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Una serata per riflettere sui cambiamenti climatici

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L’appello del dott. Giuseppe Milano a “cambiare rotta”

Lo scorso sabato Casa delle Idee ha ospitato il Dott. Giuseppe Milano, Ricercatore presso l’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale, chiamato a dibattere sul tema, quantomai urgente, dei cambiamenti climatici.

 

I cambiamenti climatici sono tra noi

Forse per abitudine, o più probabilmente nell’ingenuo tentativo di rassicuraci, continuiamo a parlare dei cambiamenti climatici come un fenomeno futuro, che riguarderà le generazioni più giovani; e invece siamo già entrati in un nuovo regime climatico del quale stiamo già sperimentando gli effetti. Siamo infatti nell’era geologica dell’Antropocene, dove l’azione dell’uomo sovrasta la capacità di rigenerazione dei processi naturali.

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Quando parliamo di cambiamenti climatici parliamo di attualità: gli uragani che colpiscono gli Stati Uniti e il Sud Est Asiatico e gli incendi che interessano l’Alaska e l’Amazzonia sono le conseguenze più appariscenti, ma sono migliaia i fenomeni di devastazione che sempre più spesso e con crescente intensità interessano tutti i Paesi del Mondo.

Indubbiamente l’Amazzonia ha una centralità e una valenza globale grazie alla capacità di contribuire fino al 30% all’assorbimento dei 2,4 miliardi di tonnellate di carbonio ogni anno assorbite dalle foreste e da tutti gli alberi del pianeta; nonostante la lontananza geografica, quel che accade in Brasile, che ospita il 60% dell’intera foresta, riguarda quindi tutti noi in prima persona.

Siamo alle porte del Sinodo sull’Amazzonia che si svolgerà a Roma dal 6 al 27 ottobre, fortemente voluto da Papa Francesco che sta dimostrando una particolare attenzione al tema dell’ecologia comune e della salvaguardia del creato, forse più delle comunità internazionali e degli organi politici preposti.

 

Casa succede a casa nostra

Come mai è successo nella storia dell’umanità, a partire dallo scorso anno, anche il Mediterraneo e i Paesi africani ed europei che vi si affacciano sono stati interessati dai primi cicloni tropicali, effetto più visibile della tropicalizzazione delle temperature assieme alla progressiva desertificazione dei suoli; queste sono soltanto premesse di una promessa di uno sconvolgimento più violento.

I cambiamenti climatici produrranno nel tempo un sempre più accentuato disvalore e sarà proprio il settore primario dell’agricoltura il più colpito, con immediate ripercussioni sociali; il calo della fertilità determinerà un crollo del valore dei suoli, aggravando ulteriormente le differenze economiche tra il nord e il sud del paese.

Eppure, il settore primario è stato quello che meglio ha retto la scorsa crisi economica, grazie alle energie e all’interesse dei più giovani che stanno riscoprendo l’agricoltura, come dimostra l’aumento delle iscrizioni degli istituti di agraria. Toccherà proprio ai giovani escogitare nuove strategie per contrastare la tropicalizzazione e continuare la sperimentazione di nuove tecniche di coltivazione quali l’agricoltura idroponica che non richiede sfruttamento di suolo, almeno non nell’accezione comune.

 

La risposta politica

L’Unione Europea, sin dal 2006, con i programmi quadro di ricerca (PQR) ci indirizza su quali strategie adottare a livello comunitario circa i cambiamenti climatici e sul suolo. A causa però dei veti incrociati tra gli stati membri, l’ultimo documento di una certa rilevanza politica, di valenza indicativa e non esecutiva, risale al 2012-2013; nonostante una partenza promettente siamo in grosso ritardo anche a livello comunitario e di conseguenza anche sul piano nazionale.

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In Italia non si è ancora giunti ad una disciplina nazionale sul consumo di suolo, anche se sono state presentate in parlamento diverse proposte di legge, tra cui quella partita dal basso di “Forum Salviamo il Paesaggio”. Per quanto concerne lo sfruttamento del suolo pubblico e per molti altri campi, le norme di riferimento vigenti sono ancora quelle del governo Monti. In materia di urbanistica, molti comuni pugliesi sono tutt’ora disciplinati dalla legge regionale 56 del 1980, una legge di ben 40 anni fa. Tutto questo ritardo è insostenibile e inammissibile.

Altrettanto assurda è la cifra che i governi, compresi gli ultimi, continuano a stanziare per i combustibili fossili: ben 19 miliardi l’anno contro i 12 per le energie rinnovabili. Come tutti sappiamo, la scienza e la ricerca non godono nel nostro paese di grande simpatia, soprattutto negli ultimi 20 anni; eppure dovrebbero essere i principali vettori per indirizzare l’azione politica, come sostengono i Verdi europei.

Occorre quindi riscoprirci cittadini, il mestiere più difficile che ci sia come dice il politologo Maurizio Viroli, conoscere per sviluppare gli anticorpi culturali e pretendere dalle istituzioni risposte concrete e non semplici slogan.

 

Il consumo del suolo: una fonte non rinnovabile

Al contrario di quanto si crede comunemente, il suolo è una risorsa naturale finita e limitata; il suo impoverimento e degrado non è reversibile se non in determinate condizioni e solo sul lungo periodo: centinaia di anni.

Il problema dello sfruttamento del suolo, anche se poco conosciuto, non è affatto marginale perché è in stretta correlazione con molti ambiti di rilevanza nazionale quali l’agricoltura, l’edilizia, l’architettura e il turismo. Non a caso nell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco il suolo è la prima risorsa naturale citata.

Tra pochi giorni, alla presenza del ministro dell’ambiente Sergio Costa, presenteremo il Rapporto SNPA Nazionale 2019 sul consumo di suolo.

Sulla base dei dati dello scorso anno, l’Italia ha consumato oltre 23.000 km di suolo naturale, 2mq al secondo, un dato allarmante che mette in risalto il fattore, troppo spesso trascurato, della velocità con cui avvengono le trasformazioni.

Quel che più sorprende è come ad un calo demografico, dovuto all’innalzamento dell’età media della popolazione e all’emigrazione che interessa le aree rurali specialmente del mezzogiorno, non corrisponde un decremento del consumo di suolo, bensì un incremento. Questo fenomeno, che prende il nome di disaccoppiamento funzionale, interessa in particolar modo i territori turistici, dove si realizzano villaggi turistici, case di villeggiatura, bed & breakfast e infrastrutture di collegamento.

Il turismo è una grande risorsa del nostro paese e in quanto tale va certamente valorizzato, ma per produrre un benessere economico non si deve per forza sottrarre ulteriore superficie agricola o boschiva, estendendo a dismisura il costruito e i nuclei residenziali; basterebbe piuttosto lavorare sugli edifici esistenti con progetti di riqualificazione.

 

La rigenerazione urbana come risorsa

Come affermano i due grandi economisti contemporanei Jeffrey Sachs e Amartya Sen, la giustizia sociale e la giustizia ambientale sono due facce della stessa medaglia: laddove è maggiore la fragilità ambientale, maggiore è anche la fragilità sociale; il pensiero va immediatamente agli abitanti di Taranto ed in particolare del quartiere Tamburi o agli indigeni dell’Amazzonia.

I nuovi piani urbanistici devono essere piani umanistici e devono passare attraverso la rigenerazione urbana che non va però calato dall’alto, ma deve avvenire in accordo con le esigenze e con il coinvolgimento della realtà sociale locale: se i cittadini per primi non percepiscono lo spazio riqualificato come un bene comune, l’intera opera sarà stata vana.

Quando si parla di rigenerazione urbana si pensa subito alle periferie, dimenticando che anche i centri storici sono diventati periferie in seguito allo spopolamento, alla cessazione dei servizi e alla perdita della centralità sociale e culturale di un tempo; il fenomeno dilagante dell’Airbnb non risolve il problema, ma al contrario lo aggrava.

La perdita della centralità dell’uomo ha determinato la perdita di valori fondanti quali la solidarietà e la comunità. Come ci insegna il sociologo Henri Lefebvre bisogna rimettere al centro il diritto alla città; la rigenerazione urbana è rigenerazione sociale in quanto genera nuovi posti di lavoro, eleva la qualità della vita e in un’ottica più ampia irrobustisce le redini della democrazia dove si sono fatte più sottili.

 

‘Rigenera’ di Palo del Colle

Un esempio riuscito di rigenerazione urbana è il Laboratorio Urbano Rigenera di Palo del Colle, uno dei pochi ancora attivi a distanza di anni, premiato dall’Unione Europea come una delle migliori pratiche di rigenerazione urbana. Uno dei tanti edifici scolastici costruiti ma mai entrati in funzione, è stato trasformato nel 2013 in un contenitore che ospita laboratori didattici, concerti, un pub che crea lavoro per 8 unità ed una libreria.

Attratta da questo nuovo centro di vita, la gente è tornata nel quartiere che ha riacquistato valore e si è arricchito di nuove attività commerciali. Si tratta di una trasformazione positiva, nata dal basso e che si pone in netta contrapposizione con il processo di gentrificazione che interessa quei quartieri periferici delle grandi città che, grazie agli investimenti delle Holding, vengono trasformati in zone abitative di pregio, come nel caso di Milano City Life, con un conseguente esodo dei vecchi abitanti incapaci di sostenere l’aumento dei prezzi delle abitazioni e del tenore complessivo.

 

Il comune di Biccari

Un altro esempio riuscito di rigenerazione urbana è il piccolo comune di Biccari, sui monti Dauni, che grazie all’intraprendenza del giovane sindaco Gianfilippo Mignogna, ha visto allontanarsi lo spettro dello spopolamento ed aumentare il proprio turismo del 190% in soli due anni.

Attraverso la nascita di una cooperativa di comunità, previo un censimento delle risorse presenti sul territorio di valore storico, architettonico e naturalistico, l’intero paese si è trasformato in un centro di interesse turistico ed enogastronomico, nel pieno rispetto dell’ambiente e preservando l’identità e la fruibilità degli spazi pubblici per un paese a misura di bambino. L’Unione Europea è molto attenta alle politiche green ed è pronta a finanziare le iniziative ben costruite e dotate di creatività, una capacità troppo spesso sottovalutata; a tal proposito l’antropologo americano Appadurai parla della capacità di aspirazione che deve tornare a frequentare ciascuno di noi in quanto vettore di coesione di una comunità.

Damiano Barbieri

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