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Ciliegie, una partenza sotto i migliori auspici

Tino Sabino

Tino Sabino, agronomo e cerasicoltore turese, prevede una produzione abbondante soprattutto nelle “zone calde”

Tra qualche giorno prenderà il via la nuova annata cerasicola. Come sempre si inizierà dalla raccolta delle “Bigarreaux”, per poi proseguire con la “Giorgia” e concludere la volata con la “Ferrovia”, la regina delle ciliegie turesi sulla cui vendita sono riposte le speranze di buona parte delle famiglie turesi.

Per capire che scenario ci attende abbiamo interpellato Tino Sabino, agronomo e produttore turese. Come ci racconta, i primi segnali lasciano sperare in un’annata che vedrà una produzione abbondante soprattutto nelle “zone calde”, vale a dire nei terreni limitrofi a Conversano. Quantità minori ma qualità presumibilmente migliore segneranno invece le “zone fredde”, quelle più vicine a Gioia del Colle.

Nel frattempo, i produttori continuano a tenere le dita incrociate, auspicando che le condizioni meteorologiche non riservino tristi sorprese, come accaduto negli ultimi due anni.

 

Come si capisce che tipo di annata si prospetta?

«Lo si vede molto tempo prima della fioritura. La preparazione della raccolta che partirà nei prossimi giorni comincia nella primavera-estate dell’anno precedente, quando la pianta inizia a gemmare. La gemma deve “accumulare” il freddo invernale per diventare produttiva: potenzialmente, più ore di freddo riceve migliore sarà l’annata».

 

Quali sono le previsioni per quest’anno?

«Abbiamo avuto un’estate piovosa e un inverno freddo, per cui le gemme erano predisposte a portare avanti per bene la fioritura. Fioritura che, soprattutto nella prima parte, ha avuto condizioni climatiche particolarmente ottimali nelle zone calde, ovvero nella porzione di territorio più vicina a Conversano, dove ci sarà una buona produzione. Nelle zone fredde (quelle verso Gioia) invece si attende una quantità inferiore di ciliegie».

 

La grande quantità può influenzare la qualità del prodotto?

«La qualità è generalmente inversamente proporzionale alla qualità: maggiore è la produzione dell’albero, minore sarà il calibro delle ciliegie, poiché le piante quando sono eccessivamente “cariche” hanno più difficoltà a nutrire i frutti».

 

Ci sono metodi utili ad aumentare il calibro della ciliegia?

«Si può intervenire con concimazioni e altre tecniche che possono incidere fino a un certo punto, poi c’è il limite biologico e fisiologico della pianta su cui l’uomo può ben poco».

 

Considerando i cambiamenti climatici che stiamo subendo, le tecniche agronomiche riescono a garantire uno standard di produzione?

«Sicuramente ci consentono di ovviare a vari ostacoli. Ad esempio, stiamo avendo inverni più miti e, ricollegandoci a quanto detto all’inizio, le gemme diventano sempre meno propense a produrre. Un problema che è stato affrontato con la tecnica dell’innesto, che dà la possibilità di adattare alle radici che attecchiscono nei nostri terreni varietà molto più produttive rispetto a quelle tipiche.

Oltre ai cambiamenti climatici si deve tener conto anche della globalizzazione, che introduce una serie di problemi che tirano in ballo le recenti frontiere dei trattamenti fitosanitari. Anche qui abbiamo un esempio concreto: quest’anno stiamo fronteggiando un nuovo insetto “importato” dall’estero. È simile al moscerino della frutta e, poiché ha un ciclo di sviluppo molto rapido, sta avendo risvolti negativi sulle produzioni costringendo a ricorrere a trattamenti fitosanitari mirati».

 

In questo discorso dei parassiti “importati” rientra anche la Xylella Fastidiosa. Più fonti parlano del rischio di contagio anche per i nostri ciliegi. È un timore fondato?

«Purtroppo sì. Essendo un insetto polifago, la Xylella Fastidiosa può attaccare mandorli e ciliegi. In Puglia non ci sono ancora casi di contagio di piante diverse dall’ulivo; tuttavia nell’ambiente originario, che è quello della California, i mandorli convivono da anni con questo parassita.

Nell’immediato è fondamentale sensibilizzare gli agricoltori a prendersi cura delle piante, attuando tutti i trattamenti di lotta al vettore, indispensabili per arginare l’infestazione. In futuro dovremo imparare a convivere con questa “malattia”, contrastandola con tecniche fitosanitarie peculiari che progressivamente si affineranno».

 

Turi ha investito la maggior parte della propria superficie coltivabile in ciliegeti. Nei prossimi anni occorrerà differenziare la produzione, puntando anche su altre colture?

«Il limite nella scelta delle colture è dato dalla vocazione del territorio e quindi dal clima. Noi abbiamo un territorio vocato alla produzione del ciliegio, dell’albicocco, del percoco e a una produzione di nicchia di olive.

È giusto rispettare queste vocazioni, naturalmente bisogna evitare gli estremi come la monocoltura. Sarebbe opportuno optare per una rotazione delle colture che meglio attecchiscono nei nostri campi, questo per scongiurare che il terreno si stanchi e perda fertilità e per evitare che i parassiti, proprio perché vivono a contatto con una sola tipologia di pianta, si “specializzino” diventando resistenti ai trattamenti».

 

Una domanda al produttore: si riescono a coprire i costi di produzione delle ciliegie?

«In agricoltura una percentuale considerevole del successo di un’annata è legata alle condizioni metereologiche: abbiamo già avuto dimostrazione di come sia sufficiente una grandinata per distruggere un intero raccolto e capovolgere le sorti. Prescindendo dalle dinamiche contingenti, il fatto che a Turi ci siano tantissime aziende agricole è la dimostrazione che un tornaconto c’è, altrimenti in molti avrebbero cambiato mestiere».

 

Qual è il livello di conoscenza dell’agricoltore turese?

«Il livello tecnico è molto alto: i nostri agricoltori non sono più i contadini classici che sapevano solo come si arava la terra; sono imprenditori agricoli che hanno imparato a prendersi cura delle proprie piante per ottenere la migliore produzione. Quello che manca è il poter essere aggiornati sui recenti mezzi tecnici e su come possano integrarsi con quelli tradizionali, sulle nuove patologie e sull’evolversi della nutrizione. A questo si somma la difficoltà ad adeguarsi alle normative regionali. Direttive e protocolli che, come quest’anno, spesso giungono a campagna iniziata, dando all’agricoltore, già oberato di lavoro, pochi giorni di tempo per mettersi in linea».

 

Possiamo dire che sappiamo come produrre ma pecchiamo nel “saper vendere”?

«In realtà il settore è ben strutturato: abbiamo grossi commercianti che riescono ad assorbire la grande produzione del territorio. Il passo successivo è capire che l’agricoltore deve avvalersi di figure formate nel settore del marketing, che permettano di piazzare il prodotto strategicamente, aumentando anche i margini di guadagno».

FD e NZ

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