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Braccianti stagionali, una storia di “convenienza”

Moduli abitavi in costruzione

Maggio, mese delle ciliegie e delle polemiche sull’arrivo dei lavoratori stagionali, due eventi diventati inscindibili. Nonostante siano più di tre anni consecutivi che il fenomeno della “migrazione stagionale” interessa Turi, il nostro Comune si trova regolarmente impreparato a gestire la situazione con una strategia che sappia guardare in prospettiva.

 

Il campo di accoglienza

campo migranti 2018

Come aveva anticipato il Commissario Andrea Cantadori nella conferenza stampa indetta lo scorso 17 aprile, dati i tempi ristretti, quest’anno l’unica strada da seguire era quella di tamponare sulla scia delle iniziative assunte dalla giunta dimissionaria. Ed infatti, negli ultimi giorni sono partiti i lavori per l’installazione dei moduli abitativi, ricevuti in comodato d’uso dalla Regione, nell’area esterna al campo sportivo di via Conversano. Da quanto abbiamo appreso, il campo di accoglienza dovrebbe entrare in funzione al massimo entro l’inizio della prossima settimana, offrendo alloggio e servizi igienici a circa 150 lavoratori stagionali.

I costi delle operazioni utili ad attrezzare l’area – dalla preparazione del suolo dove poggiare i prefabbricati agli allacci di luce ed acqua – saranno a carico del Comune. E qui si apre la prima di una lunga serie di polemiche sull’ingiustizia di distrarre soldi pubblici, che potrebbero essere impiegati per risolvere le esigenze dei turesi. Una polemica che, in verità, perde significato se si ricordano le parole dello stesso Commissario Cantadori: “Per il prossimo anno ci siamo riproposti di fare una riflessione più ampia. Ci sembra quantomeno inusuale che la parte pubblica si sobbarchi le spese per un’attività lavorativa che è privata e dovrebbe riguardare esclusivamente il datore di lavoro”.

Di pari passo, così come testimoniato dal coordinatore di Fratelli d’Italia, Giacomo De Carolis, da domenica scorsa sono partiti i controlli da parte di Carabinieri e Vigili Urbani che, unitamente al Console del Marocco, stanno identificando i soggetti presenti sul territorio.

 

Benvenuta civiltà…

In attesa dell'apertura del campo  (1)

Anche quest’anno, nonostante i buoni propositi, Turi non si è fatta sfuggire l’occasione per diventare teatro di scenari che vanno ben oltre la civiltà. Molte le foto che stanno circolando in queste ore sui social. Ad essere ritratti sono i lavoratori stranieri accampati alla meglio nei giardini pubblici, costretti a dormire in situazioni di fortuna nella stazione ferroviaria o, nel migliore dei casi, a passare la notte nelle proprie auto.

Scene imbarazzanti che, invece di spingere ad una sana indignazione verso l’inettitudine della politica degli ultimi quattro anni, alimentano un pericoloso clima d’odio, in cui ognuno rischia di improvvisarsi “sceriffo”. La piazza virtuale insorge contro “gli stranieri che sporcano il nostro paese”, “tolgono lavoro agli italiani” e compromettono “la sicurezza di Turi”. Si genera una “guerra tra poveri e poverissimi” che, come sempre in questi casi, va ad esclusivo vantaggio del profitto di pochi. Tutto questo, lo ribadiamo, solo perché la classe politica che ha amministrato Turi non ha avuto il coraggio di assumersi la responsabilità di una scelta chiara: censire le aziende agricole che usufruiscono sistematicamente di manodopera straniera, obbligandole a rispettare la legge e ad accollarsi le spese per un’accoglienza dignitosa. In pratica far rispettare quello che è scritto nel contratto collettivo nazionale, il quale prevede che, per i lavoratori stagionali migranti, sia il datore di lavoro a sobbarcarsi il costo di vitto e alloggio o il rimborso carburante, nel caso la distanza tra il posto di lavoro e la residenza del bracciante sia percorribile in tempi sostenibili.

 

Per il profitto di pochi

In attesa dell'apertura del campo  (2)

La gran parte dei braccianti che arriva a Turi è composta da lavoratori di nazionalità marocchina e tunisina, pochi i nigeriani. Tutti con regolare permesso di soggiorno, vivono stabilmente in Italia da anni ed hanno una residenza fissa nei paesi della provincia di Bari, Brindisi e Taranto. Dunque non parliamo di emergenze umanitarie, di profughi che si accalcano in fuga da guerre o tragedie; parliamo di una prassi consolidata che vede questi lavoratori spostarsi in tutti quei paesi dove sanno che sarà necessaria la propria manodopera.

Ed allora, escluso il regime di emergenza, la questione andrebbe affrontata utilizzando esclusivamente gli strumenti normativi ordinari, iniziando a interrogarsi su chi si avvale di questa manodopera. Di certo i braccianti stranieri non vengono impiegati dalla maggioranza degli agricoltori turesi, quelli che lavorano un intero anno per far fruttare i propri ciliegeti e che, a maggio, si mobilitano insieme ad amici e parenti per raccogliere l’oro rosso, sperando di rientrare nelle spese.

Questa manodopera viene intercettata esclusivamente dai medio-grandi proprietari terrieri: dovendo operare la raccolta su ettari ed ettari di ciliegeti, non trovano convenienza nell’assunzione di manodopera stabile ed optano per arruolare piccoli eserciti di stagionali stranieri, spesso senza un contratto di lavoro e con una retribuzione nettamente inferiore agli obblighi contrattuali.

Ed è qui che si arriva al cuore del problema. In sintesi, per la convenienza ed il profitto di una ristretta percentuale di cerasicoltori turesi, l’intero paese è costretto a subire disagi sul fronte del decoro urbano, a vivere un clima di tensione sociale e, non da ultimo, a pagare la parcella di un campo di accoglienza.

FD

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