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Cultura

A proposito della reliquia di Sant’Oronzo

Antologia del Premio Turi 2013

La ricostruzione storica del prof. Buonaccino avvalora l’ipotesi che anche
la ‘reliquia di Zara’ sarebbe riconducibile al nostro Patrono


L’arrivo delle reliquia di Sant’Oronzo a Turi, l’11 agosto scorso, è stato preceduto da una serie di articoli e servizi televisivi, apparsi su molti media locali e regionali, tutti incentrati su alcune “novità clamorose”: per la prima volta è stata trovata una cassetta reliquiario a Nin (Nona) contenente una reliquia sicuramente attribuibile al vescovo-martire leccese, mentre quella di Zara si riferisce ad un altro martire. Tuttavia, su quanto affermato mi preme fare alcune osservazioni, nel solco di un confronto che deve avvenire sempre tra appassionati di storia locale.

In premessa, devo ricordare che quando si procede ad una ricerca storica, non si può mai affermare di aver raggiunto la verità, senza portare solide prove capaci di smontare quanto affermato in precedenza da altri storici; gli stessi studi sulla Sacra Sindone, pur condotti con rigorosi metodi scientifici e di laboratorio e da validi esperti nel settore, non riescono ancora ad approdare alla verità.
Questo principio vale in generale, e ancor di più per gli studi del Cristianesimo delle origini, periodo privo di documentazioni certe e di fonti anche indirette, a parte le ricostruzioni fatte dagli agiografi che, partendo da labili notizie, spesso finivano per seguire un identico filone narrativo; le Passio, infatti, si ispiravano ad un vero e proprio genere letterario.

Nel 2007 il X quaderno Sulletracce, edito dal Centro Studi di Storia e Cultura di Turi, accolse un mio saggio dal titolo Sant’Oronzo, storia di un culto, che per la prima volta aggiornava le conoscenze sul nostro santo patrono, ferme agli studi di don Vito Ingellis; inoltre, esso ospitava anche il primo lavoro serio e rigoroso sulle mattonelle della Grotta, condotto dall’archeologo e concittadino, Donato Labate. Quel mio saggio, che ebbe l’onore e il privilegio di essere presentato dal prof. Giorgio Otranto, ordinario di Storia del Cristianesimo e Direttore del Dipartimento di Studi Classici e Cristiani presso l’Università agli Studi di Bari, fu utilizzato dagli studiosi (tra cui Lino Angiulli, Silvia De Vitis, Annalisa Rossi, per citarne alcuni), che aderirono alle Vie Oronziane, progetto organizzato dal Comune di Turi nel 2009.

Ebbene, già in quel primo saggio, a pag. 40, parlavo di due reliquie di un Santo di nome Oronzo, esistenti in Croazia, in due cofanetti: uno a Zara e l’altro a Nin (Nona), quest’ultimo molto diverso dall’altro perché integro, non modificato nel suo rivestimento esterno né adattato nei secoli successivi.
Quindi, l’esistenza di un’altra reliquia era già nota; mancavano le foto.

Nel IX secolo, Nin, che dista appena 15 km da Zara, in seguito alla pace di Aquisgrana fu assegnata al principato di Croazia e divenne sede vescovile, tanto importante dal punto di vista culturale, politico e religioso che nella sua cattedrale avveniva l’incoronazione dei sovrani croati.
In conseguenza del maggior prestigio acquisito dalla nuova sede vescovile, le reliquie di Sant’Oronzo (la testa e la costola) furono divise tra le due città.
Naturalmente, questa è un’ipotesi che dovrebbe essere avvalorata dal fatto che nel reliquiario di Nin furono messe insieme le reliquie, provenienti da varie chiese del territorio, di San Giacomo, San Crisogono e Sant’Oronzo (ne parla la scheda tecnica di quel museo).

I predetti articoli, invece, affermano che le reliquie di Nin sono del vescovo-martire leccese, mentre quelle di Zara no, con il seguente ragionamento: nel Breviario della Chiesa zaratina, risalente alla prima metà del 1800, si ricorda che il 22 gennaio a Grado si celebrava la festa di Sant’Oronzo, martirizzato a Valenza assieme a Vincenzo e Vittore, successivamente venerato nella Chiesa di Embrun, in Gallia. Le preghiere, si dice, andavano recitate davanti al reliquiario di Zara, che contiene il caput sancti orontiis martiris. Dalla lettura del Breviario è passato inosservato il fatto, non privo di significato, che si parla di un beato Oronzo martire.
Questo elemento, e altre considerazioni, mi inducono a fare le seguenti riflessioni.

Come la Distinta Relazione, scritta nel 1757 da tre nostri preti locali, può essere facilmente smontabile dal punto di vista storico (lo faccio nel mio saggio), lo stesso può farsi anche per il Breviario zaratino e per diversi motivi: dovendo attribuire una paternità alla reliquia di Zara, il clero di quella città ebbe bisogno di cercare notizie nell’antico Martirologio Romano e le trovò alla voce Oronzo, martire di Embrun. Invece, in quel martirologio Romano non esistevano notizie sul vescovo e martire della Japigia per le note vicende che travolsero la città di Lecce, divisa in feroci diatribe tra ordini religiosi, vescovi e capitolo, di cui parlo nel mio saggio.

Inoltre, non è dimostrabile alcun collegamento storico e geografico tra la Croazia e la Gallia, tale da poter giustificare l’arrivo a Grado, poi a Zara, delle reliquie di uno dei martiri di Embrun.
Questo collegamento, invece, esiste tra le due sponde dell’Adriatico, è storicamente accertato e condiviso dagli storici (Nicola Jaksic compreso) e l’ho ampiamente dimostrato nel mio saggio, avvalendomi di una fonte autorevole e difficilmente contestabile: papa Gregorio Magno.

Per cui, allo stato delle ricerche, è assolutamente plausibile il viaggio delle reliquie del santo vescovo e martire leccese verso Siponto (su tutta l’area del Gargano ci sono molti luoghi dedicati al santo), quindi Salona e poi a Zara e Nin, per evitare che potessero cadere nelle mani degli infedeli.
Mariapia Branchi, medievista dell’Università di Parma, nel suo prezioso contributo presente nel mio ultimo saggio ancora inedito, avanza l’ipotesi condivisibile che il trasferimento delle reliquie sia avvenuto ad opera di Giraldo, arcivescovo di Siponto, inviato in Dalmazia da papa Gregorio VII, nel 1075, per rinforzare la dipendenza di quella regione oltre Adriatico, dalla santa Sede, attraverso la comunanza del culto.

Infine, un’ultima considerazione: tutti gli storici confermano che le due cassette di Zara e di Nin risalgono all’XI secolo (quella di Zara addirittura dovrebbe risalire al IX secolo, secondo lo studio fatto nel 1887 da Jackson).
Alla luce di ciò, non si può affermare, come invece è stato fatto, che le reliquie furono portate a Zara per salvarle dalla distruzione di Lecce, operata nel 1150 (quindi nel XII secolo) da Guglielmo il Malo.
La vera distruzione Lecce la subì nel 549 dal feroce Totila, completata nel 570 da Zottone, alla guida dei Longobardi. Le devastazioni furono tali al punto che la città perse la sede vescovile ed ogni traccia del suo passato e della sua grandezza, che doveva essere stata imponente e significativa, come testimoniato dai resti dell’Anfiteatro romano. Lo stesso Papa Gregorio Magno, nel 595, invano tentò di eleggere un nuovo vescovo, ma non ci riuscì, per l’assenza quasi totale del clero; perciò fu costretto a ripiegare sul vescovo di Otranto, nominato anche vescovo di Lecce.

Come si vede, tante le ipotesi, a cui può arrivare la ricerca storica, anche se fondata su una lettura approfondita e non superficiale. L’unica certezza potrebbe venire dall’analisi scientifica del contenuto dei due reliquiari, mediante il metodo del C 14, o similari; si potrebbe appurare se le reliquie sono di una stessa persona o di uomini diversi, vissuti nel I secolo d.C o in diversi periodi. Sarà possibile tutto ciò? Penso di no, anche per i costi di una simile operazione. Allora, non ci resta che continuare a studiare, in un confronto sano, aperto e costruttivo, utilizzando gli apporti delle varie discipline interessate.

Per concludere, pensando di fare cosa utile al dibattito storico e alla conoscenza delle nostre radici più profonde e in occasione del Giubileo Oronziano, ho ripubblicato il saggio del 2007, aggiornato con nuove ipotesi e contributi, come quello di Donato Labate, sul pavimento in maiolica della Grotta di Turi; della medievista Mariapia Branchi, sul reliquiario di Zara; e con l’intervento del prof. Giorgio Otranto, fatto in occasione della presentazione del primo saggio.

Nella speranza che la lettura possa servire per conoscere meglio la nostra storia più antica, spesso ignorata o dimenticata, ricordo che tutte le ipotesi da me elaborate non vanno intese come punto di arrivo, ma come semplici spunti di riflessione (come detto in premessa di questo mio articolo): se saranno capaci di provocare successivi approfondimenti e confronti tra gli appassionati di storia locale e non, se ne gioverà la ricostruzione delle nostre più antiche origini.

Osvaldo Buonaccino d’Addiego

Buonaccino Libro Sant'Oronzo

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