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Con Saccomanno tra le epistole di Gramsci

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È nella giornata che ricorda il 79°anniversario della morte di Antonio Gramsci, mercoledì 27 aprile, che Turi e la sua comunità, carceraria prima, cittadina poi, hanno riaperto le pagine del libro di storia e fermato l’attenzione su un politico, intellettuale, filosofo, grande persona del nostro ieri: Antonio Gramsci.

È nella Casa di Reclusione, rivolti al pubblico carcerario, al personale del Carcere, e ad un ristretto numero di personalità politiche, militari e scolastiche, che l’Ura Teatro ha portato in scena «Gramsci Antonio detto Nino» di Francesco Niccolini e Fabrizio Saccomanno.

Uno spettacolo, voluto fortemente dalla direzione carceraria, che racconta frammenti della vita di uno degli uomini più preziosi del Novecento. Il tormentoso rapporto con il PCI e l’Internazionale socialista, le incomprensioni con Togliatti e Stalin e l’ombra di Benito Mussolini. In primo piano invece la sofferenza di un uomo che il fascismo vuole spezzare scientificamente, che vive una disperata solitudine, e in dieci anni di prigionia, si spegne nel dolore e nell’assenza delle persone che ama: la moglie Julka, i figli Delio e Giuliano. Sono proprio le bellissime lettere ai suoi figli il punto di partenza: tenerissime epistole a Delio e Giuliano, ai quali Gramsci scrive senza mai nominare il carcere e la sua condizioni fisica e psichica, dando il meglio di sé come uomo genitore e pedagogo. Ma accanto a queste, le lettere di un figlio, di un fratello, di un marito.

Saccomanno è riuscito a dipingere questo vissuto nel carcere in maniera strepitosa: seduto su un palco fatto di pedane, con addosso il cappotto da cui tira fuori le lettere che Gramsci scriveva alle persone più care, si commuove fino alle lacrime e fa commuovere, mentre Antonio detto Nino rivive in tutte le sue emozioni, dalla rabbia alla disperazione, passando per una immortale ironia e autoironia.

In conclusione, l’attore fa un balzo temporale fino ai nostri giorni, quando si rivolge all’icona di Gramsci, quella che tutti conoscono, i capelli mossi e gli occhiali, il volto giovane. Si rivolge in dialetto salentino, parla a tu per tu ad Antonio, gli parla di un mondo contemporaneo fatto di superficialità ed individualismo, lontano dalla sua ideologia, ponendosi e ponendogli il disperato dubbio che sia stato tutto inutile… “Antò, in fondo oggi sei una maglietta stampata, una frase sulla carta di un Bacio Perugina…”. Ma c’è ancora una porta aperta sul futuro, una parola di speranza, che arriva con la favola dell’uomo nel fosso, che riesce a salvarsi da solo, scoprendo di contare soltanto sulle proprie forze. Lo spettacolo si è concluso con un lunghissimo applauso, con i presenti tutti in piedi, un applauso che non era soltanto dedicato all’attore e agli autori, ma che voleva abbracciare l’intera storia, comprendere e commemorare tutto: Antonio Gramsci, il carcere, un passato prossimo che spesso si finisce per voler dimenticare. La presenza dei detenuti, poi, ha reso il tutto più drammatico e concreto.

Spesso per Turi il 27 aprile si trasforma in passerella sterile per politici, locali e nazionali, che si ricordano di essere gramsciani una volta l’anno. Quest’anno la memoria di Gramsci è stata invece raccontata e valorizzata.

Una breve finestra sulla personalità politica dell’uomo è stata infine disegnata da Lea Durante, dell’IGS (International Gramsci Society) Italia, lasciando infine il saluto finale alla direttrice del carcere, la dottoressa Maria Teresa Susca, che ha ringraziato quanti hanno collaborato per la riuscita dell’evento. Un appuntamento permesso grazie alla collaborazione con Tina Ottavino (pubbliche relazioni) e per il quale la direzione carceraria ringrazia “l’Ura Teatro, il Teatro Piccolo Pugliese e quanti hanno aderito all’invito, quali il sindaco Menino Coppi, il senatore Tonino Coppi, l’ex sindaco Vito Nicola De Grisantis, il Comandante della sezione locale dei Carabinieri, il Maresciallo Giovanni Sacchetti e quanti hanno preso parte al pomeriggio”.

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