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Sant’Antonio: i tradizionali “percìedde”

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“Sand’Anduène, frìsceche e suène”: l’inizio del Carnevale. Le differenze tra Sant’Antonio Abate e da Padova e alcune considerazioni entomologiche

Parecchie settimane fa, pubblicavamo su queste pagine l’utile procedimento da seguire per poter produrre, in casa, la salsa ed i cosiddetti “pomodori a pezzetti”. Seppur fuori periodo, questo approfondimento riuscì a suscitare un certo clamore, merito anche delle accurate indicazioni fornite dalla nostra relatrice d’eccezione, ovvero Lina Savino, 81enne turese. In un vortice di espressioni linguistiche e vocaboli totalmente alieni rispetto al dialetto parlato quest’oggi, vi raccontavamo, scandendola passo dopo passo, una tradizione, quella della salsa, in grado di rinnovarsi senza alcun problema anche nei tempi recenti.

Tre settimane più tardi, sempre grazie al know how della nostra Lina, i lettori hanno avuto modo di annotare la prassi necessaria per ottenere formaggio e ricotta fatti in casa. Questa seconda tecnica, con tutto il bagaglio di termini dialettali che include in sé, risulta essere senza dubbio a maggiore rischio d’estinzione rispetto a quella della salsa.

Successivamente, a novembre, si è registrato un vero e proprio plebiscito: tantissimi lettori hanno infatti annotato le tecniche utili alla preparazione, sempre home-made, dei “chiacùne”, dell’“àneme di mùrte” e della “recòtte ascequànde” (da accompagnarsi ovviamente alla “fecazzèdde di mùrte”). Dicembre, più precisamente in occasione dell’Immacolata, è stato invece introdotto da “pèttole” e “‘ngarteddète cu’ cuètte”.

Le ricorrenze non sono tuttavia terminate e, con loro, le rispettive ricette tradizionali. Oggi, ad esempio, vi racconteremo dei “percìedde”, ovvero i cosiddetti “porcellini di Sant’Antonio”, sempre grazie alle spiegazioni della nostra preziosa relatrice Lina Savino. Rimandiamo coloro che hanno malauguratamente perso l’occasione di seguire le puntate precedenti al nostro sito www.turiweb.it.

Sand’Anduène e Sand’Andònne

“Sànd’Anduèn, frìsceche e suène” (“A Sant’Antonio si fischia e si suona”). Suona come una formula magica quest’espressione dialettale volta a ricordare il legame che intercorre tra i festeggiamenti in onore di Sant’Antonio Abate e quelli relativi al Carnevale. Difatti, con l’arrivo del 17 gennaio, giornata dedicata al Santo protettore degli animali, si ritiene congiuntamente iniziato il periodo carnascialesco che precede la Quaresima.

Prima di procedere oltre, va fatta una precisazione: come molti già sapranno, è possibile festeggiare Sant’Antonio anche il 13 giugno, magari con quell’atto di antica devozione che prevede la benedizione e l’eventuale consumo di un panino speciale, ai più noto per la sua particolare forma intrecciata a tre punte. Attenzione però, perché Sant’Antonio Aabate e Sant’Antonio da Padova sono due figure distinte, sia sul calendario che dal punto di vista storico-religioso, tanto quanto lo sono la pronuncia di “Sand’Anduèn” e “Sand’Andònne”.

Ebbene, con “Sand’Andònne” si è soliti riferirsi a Sant’Antonio da Padova, festeggiato a giugno e nato nel 1195: egli predicò in Italia e in Francia contro gli eretici catari e albigesi, compì numerosi miracoli e, su mandato di San Francesco, insegnò la teologia ai suoi confratelli francescani. Come detto poc’anzi, in tutta Italia come a Turi, è tradizione benedire del pane in atto di devozione nei suoi confronti: nel pieno rispetto di questa particolare usanza, è doveroso ricordare che il particolare panino di Sant’Antonio va conservato (“arrepète”) per un anno intero, ovvero fino al 13 giugno successivo.

Invece, Sant’Antonio Abate, nato nel 251 d.C. e festeggiato il 17 gennaio, è stato un abate ed eremita egiziano, considerato il fondatore del monachesimo cristiano ed il primo degli abati. Dopo alcuni anni, nella nostra città sono stati riproposti i festeggiamenti in suo onore, a differenza dei tradizionali “percìedde” che continuano invece, ogni anno, a presentarsi sulla tavola di molti turesi ancora affezionati a questi dolcetti devozionali.

“Percìedde de Sànde Vìte”

Mettendo da parte un attimo l’aspetto gastronomico, è importante fare una considerazione entomologica. Qualcuno avrà sentito parlare di “percìedde de Sànde Vìte cà pòrtene i notìzie”. Per chi non lo sapesse, con questa locuzione si intendono banalmente le falene, le quali, stando alle credenze contadine di un tempo, rappresenterebbero il segno premonitore di importanti notizie. Insomma, nulla a che vedere con quanto stiamo per raccontarvi. Altrettanto è possibile dire a proposito dei porcellini di terra, ovvero l’Armadillidium vulgare, un crostaceo dell’ordine degli Isopoda. È conosciuto con numerosi nomi comuni: porcellino di terra, mallellone selvatico, porcellino di Sant’Antonio, onisco, ciccipallottolo, caramattino e, udite udite, pinco-pallino.

I porcellini di Sant’Antonio

“Nella mattinata del 17 gennaio, è usanza preparare i percìedde. Per iniziare prendiamo 400 gr. di olio, 200 gr. di acqua bollente e “nù messtìedde” (la pònde di dèsctere) di sale grosso per mescolarli assieme a 1 kg di farina. Dopodiché “se tròmbe (si impasta) la pàste”. Terminato questo passaggio, mettiamo “a repesè” (a riposo) l’impasto, avvolgendolo in un cellophane per 5-10 minuti.

A questo punto prendiamo a poco a poco l’impasto e iniziamo a stenderlo come quando si preparano i cavatelli, cioè creando “na stèsa lònghe” (forma allungata). Col coltello tagliamo a tocchetti di mezzo pollice l’impasto. Successivamente prendiamo il cappello puntellato della “rattachèse” (grattugia), che utilizziamo per grattugiare il formaggio, e lo rovesciamo, utilizzando quindi la parte liscia: prendiamo i tocchetti uno alla volta e li strisciamo con forza su questo lato della “rattachèse” per dare la forma tipica dei “percìedde”. In poche parole andremo ad ottenere dei cavatelli, leggermente più larghi rispetto al solito, con la superficie a quadretti.

Concludiamo disponendo i “percìedde” in una “tièdde” (teglia), che andremo a mettere in forno ad una temperatura di 170° per circa un quarto d’ora: quando la base dei “percìedde” si sarà indurita, spegniamo il forno e accendiamo la griglia” – spiega Lina Savino.

Anche i porcellini, come le cartellate, devono però essere glassati (‘ngeleppète) col vincotto, seguendo il medesimo procedimento, salvo qualche variazione strumentale. “Mettiamo “u’ cuètte” (vincotto) in un tegame di creta, aggiungiamo un cucchiaio di miele e facciamo bollire il tutto. Dopodiché, mettiamo a bagno i nostri “percìedde” e facciamo bollire (a fèrve) nuovamente. Al termine possiamo sistemare con cannella e zucchero in modo tale da aggiungere aroma e sapore”.

Insomma, se speravate di perdere qualche chilo dopo le vacanze di Natale, è forse più opportuno rimandare l’appuntamento con la bilancia a febbraio. Anzi, considerando il Carnevale, è meglio rivederla direttamente a marzo o disfarvi una volta per tutte di questo strumento qualora non abbiate intenzione di trasferirvi lontano da Turi e dal Sud Italia.

LEONARDO FLORIO

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