Tazze sulle sbarre al Carcere di turi
Lunedì 9 è iniziata una protesta da parte dei detenuti rinchiusi nel nostro carcere. Chiedono l’indulto per Coronavirus
Nel tardo pomeriggio di lunedì, tra le varie prese di coscienza che stanno interessando tutti quanti noi, se n’è aggiunta un’altra: Turi ha, nel bel mezzo del proprio territorio, un carcere. Banale dirlo, ma ricordarsene un po’ meno, anche perché, fortunatamente, tutto accade silenzioso tra quelle inaccessibili mura che si affacciano sui nostri giardini pubblici. Ogni tanto, però, la quiete è interrotta dal fragoroso tintinnio delle sbarre in protesta. Questa volta a motivare gli animi caldi dei detenuti è stato il COVID-19.
Da Modena, a Pavia, a San Vittore a Milano, da Reggio Emilia a Ferrara, fino ad arrivare all’Ucciardone di Palermo e a Foggia dove è caccia agli evasi: negli scorsi giorni è dilagata la protesta nelle carceri italiane, sull’onda del timore per il contagio da Coronavirus e a causa delle restrizioni, dovute allo stato di emergenza, ai colloqui con i familiari. Ad aggravare la psicosi il sovraffollamento che, in questo caso come non mai, non ha affatto giovato all’ordine mantenuto negli istituti penitenziari: oltre una ventina in tutta Italia sarebbero diventati teatro di tafferugli, proteste e vere e proprie rivolte che hanno comportato la morte di non pochi detenuti.
UNA PROTESTA INUTILE MA NON DEL TUTTO ASSURDA
Certamente è impossibile sostenere la tesi opposta a coloro che credono totalmente inutile la protesta dei detenuti, i quali, piuttosto, beneficerebbero della propria condizione sicché già in isolamento sociale “per forza di cose”. Protesta inutile, ma non assurda, considerando che, nel mondo civile, dove si presume che la gente assennata sia quantomeno la maggioranza, le forme di psicosi e i comportamenti al limite dell’incoscienza sono stati davvero molti. Questa non vuole essere una giustificazione, ma una spiegazione, nemmeno troppo pretenziosa, dei fatti e dei discutibili protagonisti.
I FATTI DI LUNEDÌ… E LA PROTESTA CONTINUA
Ad ogni modo, alle 19.30 di lunedì, un gruppo di mogli dei detenuti era davanti al carcere di Turi per chiedere l’indulto e altre forme di detenzione alternative alla carcerazione, con l’obiettivo di poter preservare la salute dei propri mariti incarcerati. Una richiesta che, nonostante la difficile aderenza alla realtà, trova ancora una volta le proprie ragioni nell’ignoranza e nella paura dei soggetti colpiti, spaventati dalla prospettiva di rimanere in condizioni socioeconomiche ancor più difficili qualora venisse meno il “capofamiglia”.
Ovviamente ingiustificabile è invece la protesta fatta con toni accesi, magari con un carico di uova da lanciare: certamente, data la situazione, altra tensione è difficile che sia necessaria o addirittura tollerata da una popolazione civile già di suo visibilmente stressata a causa dei decreti che da lunedì in poi sarebbero stati emanati.
Fatto sta che la situazione sarebbe forse sfuggita di mano, se non fosse stato per l’intervento della Polizia Locale e dei Carabinieri che hanno provveduto a disperdere gli assembramenti che si stavano formando per strada con la presenza dei parenti dei detenuti e di tanti curiosi. Fortunatamente hanno prevalso le ragioni di sicurezza stradale e di ordine pubblico, ma soprattutto sono state fatte rispettare le disposizioni sul contenimento del COVID-19, che vietano la formazione di assembramenti in luoghi pubblici o aperti al pubblico.
In ogni caso, nei giorni successivi, la protesta ha avuto seguito, questa volta nelle ore notturne. È chiaro come uno stato d’emergenza possa slatentizzare situazioni, fino a quel momento tamponate, di difficile gestione come quelle ben visibili da anni nelle carceri italiane: a pagarne in questo caso sono ancora una volta gli agenti di Polizia Penitenziaria e, in una certa misura, anche i detenuti.
LEONARDO FLORIO
Contibuti video girati da una nostra lettrice