Per una scuola della “logica fantastica”
Nella sala teatrale della scuola media di Turi, mercoledì 22 Marzo, si è tenuto un seminario per i docenti delle scuole dell’infanzia (asili nido), scuole elementari e medie, genitori e persone interessate dal titolo «Logica e fantastica». Un seminario sui nessi tra le scoperte delle neuroscienze e i modelli con cui produciamo conoscenze e sull’importanza dell’immaginazione per l’apprendimento. La relazione, che ha destato molta attenzione tra il pubblico presente, è stata tenuta dalla psicologa Antonia Chiara Scardicchio, ricercatrice in psicologia sperimentale all’università di Foggia, impegnata già da tempo nel suo lavoro di educatrice dei minori cresciuti in contesti “difficili”.
Il seminario è parte di un progetto in cui rientra l’ambito sociale di Turi, parte del progetto P.I.P.P.I, Programma di Intervento per la Prevenzione dell’Istituzionalizzazione, progetto «rivolto ai minori da 0 a 11 anni per evitare devianze sociali, l’allontanamento dalle famiglie cosiddette negligenti per l’affido ai centri di assistenza sociale» – chiarisce Giuseppe Delgrosso, assistente sociale di Gioia del Colle, co-responsabile dello sviluppo del progetto sul territorio.
In seguito alle recenti scoperte su come funziona il nostro cervello, per la relatrice Anna Chiara Scardicchio una mentalità plastica, e non rigida, è una mentalità che passa attraverso le emozioni per un migliore apprendimento di sé, dell’oggetto studiato e delle relazioni vissute durante la scuola e fuori di essa. L’apprendimento, infatti, avrebbe a che fare con le emozioni con cui interagiamo sia con le persone che con gli oggetti : «Non c’è conoscenza che non passi attraverso il pathos» – ha detto la docente. Ne segue presto il contrasto con l’istituzione scolastica a cui siamo stati abituati come studenti: una scuola che ci vede come recipienti, dove il perno del rapporto tra insegnante e studente sono le nozioni impartite e ripetute durante l’interrogazione. Ma questa visione – che darebbe centralità idealistica all’oggettività e scarso valore e peso alla soggettività – nel nostro Paese è stata attuata dalla riforma della scuola del Ministro dell’Istruzione del governo fascista Giovanni Gentile (1875 – 1944), ed essa viene a scontrarsi con il mondo delle relazioni che ogni giorno pratichiamo e che a scuola sono riproposte come distanti e fisse come figure su un foglio di carta.
Le ultime ricerce neuroscientifiche, da cui la professoressa Scarnicchio ha attinto informazioni e conoscenze per la sua tesi, mettono in discussione questo modello educativo, rilevando come il cervello processi attraverso il pathos, intendendo le emozioni non come processi computazionali asettici e apatici. «Una studentessa preparatissima sul manuale di scuola guida – riprende la ricercatrice – non è detto che sappia guidare». Così l’immagine di una scuola che divide il corpo docente e gli studenti tra dotti e “ignoranti”, dando agli ultimi la posizione di minorità solo per la loro giovane età, diventa friabile e porosa.
L’insegnante diventa così «l’esperto dell’essere umano con la postura dell’antropologo», chiarisce la professoressa; assume un atteggiamento proteso a capire i propri studenti e «a trovare un varco dell’umano comune». La mentalità plastica, più incentrata al poetico, porrebbe il docente ad interrogare se stesso, sulla propria formazione e sul modo di insegnare oltre che al distinguere la produzione simbolica, che la fantasia di un bambino produce, da una patologia.
Di tutt’altra scuola sono invece le riforme che hanno dato peso a strumenti di valutazione a crocette, come i test INVALSI, che pensano i bambini e i docenti come preparati o impreparati, eliminando qualsiasi altra relazione. Il «delirio del valutatore» di cui parla la Scarnicchio sarebbe proprio quella presunzione dell’insegnante o del funzionario che pensa si possa avere un rapporto uguale con tutti gli studenti, dimenticando che inevitabilmente il cervello leggerà informazioni familiari nei confronti di qualcuno rendendolo simpatico o antipatico: l’errore non è solo il giudicare il carattere e non la preparazione, ma anche il voler eliminare ciò che sarebbe simpatico o antipatico.
Così la citazione di Paolo Crepé, «i bambini sono bassi, non sono stupidi», ci mostra come il nostro modo di intendere l’infanzia, compresa la nostra, vada ripensato da tutti: insegnanti, genitori e funzionari delle istituzioni.