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“Junker”, il cortometraggio resiliente

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Un gruppo di giovani turesi in finale al “50 ore Contest Cinematografico”

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«Dopo 4 ore di scrittura, 10 di riprese, 7 di montaggio, abbiamo finito il corto. Presto sarà visibile a tutti». Così Nicola Zita, grafico e film-maker al suo sesto cortometraggio, scandisce l’ultimo “ciak si gira” che archivia la partecipazione al “50 ore Contest Cinematografico”. Giunto alla quarta edizione, il concorso dedicato ai cortometraggi, che vanta la collaborazione di “Molise Cinema Film Festival”, si presenta con una formula del tutto originale: ogni candidato ha cinquanta ore di tempo per pensare, scrivere, girare e montare il proprio progetto.

Il conto alla rovescia è iniziato sabato 13 luglio, quando gli organizzatori hanno inviato il genere, estratto a sorte per ciascun partecipante, e due parametri identici per tutti: una frase e un elemento da inserire nel corto.

Per la squadra turese la sorte ha scelto il genere fantascienza, i binari ferroviari e la frase “avrei voluto guardarla dall’alto”. Il risultato è “Junker – Quello che resta”, un solitario viaggio – come ci racconta Zita – che porta lo spettatore all’interno di uno scenario post-apocalittico. Il progetto ha convinto la giuria che lo ha ammesso tra gli 11 finalisti: un risultato di tutto rispetto che incoraggia la nostra “Armata Brancaleone” a riprovarci.

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In che modo è nata la sua squadra?

«Fin da quando ho pensato di iscrivermi al contest, ho iniziato a raccogliere le adesioni tra amici e conoscenti. Alla fine, ho potuto contare su Antonio Zita e Ronny Angellillo, i due attori; Camilla Checchia, voce narrante e prezioso aiuto nella scrittura della sceneggiatura; Andrea Turino con cui abbiamo curato riprese e montaggio ed Ezio Castellana, impagabile per il supporto nella scelta della location.

Un ringraziamo va anche a quanti, pur non essendo presenti fisicamente, ci hanno dato una mano con suggerimenti e idee: Lilli, Giuseppe, Dante, Nicola, Lorenzo (il barbiere) e Gianfranco».

 

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Come se l’è cavata con il genere assegnato?

«La fantascienza è uno dei generi cinematografici più complessi, soprattutto visti i tempi ristretti e le risorse esigue su cui potevamo fare affidamento. Per queste ragioni abbiamo pensato a un soggetto post-apocalittico, ambientato nelle campagne di Turi e in quelle tra Putignano e Alberobello. Quest’ultima splendida location l’abbiamo scoperta grazie a Ezio Castellana.

Dalla scrittura al montaggio, ha vinto lo “spirito d’adattamento” o, per usare un termine che oggi va molto di moda, la “resilienza”: molte scene sono state pensate mentre giravamo, così come in fase di montaggio abbiamo rimaneggiato la storia, aggiungendo ulteriori interventi della voce narrante».

Una sintesi della trama del vostro lavoro?

«Un’imponente crisi idrica ha spazzato via la maggior parte dell’umanità. Pochi i sopravvissuti, forse solo Junker, che lo spettatore segue in una disperata ricerca di “altre forme di vita intelligenti” e zone non contaminate. Una ricerca che si concluderà con un colpo di scena che non anticipiamo»

 

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Qualche aneddoto?

«Gli imprevisti non sono mancati, a iniziare dalla pioggia incessante che, a un certo punto, ci aveva quasi convito a cambiare soggetto e girare tutto in ambienti interni.

Siamo stati tenaci e “fortunati”: la pioggia è diminuita e abbiamo potuto iniziare a filmare le prime scene.

La solidarietà dell’intero gruppo va poi all’attore protagonista, Antonio Zita, che ha rischiato di “morire di caldo” a causa del costume di scena, necessario per “assomigliare” a un sopravvissuto che si muove in terre ostili».

 

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Oltre alla pioggia, ci sono state altre difficoltà?

«Le poche risorse, soprattutto umane, hanno penalizzato la riuscita finale del progetto.

Se avessimo avuto un team più numeroso, avremmo potuto ottenere un livello artistico migliore, creando gruppi di lavoro che si concentrassero sulle singole fasi.

Ad esempio, avremmo iniziato l’elaborazione del materiale mentre si giravano le varie scene, così da notare e correggere subito le eventuali incongruenze delle sequenze narrative».

 

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Cosa l’ha spinta a partecipare?

«È stata un’occasione per mettermi alla prova e chiaramente per divertirmi insieme agli amici che hanno accettato di imbarcarsi in questa avventura. Tra l’altro, non mi ero mai cimentato con il genere della fantascienza, quindi una doppia sfida…».

 

Tra le pieghe dell’approccio fantascientifico, è lecito leggere un messaggio di denuncia civica?

«Ogni opera d’arte, una volta conclusa, viene consegnata al fruitore che ne dà una personale interpretazione, moltiplicando i piani di lettura. Sicuramente il cortometraggio ha raccolto le nostre sensibilità, a iniziare dallo spirito ecologista che anima molti di noi e in particolare Camilla.

Posso dire che, paradossalmente, ci siamo resi conto che è più facile immaginare una delle prevedibili apocalissi che non un’alternativa ecosostenibile, compatibile con il modello consumistico. Il che ci porta a una serie riflessione su come attuare una gestione più oculata delle risorse del pianeta»

FD

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