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La “questione BOC” arriva in tribunale dopo dieci anni

Banconote false

Qualcuno l’ha ribattezzata “questione dei BOC” (Buoni Ordinari Comunali). È una storia che va avanti da dieci anni. È un’operazione che è costata al Comune di Turi – secondo quanto riferito dall’Assessore al Bilancio nell’incontro pubblico tenutosi lo scorso 28 agosto – più o meno un milione di euro e che vedrà contrapporsi in un’aula di tribunale, nella prima udienza del 15 dicembre prossimo, il Comune di Turi e la Banca Intesa San Paolo.
Per comprendere cosa sia successo nel corso di questi lunghi anni, bisogna tornare indietro nel tempo, al lontano 2005, quando il Comune decide di estinguere una serie di mutui all’8% circa, emanando dei Buoni Ordinari Comunali ad un tasso più basso e a scadenza ventennale. L’idea di partenza – apprendiamo dall’incontro – sarebbe stata “un’operazione giusta”, perché l’Ente, avendo un tasso più basso, avrebbe pagato meno, portando ad un risparmio generale che avrebbe di certo giovato all’intera comunità.
Il problema sarebbe invece sorto dallo “strumento derivato, proposto dalla Banca San Paolo a copertura del rischio, perché il Comune di Turi aveva un tasso variabile”. Nello specifico, leggiamo sulla Deliberazione del Commissario Prefettizio n. 55 del 16 maggio 2014 che “il Comune di Turi, a far data dall’esercizio finanziario 2005 e come da documentazione in atti presso il Settore Economico-finanziario, è controparte in strumenti finanziari derivati rientranti nella tipologia denominata “interest rate swap” (IRS) – trattasi di uno strumento finanziario che dovrebbe fornire una copertura al contraente dal rischio di oscillazione dei tassi di interesse in rapporto ad operazioni di indebitamento negoziale a tasso variabile -, con scadenza ventennale fissata all’anno 2025 e collocato da Banca OPI (oggi confluita nel gruppo Intesa-San Paolo)”. Dunque, vista l’instabilità dei tassi di quel periodo, la Banca avrebbe proposto al Comune di tutelarsi attraverso un tetto-limite, proponendo condizioni “svantaggiose” per l’Ente comunale. Nella sostanza, sempre in base a quanto esposto il 28 agosto, se il tasso di interesse del BOC avesse superato il tetto-limite, quel “delta” in più sarebbe stato pagato dalla Banca. Viceversa, se il tasso variabile fosse stato sotto il tetto massimo, il “delta” lo avrebbe dovuto il Comune all’Istituto di Credito.
Nel 2012, la Corte dei Conti – Sezione regionale di controllo per la Puglia – invita l’Ente e l’Organo di revisione a fornire, “con particolare riferimento alla questione degli strumenti derivati” una relazione-questionario e ulteriori elementi di informazione. Il Comune provvede dunque al riscontro di quanto richiesto, affermando nel contempo, che “[…] questa Amministrazione richiamando le motivazioni contenute negli atti e negli allegati alla deliberazione consiliare n. 26/2006 a sostegno della scelta di emettere i BOC e consapevole dei rischi che tali strumenti comportano sulle casse dell’Ente, sta valutando la possibilità di proporre all’Istituto emittente una rinegoziazione delle scadenze e soprattutto delle condizioni contrattuali con l’assistenza di esperti del settore […]”.
Si tenta dunque la strada della rinegoziazione. A tal fine, viene incaricato un professionista esterno, il quale, nella sua relazione-perizia econometria dichiara: “Il derivato permette al cliente di tutelarsi contro il rischio dei tassi di interesse monetari sopra la soglia del cap, tuttavia a causa dell’effetto del foor non gli viene concesso di beneficiare di un eventuale ribasso degli stessi”. Come si legge sulla Deliberazione n. 55/2014, il documento qualifica “l’intera operazione finanziaria di derivati come di dubbia legittimità e validità alla luce delle norme generali in tema di intermediazione finanziaria e, più in particolare, alla stregua della normativa vigente in materia di finanza degli enti pubblici territoriali”. Per seguire la procedura di mediazione, viene incaricato nel settembre 2013 l’avv. Angiuli, professionista specializzato sui contratti di finanza derivata.
“Nel corso della procedura di mediazione – si legge ancora sulla Deliberazione del Commissario Prefettizio –  l’Istituto Intesa Sanpaolo ha formulato una proposta di ristrutturazione della complessa operazione finanziaria, ritenuta a parere dell’avv. Angiuli negativa, ovvero “[…] di dubbia convenienza ed opportunità […] quanto meno con riferimento al solo derivato swap”, in quanto, ove il Comune avesse accettato tale proposta, lo stesso avrebbe dovuto rinunciare irrevocabilmente a ripetere tutte le somme già pagate a favore della Banca in virtù di un contratto derivato di dubbia validità e, al fine di estinguere il derivato, l’Ente avrebbe dovuto farsi carico del pagamento dell’intero valore negativo del “mark to market”. Nel febbraio dello scorso anno, dunque, la mediazione viene dichiarata chiusa per mancato accordo tra le parti.
La relazione-perizia econometrica del Consulente finanziario dell’Ente, tuttavia, lasciava intravedere “[…] buone chances di ottenere una declaratoria di nullità e/o di risoluzione del contratto in essere, con cospicui vantaggi economici a favore dell’Ente e della collettività, connessi al possibile recupero delle somme fino ad oggi versate alla Banca a titolo di differenziali negativi prodotti dal derivato swap e col contestuale, possibile esonero dall’onere di versare il valore del mark to market al fine di estinguere anticipatamente l’operazione […]”. Le perdite accumulate dall’Ente fino a quel momento ammontano a poco meno di € 793.000,00.
Per queste ragioni, la dott.ssa Riflesso, con la Deliberazione n.55 del 16 maggio 2014, decide di promuovere una causa civile contro la Banca Intesa-Sanpaolo in relazione al contratto dei derivati finanziari denominato “interest rate swap” stipulato nell’anno 2005 ed avente validità ventennale.
La vicenda, che avrebbe dovuto far risparmiare alle tasche dei turesi qualche soldino, in realtà si è trasformata in una nuova grave fuoriuscita di denaro pubblico. Il grande punto interrogativo, che a questo punto è sotto gli occhi di tutti, è chi abbia fatto gli interessi di Turi in quel lontano 2005, chi abbia valutato le condizioni che la Banca stava per accollarci come una zavorra, chi le abbia accettate e se l’abbia fatto con cognizione di causa o meno. Da quanto emerso nell’incontro del 28 agosto, infatti, due sarebbero i punti neri di questa vicenda. Innanzitutto, già nel 2005 il tetto massimo proposto dall’Istituto di Credito pare fosse un tasso fuori mercato, che invece proponeva numeri molto più bassi. Sembrerebbe, inoltre, che al momento della sottoscrizione del contratto tra la Banca e il Comune di Turi, la documentazione rilasciata dall’Ente comunale, relazione tecnica di accettazione obbligatoria per legge, firmata dall’allora responsabile del settore economico-finanziario, certificava il possesso, da parte del Comune, delle competenze necessarie a valutare ed analizzare le condizione contrattuali proposte. “Quelle competenze questo Comune non le ha mai avute” – spiega l’ass. Tardi –  e i fatti gli darebbero ragione. Conclude: “Abbiamo fatto causa, ci siamo costituiti, siamo in contatto con l’avvocato. Dobbiamo aspettare”.

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