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I tre ‘no’ per la parità’ sostanziale uomo-donna

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Rosanna Oliva De Conciliis e le sue lotte: il cognome materno, l’occupazione femminile, la par condicio di genere e l’importanza del linguaggio

Prosegue il secondo ciclo di seminari dedicati alla conoscenza della nostra Costituzione: dopo l’incontro inaugurale del 20 settembre presieduto da Giorgio Benvenuto, storico sindacalista, parlamentare e senatore italiano, nella serata dello scorso 16 ottobre la Casa delle Idee ha riaperto i battenti per accogliere Rosanna Oliva De Conciliis, presidente dell’associazione “Rete per la Parità”.

Nel 1958, dopo una laurea in Scienze Politiche, la De Conciliis presentò domanda per il concorso alla carriera prefettizia, prontamente respinta: all’epoca, infatti, soltanto gli uomini potevano accedere ai più importanti concorsi pubblici, in base ad una legge che contrastava gli articoli 3 e 51 della Costituzione. L’audace dottoressa, però, non si diede per vinta e decise di far ricorso alla Corte Costituzionale che, con una storica sentenza del 1960, le diede ragione, riconoscendo alle donne il diritto di partecipare ai concorsi pubblici.

Molte sono state e saranno ancora le battaglie condotte dalla De Concillis, nominata nel 2010 Grande Ufficiale della Repubblica Italiana: alcune di queste sono state riprese durante l’incontro del 16, introdotto come sempre dall’instancabile Alina Laruccia, presidentessa di “Didiario – Suggeritori di libri” ed organizzatrice dell’evento.

Parità dei diritti lavorativi

Dopo i saluti del Sindaco Tina Resta, la parola è passata dunque alla De Conciliis, che ha dato il via alla propria dissertazione a partire dall’art. 3 della Costituzione, in perfetta continuità rispetto alle tematiche prese in esame da Benvenuto. Ebbene, diversamente non sarebbe potuto accadere, poiché in questo fondamentale principio costituzionale, risiedono i presupposti di una democrazia de facto, in grado di garantire ai propri cittadini l’uguaglianza, la parità nei diritti.

Passando dal generale al particolare, la De Conciliis ha poi preso in rassegna l’art. 29, volto a riconoscere i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, e, poco più tardi, l’art. 37 che, nella sua prima parte, recita: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”. Esattamente in questo passaggio del suo discorso, l’animo della De Conciliis si infervora, pur con un certo aplomb: “La parità di diritti tra lavoratori e lavoratrici è un problema di attualità mondiale. Pensiamo alle attrici hollywoodiane che, durante la cerimonia degli Oscar, hanno denunciato una significativa disparità relativa ai compensi percepiti, poiché di fatto maggiori per i colleghi uomini. In Italia la situazione non è diversa. Nonostante la presenza dell’art. 37, bisogna ancora battersi dal ’48 per vedere realizzata concretamente questa parità”. Dopo questa parentesi, ci si è poi soffermati sull’art. 48 che sancisce il principio dell’universalità del suffragio, contro tutte le forme di discriminazione fondate sul censo, sull’istruzione e sul sesso: il diritto di voto è infatti garantito a tutti i maggiorenni in possesso della cittadinanza formale.

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Elezioni e par condicio di genere

Successivamente la De Conciliis ha affrontato l’art.117, il quale, dal secondo al quarto comma, definisce le materie di competenza esclusiva e concorrente dello Stato e delle Regioni. Nello specifico, questo articolo è stato passato in rassegna alla luce del seguente aspetto ricalcato dalla stessa De Conciliis: “Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”.

Strettamente collegato a questo aspetto, l’illustre relatrice ha poi inquadrato il concetto della par condicio di genere, introdotta con la legge 215/2012, a modifica e integrazione della legge 28 del 2000, la quale disciplina, favorendola rispetto al passato, la visibilità sui mass media delle figure politiche femminili.

“Qualche decennio fa – racconta la De Conciliis – la donna era relegata nelle mura domestiche. I media hanno avuto un ruolo fondamentale per cambiare questa condizione e sono tutt’oggi molto importanti. Come sappiamo – dirà più avanti – nel 2020 la Puglia andrà incontro alle elezioni regionali. Attualmente, assieme ad altre 4 regioni, non gode di norme di garanzia di genere nella legge elettorale. Da 10 anni si combatte per introdurle. Se andremo alle urne senza questa garanzia, saranno molte le donne che si impegneranno per far annullare le elezioni. Bisogna fare assolutamente in modo che la Puglia esca da questa situazione di illegittimità, dando dunque prova di essere una regione non arretrata”.

L’occupazione femminile

A seguire, la De Conciliis ha affrontato un articolo a lei caro, ovvero quell’art.51 (“Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici, alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza) sul cui riconoscimento e rispetto si sono focalizzate le energie profuse nelle prime delle tante battaglie condotte in tutta la sua vita, a partire dall’inizio degli anni ’60: “Adesso abbiamo un Parlamento col più alto numero di donne elette. Oggi non si discute più se noi donne siamo idonee a ricoprire cariche. Quando studiavo sentivo dire: “Ci pensi ad una donna Prefetto? Sarebbe in grado di partecipare a lunghe riunioni?”. Questa era l’idea di inferiorità all’epoca imperante. Ora questa fase è superata, scalzata da un’altra fase in cui gli uomini cercano di mantenere il potere detenuto per millenni: attualmente viviamo l’abuso di una posizione dominante, esattamente come nell’economia, quando una forza economica maggiore impedisce alle altre di esprimersi.

Ma qual è il costo economico che comporta lo strapotere maschile e l’impossibilità cagionata alle donne? In Italia se le donne lavorassero lo stesso numero di ore delle donne europee, il PIL nazionale crescerebbe circa del 7%. Entrando poi nello specifico delle differenze occupazionali, al nord e al centro dell’Italia l’occupazione femminile è pari a quella europea. A sud invece la situazione è molto arretrata”. E qui forse sarebbe stato se non opportuno, quantomeno piacevole, ascoltare cosa avrebbe avuto da dire Giorgio Benvenuto.

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Cognome materno

Ad ogni modo, tornando alla De Conciliis, si è poi parlato di una sentenza della Corte Costituzionale e della questione relativa al cognome materno: quante donne, appena diventate madri, si saranno chieste perché il proprio cognome non debba accompagnare il nome del figlio. “Nel 2010 – racconta la De Conciliis – ebbi modo di fondare la “Rete per la parità”, con le sue tre linee guida che fanno capo ad una necessità, ovvero “mai più donne invisibili”. Il cognome della madre rientra tra queste tre linee guida; 900 milioni di persone nel mondo hanno anche il cognome materno. Fino a tre anni fa nel nostro Paese ciò era addirittura impossibile. Noi come Rete per la parità vogliamo proporre la nostra riforma per cambiare questa situazione”. A proposito di cognomi, il lavoro della De Conciliis e della sua associazione si sofferma anche sui casi relativi alla donna coniugata e a quella divorziata”.

Riguardo invece le tre linee guida prima menzionate, sono riassumibili nei cosiddetti “Tre NO per la parità sostanziale”: NO al linguaggio sessista che nasconde le donne; NO alla pubblicità che offende le donne; NO al solo cognome paterno, perché, come espresso dalla De Conciliis: “I diritti civili si sostengono con una comunicazione efficace. I diritti delle donne si promuovono con la visibilità delle donne vere senza cadere negli stereotipi e prestando attenzione al linguaggio”.

Gli interventi del pubblico

Al termine di questo percorso nella mappa concettuale delineata dalla De Conciliis, la parola è passata al pubblico: tra le domande poste e le considerazioni esposte, si è ritornati sul concetto dell’abuso di posizione dominante; qualcun altro invece ha voluto riprendere la questione elettorale, mentre invece secondo una donna l’assegnazione del cognome materno, e non solo di quello paterno, sarebbe solo una lotta “formale” per la parità uomo-donna, non di contenuto.

A tal proposito la De Conciliis ha ribattuto: “La riforma sul cognome innanzitutto non costa nulla ed il linguaggio sessista non è un fenomeno da sottovalutare. Impossibile ad esempio dimenticare il lavoro encomiabile di Alma Sabatini”.

A seguito di un’indagine sulla terminologia usata nei libri e nei mass media, la Sabatini metteva in risalto la prevalenza del genere maschile, anche con doppia valenza (il cosiddetto maschile neutro), che cancella dai discorsi la presenza del soggetto femminile: ancor più evidente poi il mancato uso e l’assenza di termini istituzionali e di potere declinati al femminile (ministra, sindaca, assessora, ecc.). Come leggiamo da alcune note relative al “Corso di linguistica generale” di Ferdinand De Saussure, la lingua è al tempo stesso un prodotto sociale della facoltà del linguaggio ed un insieme di convenzioni necessarie, adottate dal corpo sociale – ed offerte di volta in volta a chi entra a far parte di una società – come mezzo per poter permettere ad ogni individuo di esprimersi: in questo senso dunque la lingua è un’istituzione, un’istituzione sociale che veicola un paradigma, nello stesso rapporto che intercorre ad esempio tra la Chiesa ed il Cristianesimo o, per i meno credenti, il patriarcato. Se non è chiaro questo passaggio, le parole sono importanti e capire quanto, a volte, non è così semplice.

LEONARDO FLORIO

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