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Politica

“Uno scenario politico grottesco”

Franco D'addabbo


Franco D’Addabbo: Tanti ‘aspiranti’ ma pochi ‘rinunciatari’.
Si è aperta la caccia ai consensi ma manca un vero “progetto politico” per Turi

Dalla sociologia alla filosofia, senza perdere aderenza con la concretezza che il compito di un amministratore impone. L’intervista con Franco D’Addabbo, vicesindaco durante l’amministrazione Gigantelli, ci mette dinanzi a un’analisi senza filtri della situazione politica turese, emblematicamente definita “grottesca”.

Partendo dall’assunto che la politica va intesa come “l’arte di incastonare la vivibilità in un territorio”, per D’Abbabbo servirebbe iniziare a lavorare intorno a un “progetto politico”, un percorso di ampio respiro, condiviso da tutti, che indichi la rotta per migliorare il paese nei prossimi dieci – venti anni. Invece la logica della campagna elettorale porta a promuovere programmi tanto ridondanti quanto vuoti, snaturati dalla “spasmodica ricerca dei consensi”.

Chi decide di candidarsi ad amministrare Turi, oltre a studiare gli strumenti che consentono di agire pragmaticamente, dovrebbe essere contemporaneamente “aspirante” e “rinunciatario”: se non ci sono le condizioni per portare avanti le proprie legittime ambizioni, occorre essere pronti a fare un passo indietro. In caso contrario si cade nel “peccato di presunzione”, sempre deleterio per le sorti della comunità.

 

Un suo parere sull’attuale scenario politico?

«Premetto che, da tempo, ho scelto di defilarmi dal panorama politico. Da quanto apprendo dalla stampa, posso dire che si è aperta la gara a primeggiare, come di solito accade in campagna elettorale, tra volti nuovi che emergono e volti noti che si riaffacciano.

Se dovessi sintetizzare l’attuale scenario con un aggettivo, sceglierei grottesco».

 

Come mai questo aggettivo?

«Grottesco perché in campagna elettorale ognuno presenta il suo “progetto politico” che, se analizzato in profondità, risulta vuoto. Tutto si riduce alla ricerca spasmodica dei voti, depauperando il senso autentico della politica che, sociologicamente parlando, è uno degli strumenti più incisivi.

Se si osservano i programmi dei vari i partiti sono praticamente identici. Il programma io lo racchiuderei in una frase: snellimento delle procedure amministrative e burocratiche. Ovvero, il servizio al cittadino ha un senso compiuto nella misura in cui si riesce a velocizzare e soddisfare le esigenze del cittadino stesso; esigenze in senso lato, dalla buca al verde pubblico».

 

È cambiato qualcosa rispetto alla sua esperienza politica?

«Affatto. Si comincia in autunno con tavoli e accordi per poi finire a presentare all’ultimo momento una lista rabberciata a destra e sinistra per cercare di convogliare il maggior numero di consensi. La logica, purtroppo, è sempre la stessa e non credo si riuscirà a debellarla, ormai è diventata un male cronico della nostra stagione politica».

 

La sua idea di “progetto politico”?

«La politica va intesa come l’arte di incastonare la vivibilità in un territorio. Dunque, ogni candidato ad amministrare il paese dovrebbe riuscire a far intravedere come immagina Turi tra dieci o venti anni, con la consapevolezza che qualsiasi decisione venga presa oggi avrà ripercussioni – positive o negative – sulla crescita futura della collettività. Ecco perché un progetto politico serio non può durare una legislatura: cinque anni sono insufficienti per mettere a punto gli obiettivi che ci si pone. Ed è proprio l’assenza di continuità amministrativa il motivo per cui ogni consiliatura turese ha fallito nel realizzare quello che si era proposta».

 

Come dovrebbe essere scelto il candidato sindaco?

«Le primarie sono un mezzo solo apparentemente democratico, poiché si scatenano correnti e fazioni che non permettono di scegliere con cognizione di causa il candidato ideale. Meglio, quindi, dimostrare di avere la giusta maturità per confrontarsi e individuare la persona più idonea, che sia un mix di esperienza, professionalità ed entusiasmo.

Alla fine amministrare diventa un “mestiere”: se lo fai con passione riesci a portare a compimento gli obiettivi che ti sei prefissato, altrimenti diventa routine che, nella migliore delle ipotesi, ti porta a curare solo l’ordinaria amministrazione».

 

L’amministrazione Coppi era caduta nella routine?

«Posso dire che quest’anno di commissariamento ci ha dimostrato che in certe situazioni il Commissario è preferibile perché almeno l’ordinario viene garantito.

Quello che ha stupito della precedente amministrazione è che era composta da gente giovane e stimabile da cui ci si aspettava di più. A mio parere, si è peccato di quella che chiamo “sana presunzione della gioventù”, la convinzione di essere capace di fare qualsiasi cosa, salvo poi rendersi conto di non avere sufficienti competenze di come funziona la macchina amministrativa e, dunque, di come poter intervenire concretamente. Sana presunzione perché è giusto che ci sia fino ai trent’anni; poi va affiancata da un’altrettanto sana umiltà che porti a decidere di studiare, a migliorare se stessi per poter migliorare di riflesso il contesto in cui si opera».

 

Ritornando alla sfida per le comunali, prevede un centrodestra di nuovo diviso in due liste?

«Dipenderà esclusivamente dal buon senso. In politica bisogna essere contemporaneamente “aspiranti” e “rinunciatari”: l’aspirazione è legittima ma se si trasforma in ambizione diventa deleteria e crea spaccature e divisioni. Se ci si rende conto che non ci sono le condizioni per perseguire i propri progetti, si deve essere disposti a far un passo indietro, cosa che nella mia esperienza politica ho visto raramente».

 

Anni fa dichiarò di “appendere le scarpe al chiodo”, è arrivata l’ora di rindossarle?

«Resteranno rigorosamente appese al chioso perché, ritornando all’inizio di questa intervista, non vedo i presupposti per lavorare a un progetto condiviso da tutta la classe politica; un percorso di ampio respiro che tracci una rotta per il miglioramento di Turi e che venga portato avanti da chiunque governi, a prescindere se si sia di destra o di sinistra».

FD

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