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“Nessuno pensi che di Covid non ci occuperemo più”

onofrio resta

Il centro Covid di Bari, la gestione del virus e le prospettive sul futuro socioeconomico nazionale: parla Onofrio Resta, Direttore del Reparto UTIR Covid

Un mese fa, veniva terminata con insolita tempestività la riconversione in centro Covid del padiglione Asclepios del Policlinico di Bari. Al suo interno, in qualità di Direttore del Reparto UTIR Covid, troviamo come tutti sapranno il Prof. Onofrio Resta, capogruppo di maggioranza nell’attuale Giunta comunale, di seguito intervistato con una serie di domande – è il caso di dirlo – ad ampio respiro.

Prof. Resta, alla luce di questa sua esperienza in prima linea contro il virus, potrebbe spiegarci in breve com’è stato strutturato il centro Covid?

«Il Policlinico ha riconvertito un vecchio stabile dell’Asclepius, dal quale sono state mandate via tutte le chirurgie fino a quel momento presenti. Nei cinque piani sono state poi distribuite le diverse strutture preposte al trattamento e al ricovero dei malati».

Sono 250 i posti letto a disposizione nella struttura, dotata di un accesso diretto dal Pronto Soccorso, dove i pazienti vengono accolti e poi indirizzati in base alle esigenze e alla gravità del proprio specifico caso: «Noi abbiamo preso le forme più gravi, ovvero soggetti che hanno avuto bisogno di essere ventilati, o con intubazione in maniera invasiva o, in maniera non invasiva, con la maschera».

Più tardi, nel tentativo di inquadrare un giudizio generale, quanto verosimile, sulla risposta del sistema sanitario italiano, il Prof. Resta non esclude dall’analisi alcuni fattori che hanno giocato a favore della sanità meridionale che, rispetto alla Lombardia, «ha certamente retto. È anche vero che siamo stati fortunati nella tempistica, subendo un assalto successivo alla Lombardia, tuttavia meglio contenuto grazie al controllo del distanziamento sociale che, seppur non perfetto come in altre nazioni o ad esempio in Veneto, ha permesso di ridurre il numero dei malati previsti. In Puglia bisognava essere pronti per far sì che non accadesse quanto invece accaduto in Lombardia, dove l’assalto improvviso ha causato grossi problemi di funzionamento e gestione della sanità».

Un parere sulle politiche sanitarie regionali?

«Dal punto di vista dell’emergenza è indubbio che bisogna fare qualcosa in più. È necessario attrezzarsi, anche perché ogni 7-8 anni si presenta una nuova grave emergenza: manca un piano delle pandemie. Qualcosa non torna, dopo aver visto la Lombardia, considerata da alcuni miglior sistema sanitario d’Europa, soffrire in quel modo ed essere sotto schiaffo per parecchio tempo. Adesso abbiamo spalmato in termini di virus tutto ciò che comunemente avviene in 6-7 mesi in un solo mese e questo bisogna considerarlo».

Come reputa la gestione dell’emergenza da parte dell’Amministrazione Resta?

«Ho seguito molte delle iniziative prese dal Sindaco. Da quel che ho letto e che mi hanno riferito penso personalmente che sia riuscita benissimo nella gestione di questa fase. Una persona che anche a spregio del pericolo è stata, come si suol dire, sempre sul pezzo, ha girato il paese, non ha dimenticato nulla e nessuno, continuando a rappresentare un punto di riferimento per tutta la popolazione. Questo è un grosso merito per il Sindaco che, oltre che seguire le indicazioni regionali e quelle ministeriali, può far poco; lei, invece, è stata vicino in tutti questi giorni alle problematiche serie della popolazione. Vorrei inoltre ricordare, scusandomi della mancanza come delegato ai servizi sociali, il grande impegno dell’assistente Pizzutilo, sempre a disposizione dei turesi e in giro col Sindaco per aiutare e sistemare le situazioni più difficili.

La battaglia la si sta vincendo e si vince negli ospedali, ma la guerra si vive sul territorio e la prima salvaguardia avviene con il riconoscimento della malattia nel territorio. Per cui medici generalisti e territorio devono stare attenti al controllo continuo della fascia più falcidiata, ovvero gli anziani ma soprattutto gli anziani con comorbilità. Senza il controllo del territorio la prossima volta sarà dura».

Condivide la tempistica della fase due o la ritiene prematura?

«In realtà temo che ci sarà una fase due, tre, quattro… finché non avremo il vaccino. Deve essere tutto graduale. Ad oggi non abbiamo debellato la malattia: abbiamo creato una serie di ostacoli per far sì che il virus potesse ridimensionare la sua carica di contagio con una serie di iniziative di buonsenso. Ora entreremo nella fase 2, quella dai pesanti risvolti economici nel mondo del lavoro e della coesistenza col virus: non possiamo più permetterci di chiuderci in casa, di non far lavorare le persone, di ridurre sul lastrico i nostri imprenditori, di rendere difficile il lavoro che spesso è già precario per molta gente. Bisogna mettere in campo azioni che impediscano una ripresa della malattia o di una ricaduta. In qualità di medico, avendo inoltre maturato l’esperienza della SARS, penso all’influenza e al vaccino con cui si pensava fosse debellata; ogni anno, però, muoiono anziani multimorbigeni, con influenza e insufficienza respiratoria: tuttavia è anche vero che l’influenza si spalma in 5-6 mesi. In futuro nessuno pensi di abbassare la guardia e soprattutto che di COVID non ci occuperemo più».

Cosa bisognerà fare secondo lei per dar modo alla nazione di ripartire?

«Mi pronuncerei senza troppa competenza e soprattutto sarebbe presuntuoso da parte mia pensare al lavoro che si farà a livello governativo. Penso tuttavia che non si può morire anche una seconda volta: son molte tante persone per il virus, non facciamo far morire di fame l’Italia, il cui PIL si è ridotto notevolmente e la cui condizione sociale non è delle migliori; in questo momento, per tutti gli accorgimenti che verranno presi, abbiamo bisogno di persone che abbiano chiari gli obiettivi e i principi e che sappiano prendere in mano l’Italia un’altra volta e riportarla su quella via che, seppur con di difficoltà, ci ha permesso di cominciare a vedere la luce durante gli anni scorsi. Ora siamo al buio. Questo momento storico dimostra la necessità di votare persone che abbiano capacità, competenza, passione e voglia di far bene. Se non abbiamo questa gente a dirigere le operazioni, non andiamo da nessuna parte. E soprattutto la progettualità, le idee: i politicanti in questo momento non servono. Impariamo a votare gente che abbia tutte queste qualità e che non faccia politica solo per un vezzo personale, senza idee oppure soltanto per trascorrere la giornata».

Conferma la sua tesi per cui il virus “preferirebbe” i polmoni sani a quelli dei fumatori?

«Quella del rapporto tra fumo e Covid è stata un’esemplificazione estrema della stampa e qualcuno l’ha usata anche strumentalmente. Personalmente ho fornito i numeri, fatto riferimenti a pubblicazioni e lavori italiani condotti da esperti che hanno approfondito davvero la malattia, ed è indubbio che questa malattia colpisca molto meno del virus influenzale i fumatori e quelli che hanno malattie legate al fumo. Bisognerà capire perché. Ovviamente questo non vuol dire che per non prendere la malattia bisognerebbe fumare».

Nelle battute conclusive di quest’intervista, il Prof. Resta torna, seppur soltanto con la mente, a Turi e a Maurizio Pinto: «Spero di poter tornare a Turi molto presto, quando sarà di nuovo concessa la trasferibilità in altri paesi; ma soprattutto, anche alla luce dei miei durissimi impegni, penso a quando torneremo a rivedere e a parlare, insieme, con i nostri cittadini, in piazza e nella villa comunale. Porto con me la sensazione negativa di quello che è stato il primo decesso turese e che secondo me ha avuto un esito infausto anche per situazioni non direttamente collegate alla malattia.

LEONARDO FLORIO

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