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Mio figlio al fronte, ho paura

grande guerra

Dal diario di una mamma. «La partenza di questo mio figliuolo, così giovane – poco esperto – di carattere timido – direi quasi ancor bambino – mi preoccupa moltissimo, e mi tiene in grande perturbazione. Così tanto giovane, e tanto lontano da me, e così solo, mentre avrebbe bisogno della mia guida, dei miei immediati consigli. Fortunatamente però al 10° Bersaglieri conto molti amici carissimi, come il Colonnello Oneto, il Tenente Colonnello Malato comandante del XXXIV battaglione, il Maggiore Tomolo comandante del XXXV battaglione e vari altri ai quali subito scriverò, raccomandandoglielo. Anche il mio amato Gino mi è molto lontano trovandosi in Tripolitania, e molto soffro per la sua lontananza ma questi è molto più scaltro, più vispo, direi quasi magari, sbarazzino e perciò non molto mi preoccupa, sicuro che da solo saprebbe liberarsi e togliersi da qualsiasi imbarazzo».

E di un ufficiale. «L’attività delle nostre truppe continua a essere ostacolata dalle persistenti intemperie. Se non nevica, allora piove; e se non piove c’è la nebbia. In montagna si avanza tentoni su metri di neve soffice, con un occhio al nemico e uno a monte, a supplicare pietà alle valanghe; più a valle si sguazza nel fango, non meno gelido. La fanteria fatica. Più vivace è l’azione delle nostre artiglierie, soprattutto sul medio Isonzo».

Questo lo stato d’animo che coinvolgeva le famiglie e i comandanti dei reparti che dovevano comunque obbedire agli ordini dell’Alto Comando che, a sua volta, doveva attenersi agli accordi sottoscritti con gli Alleati. Infatti nell’accordo della conferenza di Chantilly del novembre 1915 fu imposto all’Italia di attaccare le postazioni nemiche sul Carso per distogliere l’enorme pressione che i tedeschi stavano portando con una autentica carneficina nella zona di Verdun in Francia.

Dal 9 al 15 marzo si svolse la 5° battaglia dell’Isonzo che, senza un bersaglio ben preciso e con brevi scontri, tenne occupato il nemico. Gli italiani attaccarono il Mrzili, il S. Maria, il Podgora, la cima 4 del San Michele e San Martino del Carso con azioni demandate ai singoli comandanti che ben presto si affievolirono, a causa del fango e della neve alta, che non permetteva ai nostri fanti rapidi movimenti.

Gli scontri tra opposte pattuglie si protrassero per oltre un mese per permettere il rafforzamento delle postazioni raggiunte. Oltre 4000 le vittime italiane in questi primi mesi dell’anno, tra cui il soldato del 121° Rgt. V Compagnia Michele D’Addabbo del 1894, di Giovanni e Maria Cerata morto il 23 febbraio nell’ospedale da campo di Villesse, e del soldato del 139° Rgt. Simeone Gasparro classe 1881, di Giosuè e Vitantonia Maria Bellini, che cadrà nel famigerato Bosco Cappuccio del San Michele il 14 marzo ed in seguito sepolto da nemici a Vizintini. Il 30 aprile nelle successive azioni perderà la vita il soldato del 19° Rgt. Pasquale Acito, classe 1894, di Giosuele e Palma Giannuzzi, nella 21° sezione di Sanità di Sagrado. 

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