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Primo Maggio 2020: cosa c’è da festeggiare?

Vito Notarnicola

Vito Notarnicola rimarca l’importanza della tutela dei lavoratori, attualizzando il senso della Festa del Lavoro

Nella giornata del 1° maggio del 1886 veniva indetto in tutti gli Stati Uniti uno sciopero generale con il quale gli operai rivendicavano migliori condizioni di lavoro: migliori nel senso di più umane, giacché a metà Ottocento non era raro che si lavorasse anche 16 ore al giorno; la sicurezza non era neppure contemplata e i morti sul lavoro erano cosa di tutti i giorni. Sotto certi aspetti, da un punto di vista generale, sono stati compiuti importanti passi in avanti, salvo alcune resistenze in nuce a strutture e settori economici in cui, ancora oggi, sussistono determinate condizioni per cui “lavoro” viene a coincidere con “sfruttamento”; uno sfruttamento talora assodato da tempo e accettato come se fosse normale, talaltra emergente, figlio del Nuovo che avanza: si pensi a tal proposito alla categoria del food delivery.

Nonostante tutte quelle che possono essere le contingenze, rimane classica e affatto condizionabile la sacralità del lavoro, tanto più in un momento di crisi come quello attuale, in cui da festeggiare c’è davvero ben poco. Certi della fallibilità della nostra lettura e desiderosi di celebrare comunque la Festa dei lavoratori, abbiamo pensato di riportare su queste colonne il ben più definito pensiero di chi su questa tema ha certamente voce in capitolo, ovvero Vito Notarnicola, operaio della “Magna Spa” di Bari, nonchè ex rappresentate sindacale ed ora membro del direttivo della Fim-Cisl di Bari.

“BATTERSI PER LA TUTELA”

«Penso che una Festa del “Primo Maggio” in piena pandemia ed in quasi totale isolamento sociale non sia mai capitata a nessuno. Verrebbe da dire che non c’è nulla da festeggiare, perché molti lavoratori, i meno sfortunati, sono a casa in cassa integrazione, mentre i più sfortunati sono in disoccupazione, con poche prospettive lavorative, almeno nel breve termine. Ed è a maggior ragione alla luce di questa situazione drammatica che si fa ancora più evidente l’obiettivo principale della ricorrenza del primo maggio: battersi per la tutela e per l’incremento dei diritti dei lavoratori nei luoghi di lavoro. In queste settimane, poi, si è ancora di più accentuata l’imprescindibilità del binomio lavoratore/impresa, perché l’uno dipende dall’altra e viceversa. Pensiamo, ad esempio, ai tanti focolai di Coronavirus che si sono sviluppati nei luoghi di lavoro ed alle conseguenti chiusure, per sanificazione, che si sono rese necessarie. Nel dover assolutamente tenere conto del binomio di cui sopra (l’imprenditore deve necessariamente fare in modo che i suoi lavoratori stiano bene, pena l’impossibilità di proseguire con l’attività produttiva), in alcune fabbriche si registrano misure che vanno nel giusto verso. Si pensi, ad esempio, alla sottoscrizione con le parti sociali di effettivi e concreti protocolli sanitari in tutela dei lavoratori per metterli in condizione di operare in sicurezza nei luoghi di lavoro, così garantendo la ripresa produttiva (e questo già prima che di tali protocolli se ne parlasse nei vari provvedimenti governativi)».

UNA FRENESIA RISCHIOSA

«Continua, però, a registrarsi una certa frenesia da parte di alcuni datori nel tentativo di riappropriarsi immediatamente di quelle fasce di mercato perse in questi mesi di (quasi) totale chiusura. Tali datori hanno pensato, e continuano a pensare, che con semplici atti amministrativi sia possibile riaprire le rispettive attività produttive, di fatto dimenticando totalmente le più basilari norme di sicurezza per i lavoratori e con ciò determinando grossi rischi di contagio. Per molte piccole e medie imprese i dispositivi individuali di sicurezza erano le ultime cose da acquistare, tanto che alcune ne erano del tutto sprovviste. In molte RSA, come abbiamo letto, i lavoratori sono stati costretti ad operare senza protezioni ed anche senza la possibilità di poter denunciare la violazione dei loro diritti pena il licenziamento (tutto questo in situazione di piena epidemia, figuriamoci cosa accade nella normale quotidianità). Per non parlare del comparto della sanità, che registra, al momento, il maggior numero di perdite umane».

I LAVORATORI EXTRACOMUNITARI

«C’è poi la vicenda relativa al settore agricolo ed alle enormi difficoltà in cui versa, quest’anno in particolare. La Ministra Bellanova continua a sostenere che sia giusto regolarizzare i braccianti extracomunitari per poterli poi impiegare (e sappiamo che la loro mancanza comporterebbe, come già sta comportando, l’impossibilità di portare avanti il lavoro nelle campagne). Regolarizzare i lavoratori extracomunitari non significa altro che poter assumere forza lavoro che si trova ora in evidente posizione di debolezza, contrattuale e non solo, rispetto a datori che impongono tariffe ed orari regolari solo sulla carta, ma del tutto disumani nella concreta realtà (cosa che continua ad accadere nelle campagne foggiane, ad esempio). Questa situazione mi ricorda tanto un pezzo del bravo attore veneto Andrea Pennacchi nei panni del Pojana: i lavoratori moldavi impiegati presso la sua azienda non si presentano in fabbrica poiché costretti in patria dal blocco dei trasporti ed il Pojana si vede obbligato ad impiegare lavoratori italiani, i quali mettono subito in chiaro i propri diritti, tanto da risultare, a detta del datore, meno produttivi del moldavi e da portare il Pojana a chiudere il suo monologo con un’affermazione che non lascia dubbi: “Mi mancano i miei lavoratori moldavi!».

LA SPERANZA DI UN RISVEGLIO

«Queste sono solo alcune delle ragioni per cui ritengo necessario continuare a festeggiare il “Primo Maggio”. Tra le tante speranze di cui vorrei farmi portatore, condivido con voi la seguente: che questa epidemia abbia risvegliato per entrambe le parti in gioco, lavoratori e datori di lavoro, la coscienza di quanto sia importante il rispetto delle norme di sicurezza e la consapevolezza della potenzialità della formazione come strumento di continuo miglioramento».

LEONARDO FLORIO

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