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Coronavirus, che ne sarà delle ciliegie?

Vito De Nigris

I rischi temuti dai produttori turesi: intervista a Vito De Nigris

“L’Italia intera sta vivendo un momento delicatissimo. Il Covid-19 si sta diffondendo rapidamente e le necessarie misure preventive a tutela della salute pubblica, introdotte dalle autorità governative, nonché i danni d’immagine subiti dal Made in Italy e le conseguenze sull’esportazione dei nostri prodotti, stanno inevitabilmente ponendo diversi settori economici e commerciali del Paese in serie difficoltà”.

Si apre così la lettera inviata la scorsa settimana in redazione dal gruppo “Patto per Turi”, con uno sguardo che dal generale passa poi al particolare: “In ambito locale, Turi e altri Comuni limitrofi si preparano ad avviare tra pochi giorni una complicata nuova campagna cerasicola, da sempre traino dell’economia paesana e dell’indotto commerciale. Inoltre, le raccomandazioni governative, tese ad evitare la diffusione dei contagi, sarebbero difficilmente applicabili nelle foresterie e/o nelle aree di accoglienza dedicate ai lavoratori stagionali che, da diversi anni, giungono numerosi per trovare impiego nelle nostre campagne, soggiornando spesso in condizioni molto precarie”.

IL TAVOLO TECNICO-POLITICO VOLUTO DA PATTO PER TURI

Tutta questa premessa, appena riportata testualmente, ha condotto il gruppo di minoranza a due richieste, poste all’attenzione del sindaco Tina Resta, dell’assessore alle politiche agricole Stefano Dell’Aera e del consigliere delegato alla sicurezza Teresita De Florio: la valutazione e la prevenzione dei rischi economico-finanziari a cui il comparto cerasicolo sarà sottoposto a causa del Coronavirus; la gestione del fenomeno dei lavoratori stagionali dal punto di vista sanitario e dell’impiego.

Insomma due obiettivi estremamente importanti e, in aggiunta, alquanto bollenti data la scadenza ultima entro la quale un intero settore produttivo deve assolutamente rispondere per evitare un probabile collasso. Per queste ragioni, nella visione di Angelo Palmisano e del suo gruppo, è necessario creare un tavolo tecnico-politico, al quale devono partecipare gli amministratori locali dei territori produttori di ciliegie, al fine di ottenere un incontro con l’Assessore Regionale all’agricoltura, dott. Michele Emiliano, e il Ministro dell’agricoltura, Teresa Bellanova.

L’INTERVISTA

La preoccupazione tra le “vie de fòore” è palpabile e certamente comprensibile. Negli ultimi anni gli agricoltori turesi hanno dovuto incassare duri colpi, tralasciando la fisiologica tensione nei concitati momenti della fioritura e della raccolta delle ciliegie che ricorre ogni anno.

È un’apnea, a tratti un’ipnosi, che dura un paio di mesi, durante i quali è necessario correre contro il tempo meteorologico e quello del mercato. Come se non bastasse, in questa corsa il 2020 ha pensato di inserire un nuovo concorrente, di quelli veramente implacabili: il “caro” COVID-19. Caro in realtà potrebbe essere il prezzo che dovranno pagare tanti cerasicoltori turesi, in queste ore carichi di dubbi e davvero poveri di certezze.

Per captare i punti interrogativi che maggiormente stanno preoccupando i produttori turesi, ne abbiamo intervistato uno, Vito De Nigris, classe ’92, dell’Azienda Agricola De Nigris.

Quando inizierà orientativamente la raccolta?

«In genere, come tutti sanno, dopo i primi dieci giorni di maggio. Tuttavia nelle ultime settimane si sono registrate temperature parecchio altalenanti anche per via della tropicalizzazione che sta interessando il mondo intero. Il ciliegio ha poi bisogno per natura di inverni freddi e non miti come quello che stiamo per concludere. In ogni caso, rispondere alla domanda è difficile perché, come dicevo, abbiamo avuto molti sbalzi termici ultimamente: nel week-end scorso ci sono stati picchi di 20-22°C di giorno, oltre 10°C in più rispetto alla notte. Gli sbalzi termici creano problemi alla fioritura e dunque, per adesso, è difficile fare previsioni».

C’è preoccupazione tra i produttori riguardo le problematiche che il COVID-19 potrebbe comportare durante la raccolta?

«Da parte di alcuni c’è fiducia. Fiducia nel fatto che la filiera agro-alimentare dovrebbe essere coperta dallo Stato se il COVID-19 dovesse interferire con la normale produzione e distribuzione delle ciliegie. In ogni caso spero che molti produttori abbiano preso in considerazione il problema non solo dal punto di vista della vendita ma anche da quello della raccolta».

LE QUATTRO SPADE DI DAMOCLE

Tornando alla più fresca, ma assai più bollente e spinosa questione degli effetti che il Coronavirus potrebbe avere sul comparto cerasicolo nell’immediato futuro, Vito De Nigris denuncia quattro preoccupazioni che pendono, come la spada di Damocle, sulla testa di tanti produttori.

Per prima cosa, a proposito delle risorse umane che verranno impiegate durante la raccolta, sarà difficile diagnosticare e monitorare lo stato di salute degli operai senza tamponi o altre misure utili; inoltre, non va dimenticato il problema degli spostamenti, poiché, stando così le cose, un’azienda con molti operai subirebbe una stangata devastante, dovendo impiegare rispetto a ieri, per lo stesso numero di operai, più mezzi di trasporto e carburante. Discorso simile, sempre incentrato sull’obbligo di mantenere la distanza di sicurezza, concerne la raccolta: lavorare distanti si può, ma quanto è efficiente?
Per ultimo, come denunciato da Patto per Turi, il discorso della commercializzazione: «Molte aziende guadagnano anche commercializzando all’estero. Bisognerà salvaguardare questo mercato, perché quello interno, con la sua domanda, non è sufficientemente grande per rispondere ad un’offerta prodotta e solitamente destinata anche ad altre nazioni».

CHE NE SARÀ?

«Il rischio è che la ciliegia, essendo un prodotto pregiato, diventi inaccessibile a molti consumatori o che, al contrario, si svaluti pesantemente. Immagino che quest’anno molti agricoltori, se rimane così la situazione, daranno in affitto o venderanno il proprio terreno. C’è chi è fiducioso e chi è pessimista, ma quasi tutti sono comunque in stato d’allerta». L’aria – è il caso di dirlo – è “trùvele”: si spera in un raggio di sole.

LEONARDO FLORIO

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