“Cuore della Puglia”, un’opportunità per il territorio
Il fondatore Davide Carlucci fa il punto sui progetti e gli obiettivi dell’associazione di cui fa parte anche Turi
Il turismo enogastronomico sta conoscendo negli ultimi anni una forte ascesa, attraendo un sempre più largo numero di viaggiatori, interessati a conoscere e scoprire tanto le bellezze naturalistiche, storiche e culturali quanto quelle dell’arte culinaria ed enologica locale. Si stima che solo in Europa, ogni anno i viaggi che includono attività enogastronomiche siano oltre 20 milioni. La vacanza enogastronomica è una formula di viaggio che attira anche un crescente numero di italiani. Il fenomeno interessa tanto la “Generazione X”, ovvero i nati tra il 1965 e il 1980, quanto i “Millennials”, nati dopo il 1981.
“Cuore della Puglia” intende scommettere sul binomio turismo – prodotti tipici sfruttando le potenzialità di una rete di Comuni, accomunati dal desiderio di farsi conoscere come depositari di una tradizionale arte culinaria, fondata sull’utilizzo dei prodotti dell’agricoltura locale, come di un ricco patrimonio artistico, spesso dimenticato o non valorizzato al meglio.
Ne parliamo con Davide Carlucci, dal 2013 sindaco di Acquaviva delle Fonti, tra i fondatori del progetto nel 2015.
Come nasce e quali obiettivi si propone di raggiungere “Cuore della Puglia”?
«L’associazione nasce nel 2015. L’idea di fondo è creare quel “paniere dei prodotti tipici pugliesi” di cui si è parlato per anni: un’aggregazione dei Comuni noti per le loro specialità enogastronomiche come lo è Acquaviva per la cipolla, Turi per le ciliegie, Putignano per la farinella, Altamura per il pane, le lenticchie e i funghi cardoncelli… Inizialmente l’obiettivo è essere presenti in Expo 2015, dove riusciamo a portare quasi ottanta imprese e uno stuolo di giovani innovatori nel settore agroalimentare che altrimenti non avrebbero avuto la possibilità di esserci. Poi decidiamo di allargare la nostra sfera di azione: organizziamo concorsi di cortometraggi, notti bianche, pubblicazioni, mostre, iniziative di promozione in Italia e all’estero, eccetera, non limitandoci solo all’enogastronomia ma più in generale a far conoscere il nostro territorio».
Quali le ultime iniziative?
«Siamo stati a Matera Capitale della Cultura nel 2019, dove abbiamo portato scuole e artisti dei nostri Comuni e una sorta di “inno” composto per noi dall’attore Paolo Sassanelli. Quindi abbiamo organizzato una serata di promozione con una delegazione di buyer thailandesi, la “radiografia del Cuore della Puglia”, ovvero uno studio sui principali indicatori statistici ed economici dei nostri Comuni. Abbiamo inoltre affidato a un professionista l’incarico di preparare il dossier di candidatura della nostra area ai finanziamenti destinati ai contratti istituzionali di sviluppo. Infine, abbiamo commissionato una campagna di promozione video e social che attualmente è in fase di realizzazione».
L’enogastronomia pugliese è fatta di uomini e donne che da decenni si preoccupano di coniugare tradizione ed innovazione. È questa la chiave per un successo che vada oltre l’economia locale e si apra all’export? Quali esperienze può raccontare in questo senso?
«Al netto del Covid, che sta fortemente limitando l’export, le eccellenze enogastronomiche pugliesi hanno ancora grosse difficoltà a proporsi sui mercati esteri. Ci sono eccezioni, ma sono legate all’intraprendenza di singole personalità. Malgrado gli sforzi della Regione Puglia e dei Gal, non si riesce a creare un sistema stabile di internazionalizzazione guidata. Qualche tentativo lo abbiamo fatto anche noi, in Canada o a Berlino, ma abbiamo riscontrato da una parte lo scarso interesse degli stessi produttori, dall’altro la freddezza o l’improvvisazione degli enti preposti a sostenere questi sforzi. Si fanno tante iniziative-spot ma non si è ancora in grado di pianificare strategie di penetrazione efficaci in aree straniere utili soprattutto alle piccole realtà locali, quelle che coniugano tradizione e innovazione. Molte di esse hanno molto da offrire ai mercati di nicchia. Per potervi accedere, però, devono rendere esportabile la loro artigianalità, e questo presuppone garanzie e processi di conservazione sui quali devono investire. Ci sono aziende pugliesi che vendono perfino il calzone di pesce in Svezia, ma per farlo si sono affidati a spin off universitarie che seguono con serietà e attenzione ogni passaggio legato alla vita del prodotto. Su queste cose non si può scherzare perché il made in Italy ha una grande autorevolezza che però è stata minata dalle pessime figure che ci hanno fatto fare molti nostri connazionali un po’ cialtroni».
“Cuore della Puglia” è rappresentativo di un’area, la Murgia, che da anni soffre le attenzioni della politica regionale verso altre aree, quali il Salento, la costa e la Valle d’Itria. Cosa è mancato in questi anni? In che modo la politica regionale e nazionale dovrebbe sostenere o galvanizzare l’economia di quest’area?
«Ho già risposto in parte. Aggiungo che un investimento importante nei trasporti per collegare costa ed entroterra e la programmazione di gemellaggi fra località della costa e dell’entroterra potrebbero essere molto utili, anche in funzione di un turismo meno affollato nelle spiagge e quindi compatibile con il Covid. Poi bisognerebbe puntare di più sulla ricchezza culturale dell’entroterra, tenendo conto che però un evento organizzato a luglio a Polignano ha molto più pubblico dello stesso evento organizzato nello stesso periodo ad Acquaviva. Le spese fisse (per non parlare della Siae) sono però le stesse, se non superiori. E questo, quando si finanzia la Cultura in Puglia, va tenuto bene a mente».
PIERLUIGI CASTELLANETA