Archivio Turiweb

La Voce del Paese – un network di idee

Cultura

La Candelora, un’incredibile tradizione mondiale

candelora

Don Giuseppe spiega il senso religioso di una ricorrenza celebrata da secoli in tutto il mondo, tra credenze meteorognostiche e tradizioni gastronomiche

Candelora è il nome più conosciuto di quella che in realtà è la festa della Presentazione al Tempio di Gesù, celebrata dalla Chiesa cattolica il 2 febbraio. Durante la celebrazione liturgica si benedicono le candele, simbolo di Cristo “luce per illuminare le genti”, come il bambino Gesù venne chiamato dal vecchio Simeone al momento della presentazione al Tempio di Gerusalemme.

Inizialmente, ovvero fino alla riforma liturgica successiva al Concilio Vaticano II, la festa era chiamata Purificazione della Beata Vergine Maria; con la riforma si volle ricondurre la celebrazione all’evento originale, cioè, come detto poc’anzi, quello della Presentazione al Tempio di Gesù. Ebbene le protagoniste di questo momento di profonda devozione sono le candele, le quali vengono benedette dal sacerdote durante la celebrazione.

Per meglio comprendere il senso religioso della Candelora abbiamo intervistato Don Giuseppe Dimaggio, parroco della Chiesa SS. Maria Ausiliatrice, nella quale, domenica 2 febbraio, è stata celebrata la luce divina: «Domenica scorsa, la Chiesa ha celebrato la festa della Presentazione di Gesù al Tempio. Possiamo affermare che tale festa altro non è che il racconto di cosa sia la luce quando tocca la vita delle persone. Quaranta giorni dopo la sua nascita, Gesù incontra nel tempio il Dio dei suoi padri, entra nella comunità dell’alleanza osservandone la Legge, compie la prima offerta rituale attraverso i suoi genitori e incontra il popolo dei credenti nelle persone di Simeone ed Anna. Ed è proprio uno di questi due fedeli, Simeone, a comprendere che quel figlio d’Israele è qualcosa di molto grande. È su Simeone che vorrei fissare la mia attenzione perché esprime la gioia serena di “aver visto la salvezza preparata davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti”.

A tal riguardo, oso prendere in prestito le parole di don Luigi Epicoco, il quale commentando la pericope evangelica dell’evento sopracitato dice: “Anche noi, come il vecchio Simeone passiamo la maggior parte della nostra vita nel buio di un’attesa. Attendiamo qualcosa dalla vita e lo facciamo a luce spenta, tentando di andare avanti anche quando mancano risposte importanti, anche quando tutto non è chiaro. La fede non è forse un’ostinazione a camminare nel buio nonostante il buio? E questo è possibile solo se si crede con tutto noi stessi che la Luce esiste e che vale la pena credere in lei e aspettarla, fosse anche per tutto il tempo della nostra vita. La buona notizia che ci è stata consegnata, domenica scorsa, è esattamente questa: giunge il tempo in cui s’incontra ciò che si è sempre aspettato. È quello il giorno in cui si può lasciare tutto il resto, esattamente come dice Simeone: “Ora, o mio Signore, tu lascia andare in pace il tuo servo, secondo la tua parola…”. È un modo più raffinato di dire un’espressione così diffusa nel popolo: “Dopo questo, posso pure morire”. Sembra un po’ macabra come affermazione, ma in realtà è un distillato di gioia. Infatti ci sono momenti in cui si comprende che si è davvero incontrato ciò che ha reso la nostra vita qualcosa per cui valga la pena. Capita guardando un figlio, una persona amata, un pezzo della propria vita, un paesaggio, e persino in alcuni casi un dolore che ci ha fatti scoprire più umani. Quando si fa questa esperienza si è così grati da non avere più paura di niente, neanche della morte».

Ci sia concesso sottolineare quest’ultimo passaggio appena riportato dell’esegesi di Don Giuseppe, strutturata con una dialettica comprensibile, mirabilmente vicina al cuore delle persone, e questo non è poco. “Simeone – aggiunge il parroco – altro non è, quindi, che un segno per tutti noi, proprio come la vita cristiana, che è tale solo se indica qualcosa al mondo: una Luce. Penso a quella candela benedetta che molti di noi hanno portato a casa. È un gesto semplice, ma moto significativo. La tradizione vuole che questa candela si accenda nei momenti di temporale e di pericolo. Mi è sempre molto piaciuto come gesto. Il senso, infatti, è tutto nelle parole della benedizione: “Benedici questi ceri e ascolta le preghiere del tuo popolo che viene incontro a te con questi segni luminosi”. Ognuno di noi, portando a casa quella candela, non si ritroverà tra le mani solo un pezzo di cera, ma si sentirà accompagnato dalla Luce di Cristo, quella Luce che dovremmo fare entrare nelle nostre case e nelle nostre situazioni. Pensiamo, per un attimo, alla possibilità di usare più spesso queste candele: quando si alza la burrasca tra marito e moglie, tra genitori e figli, oppure quando “il cielo sembra oscurarsi sopra di noi”. Ecco, quella candela accesa non ci faccia mai sentire soli e soprattutto non ci faccia mai sentire al buio».

La luce, e la storia lo insegna, è stata fondamentale nell’evoluzione dell’essere umano, sia che la si voglia intendere ed elogiare da un punto di vista laico, che da uno religioso: questo simbolo è troppo importante per essere sottovalutato.

La Cannelòre a Turi, in Italia e in Europa

“La Cannelòre: ce na’ ‘nneveche e na’ cchiòve, la vernète nan’ è fòre. N’alde quarànda dìje jè vjìrne angòre”. Al 2 febbraio, giorno della Candelora, viene attribuita un’insolita capacità di prevedere la fine dell’inverno e, per questo, è oggetto di numerosi e variopinti proverbi dialettali meteorologici.

A Turi, sperando di non sbagliare, si afferma che se nel giorno della Candelora non si riscontrano la pioggia o la neve, allora in tal caso l’inverno non è ancora terminato: anzi saranno necessari altri 40 giorni di attesa prima che sopraggiunga la primavera. E se pensavate, erroneamente come noi, che questo detto fosse patrimonio esclusivo della nostra città, allora dobbiamo deludervi. Siamo andati a scomodare il “Dizionario comparato di proverbi e modi proverbiali italiani, latini, francesi, spagnoli, tedeschi, inglesi e greca antichi” di Augusto Arthaber (HOEPLI Editore, 1972). Ecco parte del materiale che abbiamo con molta sorpresa scoperto.

“Si sol splendescat Maria Purificante, major erit glacies post festum quam ante”. In questo caso la Candelora è chiamata “alla vecchia maniera” Maria Purificante, ovvero com’era conosciuta prima della riforma del Concilio Vaticano II di cui si parlava in introduzione; da notare che qui la presenza del Sole predirebbe un inverno anche più freddo di quello trascorso da metà dicembre fino alla stessa Candelora. Tanta certezza trova sostegno in quanto si sta verificando quest’anno: dopo una finta primavera registratasi nei primi tre giorni di febbraio, adesso, mentre stiamo scrivendo, si intravede qualche inedito fiocco di neve. Cambiamenti climatici o meno, la saggezza degli antichi, in questo proverbio latino, appare classica nel senso più stretto del termine.

“If Candlemas day be fair and bright, winter will have another flight. If on Candlemas day it be shower and rain, winter is gone, and will not come again”. Anche gli anglosassoni sono della stessa opinione dei latini e dei turesi, con una particolarità che riguarda il caso opposto, ovvero quello della pioggia: traducendo il proverbio, infatti, si direbbe che in caso di pioggia l’inverno è andato, a tal punto da non tornare più. A tal proposito, suggeriamo ai numerosi lettori anglosassoni del nostro settimanale la forma “scambète” per meglio esprimere un evento meteorologico che “is gone and will not come again”.

“Selon les anciens on dit: si le soleil clair luit a la Chandeleur vous croirez qu’encore un hiver vous aurez”. È, invece, la forma francese che esprime esattamente quanto detto nel proverbio turese: da notare che il giorno della Chandeleur è in Francia un momento gustoso, perché, per tradizione, si preparano crepes di ogni tipo.

Torniamo adesso un attimo in Italia: “Per la santa Candelora, se nevica o se plora dall’inverno siamo fora. Ma s’è sole e solicello, noi siam sempre a mezzo il verno”; “Delle cere la giornata ti dimostra la vernata: se vedrai pioggia minuta la vernata fia compiuta, ma se vedi sole chiaro marzo fia come gennaro”. “Uoj è la Candelora, la vernata è sciut fora, risponn san Bias la vernat ancor n’trasc. Se fa lu solariell quaranta juor d maltiemb, se fa lu solaron quaranta juorn d stagion” (Oggi è la Candelora, l’inverno è uscito fuori, risponde San Biagio, l’inverno ancora non entra. Se c’è poco sole quaranta giorni di maltempo, se c’è tanto sole quaranta giorni di stagione); “A maronna r’ a Cann’lora, meglij a bré u lup’ ca u sol” (Alla madonna della Candelora, è meglio vedere un lupo che il sole); “Al dé dl’Inzariôla, o ch’al naiva o ch’al piôva dal invêren a sän fòra, mo s’ai é al suladèl a in arän anc pr un msarèl” (Il giorno della Candelora, che nevichi o piova, dall’inverno siamo fuori, ma se c’è il sole ne avremo ancora per un mesetto). E queste sono soltanto alcune delle declinazioni conosciute.

I “chinulilli”, panzerottini dolci

Nelle Americhe… La dìa de la Candelaria e il Giorno della marmotta

In Messico, ogni 6 gennaio, le famiglie si riuniscono e tagliano la famosa “Rosca de Reyes” (ciambella dei Re Magi), una grossa ciambella di pane dolce decorata con canditi di frutta e zucchero. All’interno della torta è nascosto un piccolo pupazzetto di plastica rappresentante Gesù. Ogni membro della famiglia taglia una fetta di torta e chi trova il pupazzetto, il 2 febbraio (Día de la Candelaria), deve dare una festa e offrire i “tamales” (involtini preparati tradizionalmente con un impasto a base di mais ripieno di carne, verdure, frutta o altri ingredienti) e “atole” (bibita di farina di mais cotta in acqua o latte) agli ospiti. La tradizione di mettere una statuina raffigurante Gesù bambino all’interno della torta rappresenta Gesù che si nasconde dal malefico piano di Re Erode di uccidere tutti i bambini. A proposito di gastronomia, nel Sud Italia, che per certi versi è latinoamericano, si registrano le “pitte maniate” (pizze rustiche) calabresi o i “chinulilli” (panzerottini dolci).

Groundhog Day

Parliamo adesso del Giorno della marmotta, una tradizione arrivata negli Stati Uniti grazie ai popoli di lingua germanica emigrati in Pennsylvania a partire dai primi anni dell’Ottocento. Giunti in America, questi popoli mantennero buona parte delle loro tradizioni legate alla cosiddetta meteorognostica, parola complicata per indicare i sistemi di previsione non scientifici del tempo, basati su segni e particolari eventi naturali. In Europa la tradizione voleva che si usassero i tassi o gli orsi, mentre in Pennsylvania si affermò la tradizione più pratica legata all’osservazione del comportamento di una marmotta. Ufficialmente a Punxsutawney la tradizione cominciò nel 1886: ogni anno la marmotta viene fatta uscire dalla sua tana la mattina del 2 febbraio e, se vede la sua ombra perché la giornata è soleggiata, e rientra nella sua tana, l’inverno durerà altre sei settimane. Se invece rimane fuori, perché non vede l’ombra, l’inverno finirà prima.

Volendo potremmo parlarvi anche dell’Imbolc, il momento che per la popolazione celtica segnava il passaggio tra l’inverno e la primavera, ma preferiamo rimandarvi a una ricerca personale, senza spoilerarvi nulla. Concludiamo dicendo che il mondo è bello perché vario. E su questo non ci piove…

LEONARDO FLORIO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *