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Per dire “NO” alla violenza!

Foto di Valentina Pavone

Martedì 25 novembre in tutta l’Italia, strade, piazze, locali, sono state luoghi dove riflettere e gridare “Basta” alla violenza sulle donne.

Per l’occasione, l’Associazione Fotografi Di Strada ha inaugurato nella serata, la mostra fotografica “Tutte le storie sono vere” presso la biblioteca dei ragazzi e delle ragazze al Centro Futura, Parco due Giugno di Bari, aperta fino al 30 novembre. Tra le fotografie in mostra, uno scatto di Valentina Pavone. Un’immagine che da sola racchiude tensione, paura, incapacità di fuggire, richiesta d’aiuto. Due occhi spalancati, che trasmettono il bisogno di scappare da una situazione di terrore e la necessità che presto, quella bocca, possa raccontare.

“La foto – ci dice Valentina – fa parte di un progetto sulla violenza sulle donne che ho esposto ad agosto al PhotoREPORTAge international forum”. “Raccontare della violenza sulle donne è estremamente complesso e allo stesso tempo talmente facile che risulta quasi impossibile. Siamo tutti abituati ad ascoltare di “femminicidi”, mentre apprendiamo solo più sordamente tutto ciò che è l’anticamera dell’atto efferato. La violenza casalinga, quella fisica, ma più di tutte la violenza psicologica, quella sociale e culturale, la mortificazione del corpo e dell’intelletto” – racconta l’artista, spiegando la fotografia.

“La repressione della femminilità e della capacità di affermarsi, di esprimere la propria personalità….Noi donne vittime, ancora, di un padre o di un compagno o del proprio marito, ancora persi nella convinzione di avere il diritto di piegarci alla loro forza e ostinati a non considerarci degli esseri umani alla pari, ma come tramandano le storie di un libro sacro, un derivato del loro corpo di cui disporre a proprio piacimento. Delle principesse prigioniere del proprio castello, invisibili, attaccate al proprio sogno d’amore e libertà, che inseguono sino all’estremo, fino alla rassegnazione o alla morte…davvero poche volte il fine è lieto. Fragili illusioni…di noi donne che siamo le madri dei nostri carnefici….”.

“È stata una delle prime che ho scattato quando ho iniziato a comporre il lavoro perché credo che sia l’emblema dell’atteggiamento delle nostre società nei confronti di noi donne. Il silenzio nel senso più ampio, in tutte le sfaccettature che può avere!”. 

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