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Cultura

Quando Turi “iéve nù teàtre”

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Il “Teatro – Cab. 20” (o’ chèpe vìjnde) fondato nel 1974 da venti turesi di vent’anni. Tra questi Pietro Salice, autore de “La dìje d’ù merchète”

Due settimane fa, grazie al contributo di Andrea Lenato e della sua pagina “Turi ai lov”, ci siamo avvicinati all’etimologia e al significato dei due sinonimi “stangachiàzze” e “squagghiasòle”, per poi passare alla distinzione tra coloro che “s’ammènene a’ spezzè” e chi, invece, tende ad “ammenàrse o’ gràtte”.

Nell’ultimo numero, la faccenda si è complicata poiché, sempre a partire dall’analisi di alcune espressioni dialettali, si è parlato di dote nuziale, ma soprattutto si è tentato di far chiarezza sul senso proprio e sulle varie applicazioni nell’uso quotidiano della frase “Nàn puète allemè u’ stuèzze, ci u’ père na’ jàcchie u’ suèzze”. L’articolo in questione veniva introdotto con la riproposizione di un testo declamato sulla pagina Facebook “Turi iè bell” da Pino Savino. Trattasi di una composizione di rime scritte in vernacolo, in cui sono protagoniste due comari, per natura e definizione avvezze al “taglio”, intente a scambiarsi alcune confidenze tra le bancarelle del mercato turese.

Di seguito riproporremo il testo, pur considerando prioritarie alcune questioni: qual è il titolo di questa poesia? Quando e da chi è stata scritta? Era forse parte di un’opera più estesa? Senza l’aiuto dei nostri lettori, sarebbe stato per noi quasi impossibile rispondere, pur avendo il nostro settimanale già approfondito questo testo ad ottobre del 2012.

“La dìje d’ù merchète”: la storia vera

la canzone del mercato

All’epoca, infatti, accoglievamo e pubblicavamo una lettera firmata in calce da Pietro Salice, autore della poesia in questione, intitolata, come stiamo per leggere, “La dìje d’ù merchète”:

«Gent.mo Direttore, la scorsa settimana […] è stata pubblicata una così detta filastrocca dal titolo “La dìje d’ù merchète”. Ciò mi dà motivo per chiederLe spazio per, in proposito, raccontare come, perché e da chi fu scritto quel testo, considerato che lo stesso viene più volte ricordato male, parzialmente ed anche corre il rischio di essere attribuito erroneamente.

Correva l’anno 1975 e alcuni giovani turesi, tra cui il sottoscritto, capeggiati dall’indimenticabile Michele Resta, già da un anno, avevano dato vita al “Teatro – Cab. 20”, un’associazione culturale che, attraverso la proposizione e promozione del teatro e cabaret, cercava di dare una svegliata al paese e qualificare l’uso del proprio tempo libero.

Nella ricerca dei testi e degli argomenti da portare in scena, sollecitati dall’esempio del teatro popolare già vivo e acclamatissimo nella vicina Sammichele di Bari, decidemmo che anche le nostre tradizioni popolari meritavano gli onori della ribalta. Con uno sguardo, certo leggero, ma capace di indagare e mettere in evidenza i difetti e i pregi della turesità, allestimmo uno spettacolo in vernacolo che intitolammo: “Turi, c’è bèlle”.

Era una dichiarazione d’amore al nostro paese, resa attraverso la proposizione di cinque “quadri”. […] I suddetti quadri erano introdotti da brani musicali originali, composti per l’occasione. A me, oltre ad una particina iniziale, toccò il compito di scrivere ed eseguire la canzoncina per il terzo quadro incentrato sul venerdì al mercato. E così, sul motivo di una canzoncina folk, buttai giù il testo non senza i tanti suggerimenti dei presenti, componenti la compagnia, soprattutto quando la rima si faceva più ardita.

Quell’esperienza ha, tra l’altro, partorito anche un’altra canzoncina legata al quadro sulla festività di Sant’Oronzo; testo che mi riprometto di passare alla stampa, perché anche questa sia ricordata come la prima».

In sintesi, trattasi di una canzone di cornice, propedeutica, necessaria per accompagnare il pubblico nella nuova scena, con lo stesso Pietro Salice, in posizione di proscenio.

IL “TEATRO – CAB.20” COSTRUITO NELLA SALA GIUSEPPINA

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E se è vero che da cosa nasce cosa, lo stesso si può dire quando si ha il desiderio di ricercare, perché da risposta nasce domanda.

Cos’era il “Teatro – Cab. 20”? E come mai questo nome?

«Era un’associazione culturale che intendeva fare teatro e cabaret, da cui giust’appunto prese il nome: “Teatro e Cab.” dove “Cab.” sta per “cabaret”; venti – puntualizza Pietro Salice – come il numero dei suoi soci fondatori, per altro quasi tutti ventenni. Era il 1974 e animati da Michele Resta, come vi scrivevo alcuni anni fa, si decise di prendere in locazione quella che adesso è la sede della CISL, ma che al tempo era stata la famosa “Sala Giuseppina”: quella Sala, che un tempo era stata scelta da tantissimi turesi per la festa delle proprie nozze, conservava ancora un suo fascino; del resto sui muri v’era ancora memoria dei balli e delle gioie dei matrimoni di molti dei nostri genitori. Fu un’esperienza entusiasmante realizzare in quel luogo un teatro tutto nostro. Era un po’ l’invidia di tutto il circondario».

Quindi costruiste un teatro quasi da zero?

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«Certo, proprio da zero. Rilevammo quella sala, la ristrutturammo e, con la collaborazione e l’aiuto di tanti artigiani turesi, la dotammo di palcoscenico, sipario e circa 80 posti a sedere. All’epoca ci si strutturava in GAD (Gruppi di Arte Drammatica) e noi demmo vita al nostro».

Il gruppo del Cab. 20, insomma, era piuttosto solido nella sua struttura e, non da meno, degno di nota dal punto di vista delle sue uscite in scena: «Il nostro riadattamento teatrale del radiodramma “Der Turm” (La torre) di Peter Weiss venne perfino selezionato nel novero FITA degli spettacoli dell’intera Puglia e di tutti i suoi GAD» – spiega il nostro intervistato. E non finisce qui: «Fummo invitati, nell’ottobre del ’77, al 28° Festival Nazionale di Arte Drammatica a Pesaro: parliamo di un festival a cui presero parte compagnie e drammaturghi importanti, dove uno spettacolo allestito dal GAD di Mola vantava la firma di Eduardo De Filippo. In ogni caso, noi turesi facemmo la nostra bella figura. Dopo quell’esperienza continuammo e, potendo contare sul nostro teatro, in loco demmo vita a 3 stagioni teatrali, per le quali allestimmo diversi lavori e ospitammo spettacoli di altri gruppi: potevamo d’altronde contare su un pubblico che era sempre numeroso e che sottoscriveva un discreto numero di abbonamenti».

Lo spettacolo 'La Torre'

Al Cab. 20, che poi per qualcuno diventò “chèpe vìjnde”, non poteva mancare la presenza di Saverio Costantino, di cui Pietro Salice conserva teneramente un ricordo proprio relativo allo spettacolo “Turi, c’è bèlle”: «A questo lavoro Saverio diede un grande tributo, interpretando più ruoli. Memorabile, tra gli altri, resta la caratterizzazione ed interpretazione di una tipica donna turese, che Saverio eseguì in maniera magistrale e spassosissima. Lo spettacolo potè dirsi particolarmente riuscito, tanto da suscitare l’attenzione di Vito Maurogiovanni, importantissimo drammaturgo barese e animatore del “Teatro Purgatorio” in Bari».

“SCOPPIÒ DI SALUTE”

Com’è andato a concludersi l’aureo capitolo del “Teatro Cab.20”?

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«Scoppiò di salute. Siccome quel teatro rappresentava una realtà palpitante, fece insorgere da parte di altri associazioni la domanda di poter condividere quello spazio culturale. Dopo alcune assemblee cittadine – perché sì, la vera perla di questo racconto è che a Turi a fine anni ‘70 si tenevano le assemblee cittadine – raggiungemmo un’intesa: come “Teatro Cab. 20”, potendo contare sulle promesse, mai mantenute, di contributo dell’Amministrazione comunale del tempo, decidemmo di condividere quello spazio che diventava così comune e, al suo interno, oltre alle nostre sperimentazioni ed ai gruppi teatrali o musicali di altre città, avrebbe ospitato anche altre intenzioni di animazione da parte di altri gruppi turesi. Creammo delle commissioni: a Rino Valerio, ad esempio, affidammo la responsabilità di organizzare incontri di poesia; Raffaele Valentini si incaricò di realizzare appuntamenti di cineforum: all’epoca erano occasioni in cui si dibatteva non poco. Memmo De Carolis invece doveva interessarsi di organizzare eventi legati alla pittura. Cosa accadde? Che questa voglia di fare era talmente tanta che finì per creare conflitti, alimentati pure da personalismi e competizioni distruttive; il tempo poi, da par suo, ci mise la mano. Arrivarono le prime opportunità di lavoro, la chiamata alle armi e magari un amore lontano che finirono poi per disgregare il gruppo».

GLI ANNI ’70 CULTURALMENTE FIORENTI

Il 'Teatro Cab. 20' per le vie di Pesaro

A volte il concetto di evoluzione tende a scollarsi dal tempo o, più probabilmente, è illusorio credere che col passare dei giorni non si può che migliorare. A tal proposito, sentendo parlare di un teatro a Turi, di giovani turesi impegnati nella sua gestione e coinvolti nell’arte drammatica, non può che essere oggettiva una constatazione: da questo punto di vista, il nostro paese si è nel tempo involuto, privandosi di un teatro e di un cinema, oltre che di un impianto sportivo comunale. E forse ai turesi è andata bene così, giacché di questi temi non si sente più parlare da qualche tempo, come se in fondo quell’interesse si fosse ormai spento.

Una spiegazione plausibile l’abbiamo chiesta allo stesso Pietro Salice, col quale abbiamo avuto il piacere di ripercorrere pagine meravigliose della storia culturale del nostro paese: «Cambiano i tempi. Noi eravamo figli di un’idea che la vita andava vissuta con impegno: in politica, nella cultura, nello sport, ovunque. Eravamo cresciuti e maturati negli anni dopo il ’68. Gli anni ’70 furono anni fondamentali per Turi anche per lo sport: ricorre ancora il ricordo di Michele Resta, a cui andrebbe ascritto, insieme ad altri, il merito di aver promosso nella nostra città la pallavolo. Una attività da lui tanto voluta, da adibire perfino un locale di proprietà della propria famiglia, situato alle spalle della Chiesa Madre, per svolgerci i primi allenamenti e le prime partite».

Dopo una certa involuzione, vorremmo credere al nietzschiano ritorno dell’uguale; così, perché se è vero che con la cultura non si mangia, è altrettanto vero che non costa nulla sperare di rivedere nel 2020 certe realtà di un passato più avveniristico di quel che poi è stato il suo futuro.

LEONARDO FLORIO

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