnefici, che cercarono di far passare quella brutale violenza per un incidente.

Soltanto nel 1993, tuttavia, grazie alla Dichiarazione di Vienna, la violenza sulle donne venne riconosciuta come fenomeno sociale da combattere; sei anni più tardi, l’ONU istituiva ufficialmente la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

A partire da quel momento, diverse sono state le campagne di sensibilizzazione avviate dagli organi istituzionali; un importante contributo, come spesso accaduto nella storia dell’umanità, lo hanno dato gli artisti, da sempre veicolo di messaggi a sfondo sociopolitico. Uno dei simboli più usati per denunciare la violenza sulle donne e sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema sono infatti le scarpe rosse, “abbandonate” in tante piazze. L’idea nacque nel 2009 dall’artista messicana Elina Chauvet con l’opera “Zapatos Rojas”. Questa installazione è apparsa per la prima volta davanti al consolato messicano di El Paso, in Texas, per ricordare le centinaia di donne rapite, stuprate e uccise a Ciudad Juarez. La stessa sorella di Elina Chauvet, appena 22enne, venne uccisa dal compagno, motivo per cui l’artista messicana mai avrebbe potuto ignorare il fenomeno del femminicidio e della violenza di genere.

LA VIOLENZA DI GENERE: UN FENOMENO DA NON SEMPLIFICARE

Anche a Turi, lo scorso mercoledì 25 novembre, l’arte si è messa a disposizione della sensibilizzazione su questo tema; non Elina Chauvet ma Daniela Angelillo, artista locale, ha realizzato una particolarissima panchina rossa, di cui stiamo per raccontarvi nell’intervista di seguito proposta.

Prima, però, ci sia concesso di affrontare molto rapidamente il tema superando i cliché che, come spesso accade, non permettono una reale comprensione del problema; anzi finiscono per relegarlo a conclusioni pregiudizievoli, etichettando senza troppe cerimonie tutti i maschi come potenzialmente pericolosi. Lo stesso si dica delle cosiddette “relazioni tossiche”, di cui spesso si parla, senza però che questa definizione sia adeguatamente contornata: quali sono i fattori che portano alla “deriva tossica” una relazione sana, almeno in partenza? E soprattutto, è solo la violenza fisica a determinare o a rendere evidente questa evoluzione patologica?

Spesso, infatti, sono le pressioni morali, socialmente e culturalmente indotte, a normalizzare subdolamente determinati patterns comportamentali e relazionali che esulano dalla violenza esplicita, fisica. Si pensi ad esempio al patriarcato o – per quanto concerne la violenza esplicita – allo stesso caso di Franca Viola, la prima donna in Italia ad opporsi al “matrimonio riparatore”, attraverso cui la vittima di uno stupro avrebbe potuto conservare la sua integrità morale – come se fosse stata lei la colpevole dell’atto criminale – sposando colui che aveva perpetrato l’abuso. In estrema sintesi, molte donne fino al 1981 – l’altro ieri – erano praticamente costrette, dopo aver subito lo stupro, a contrarre la proverbiale “sindrome di Stoccolma”. Soltanto nel 1996, come più volte ricordato su queste colonne, lo stupro passò ad essere reato contro la persona e non più semplicemente contro la morale.

Tutto ciò, quindi, per rimarcare l’essenza multilivello della violenza di genere, non certamente limitabile alla dimensione della famiglia o, ancor peggio, alla demonizzazione degli uomini, ma più realisticamente influenzata da diversi fattori. Per quanto possa sembrare difficile da credere, gli stessi abusanti spesso sono stati a loro volta delle vittime di altri abusi, magari normalizzati, come ad esempio un’educazione basata sulle punizioni fisiche e sull’assenza di contraddittorio. All’interno della diade carnefice-vittima va inoltre contemplata la possibilità che quest’ultima sia una “vittima provocatrice”, definizione che – si badi bene – non giustifica la violenza del carnefice, ma che aiuta a comprendere meglio certe escalation di aggressività che vengono a crearsi nelle “relazioni tossiche”. Chiaramente, esaurire questo tema in un articolo è praticamente impossibile, ma deve essere chiaro che la superficialità con cui spesso si tende ad affrontare certi fenomeni così delicati è controproducente, favorisce distorsioni che poi vanno a radicarsi nell’immaginario comune, causando demonizzazioni (sovrastima del fenomeno) e normalizzazioni (sottostima del fenomeno).

UNA PANCHINA DISMESSA DIVENTA OPERA D’ARTE

Torniamo adesso alla nostra Daniela Angelillo, un’artista il cui estro è sotto gli occhi dei turesi ormai da tempo.

Com’è avvenuto il contatto tra te e l’Amministrazione?

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«Circa un mese fa, sono stata contatta dall’assessore Imma Bianco che mi ha proposto la realizzazione di questa installazione. Ho accettato subito entusiasta, perché ritengo fondamentale sensibilizzare la popolazione turese a questo tema così delicato».

Avresti voglia di raccontarci tutti gli steps che hanno permesso la realizzazione di questa tua opera?

«L’idea di partenza era quella di recuperare una panchina dismessa e trasformarla in un simbolo di consapevolezza – che in questo caso ogni donna dovrebbe avere di se stessa, del suo valore e della sua forza – di sensibilizzazione e soprattutto di speranza: le nuove generazioni possono infatti interrompere questa terribile condizione di sottomissione sofferta dalle donne; proprio per questa ragione, sono stati coinvolti i ragazzi dell’IISS Pertini-Anelli ai quali è stato chiesto di scegliere una frase significativa da apporre sulla panchina rossa. Tornando alla realizzazione, avevamo a disposizione una panchina danneggiata su alcune sbarre. Era perfetta! Con le sbarre deformate e corrose sulle estremità, sembrava quasi una gabbia dalla quale qualcuno cercava di liberarsi. Le sbarre pericolanti sono state saldate e messe in sicurezza, quelle deformate, invece, sono state enfatizzate. Successivamente la struttura della panchina è stata ridipinta con smalto rosso. Su una lastra di alluminio, anch’essa di recupero, ho dipinto il volto di una donna in lacrime utilizzando solo il bianco ed il nero. La lastra di alluminio è stata poi sagomata e applicata sul lato destro, al retro dello schienale della panchina. Sempre sullo schienale, a sinistra sul fronte, è stata dipinta la frase scelta dai ragazzi del “Pertini-Anelli”: “Una donna non dovrebbe mai difendersi da chi ama. Questa è la prima e unica regola che un vero uomo deve conoscere” – Valeria Squeo, 4°D”».

IL MESSAGGIO DELL’OPERA

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«Attraverso questa installazione, ho voluto mandare un messaggio chiaro e forte: le donne devono riuscire a trovare la forza di liberarsi dalle oppressioni maschiliste e patriarcali. Crediamo di essere ormai emancipate, perché la società ha fatto importanti passi in avanti; difatti potremmo dire che non assistiamo più alle forme più dure di patriarcato del passato. Tuttavia, a livello sociale, emotivo ecc., molte donne sono ancora incatenate a questo tipo di visione. La panchina vuole esprimere quindi il bisogno per le donne di liberarsi dalla gabbia in cui sono costrette, trovando dentro se stesse la forza e la volontà di piegare un sistema di valori, tenace come il ferro, che non ha come obiettivo il loro benessere e la tutela dei loro diritti».

LEONARDO FLORIO

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