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Dalla penna del turese Mario Monno nasce Blackbox

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11412436_10205325389832174_3529619831116136806_nLa cultura fumettistica è una delle tradizioni che uniscono grandi e bambini senza distinzioni, mescolando l’arte di saper narrare una storia a quella di saper creare mondi paralleli e personaggi quasi tangibili grazie all’uso di una semplice matita o, con l’avanzare dei tempi e della tecnologia, di programmi grafici sempre più raffinati. È proprio su questo che ci siamo confrontati con Mario Monno, un artista alle prese con la pubblicazione dell’opera “Blackbox” a cui ha contribuito per quanto riguarda la parte grafica.

Una breve presentazione per chi non ti conoscesse e, soprattutto, qual è il legame che ti lega a Turi?

“Sono Mario Monno, nato a Bari, classe ’89, residente a Turi da quando avevo sette anni”.

Passando a Blackbox, che in inglese sarebbe “scatola nera”, da dove nasce il nome del tuo fumetto?

“Premetto, per correttezza, che Blackbox nasce dalla penna di Giuseppe Grossi quindi tutti i vari significati sono opera sua. Detto ciò, il titolo in questione ha un doppio significato: Blackbox è un quartiere povero, la periferia di Ecrònia dove vive Judith, una dei protagonisti della storia. Il secondo, ovviamente, lo lascio scoprire a voi con la lettura dell’albo”.

Quale storia racconta Blackbox ai lettori?

“La storia di due personaggi, Judith e Isaac, che devono vivere e sopravvivere – lo fanno in maniera completamente differente – in una società distopica, dove il rispettare le regole della società è anteposto persino ai rapporti umani. Una storia ottocentesca con tinte steampunk, bellica, triste, cinica, realistica, composta da salti temporali come fossero pezzi di un puzzle da far comporre al lettore. Personalmente penso che Blackbox, per quanto la distopia ad oggi viva anni di gloria nelle sale cinematografiche, sia una storia originale ma, allo stesso tempo, può rappresentare la vita di ognuno di noi”.

12670748_876255725854238_4824786254144959850_nSpesso si pensa erroneamente che un fumetto si rivolga esclusivamente a un pubblico estremamente giovane. È così anche per Blackbox?

“Hai detto bene: erroneamente. Il fumetto è un mezzo di comunicazione potente che può arrivare a tutti, dal bambino all’anziano. In Italia abbiamo la Bonelli, tanto per citarne una, che si rivolge ad un pubblico maturo e la Disney che lavora per un target più giovane (e non solo). In Francia, ad esempio, ogni casa editrice ha delle collane dove ognuna di essa si rivolge ad un pubblico completamente diverso. Dopo questa breve premessa, posso dire che Blackbox è rivolto sicuramente ad un lettore consapevole, che riesce a scavare nella psicologia dei personaggi, ma allo stesso tempo anche al ragazzo più spensierato, appassionato del genere, che vuole godersi una bella storia con delle atmosfere particolari”.

Sei solo il disegnatore o, in parte, anche lo sceneggiatore dell’opera? Sei stato assistito da un team nella fase di realizzazione e incubazione?

“Come nella maggior parte dei casi accade, sì, è stato un lavoro a più mani. Il soggetto e la sceneggiatura appartengono al mio caro amico e collega Giuseppe Grossi, mentre i colori sono di Gaetano Longo, amico e compagno di banco dai tempi della scuola superiore; quindi è stata davvero una fortuna aver avuto l’opportunità di lavorare con degli amici. Il progetto, contemporaneamente, è stato coordinato dagli editor di Hyppostyle Publishing, Aldo Pastore e Paolo Neri”.

Quali sono state le tue ispirazioni tra film, canzoni, fumetti, libri, fatti di vita reale ed altro?

“Come già detto prima, in generale le mie ispirazioni derivano sopratutto dal cinema. Per la realizzazione di Blackbox mi sono documentato con tutti quei film/serie-tv che richiamassero l’atmosfera di fine ‘800, quindi Sherlock Holmes, il capolavoro The Prestige, The Raven, Penny Dreadful senza dimenticare il monumentale Dracula di Bram Stoker, diretto da Coppola. Per il design di alcuni personaggi, invece, mi sono ispirato agli ultimi titoli di videogiochi presenti sul mercato come The Order e Asssasin’s Creed”.

Essere un fumettista è il sogno di molti ragazzi con la passione del disegno. Come ce l’hai fatta tu?

“La mia passione per il disegno inizia sin da bambino così come la necessità di raccontare storie, scaturita dalla mia altra grande passione per il cinema. Fondamentale è stata la scuola superiore (grafico pubblicitario) dove ho iniziato a capire di voler fare questo come mestiere. Dopodiché ho dovuto trasferirmi a Roma per intraprendere degli studi mirati alla Scuola Internazionale di Comics prima, e al Daisho Studio dopo. Importante è il tempo che trascorri a migliorarti: il voler diventare disegnatori di libri a fumetti è tutt’altro che semplice, richiede tanti sacrifici (sociali in primis), ore e ore sui fogli e ti mette alla prova ogni giorno con i tuoi limiti. Bisogna essere tenaci nello spirito e puntare dritto alla meta”.

Ringraziamo Mario per aver risposto cordialmente alle nostre domande e invitiamo tutti i nostri lettori a tenere sott’occhio Blackbox – un fumetto che farà sicuramente appassionare chi avrà il piacere di leggerlo – e lo stesso Mario, un vero artista di cui bisogna andar fieri e a cui auguriamo sinceramente di ricevere tutto il successo che merita chi incanala la sua passione verso un grande sogno, raggiungendolo e andando oltre.

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