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SLA, una malattia che non contagia!

Famiglia Labalestra qualche anno fa

Quando in televisione o sui giornali o ancora per strada si ascoltano vicende di famiglie vittime di un destino crudele, rammaricandoci, pensiamo che comunque siano lontani da noi, che non riguardano la nostra famiglia e ci “tocca” in minor misura. Quando poi, ci si ritrova catapultati in una realtà più grande di te, resti senza fiato e piuttosto che farti prendere dallo sconforto, ti rimbocchi le maniche e inizi a lottare.

A farti più male, però, sono i comportamenti di coloro che prima ti erano vicino, di chi fino il giorno prima ti è stato amico e che all’improvviso, quando ne hai avuto bisogno, ti ha girato le spalle, forse perché “ha paura del dolore e se ne è lontano”, probabilmente ne sarà esente.

È quanto accaduto alla famiglia di Gianfranco Labalestra, che da due anni lotta non soltanto contro una malattia, la SLA, ma anche contro una burocrazia che avvilisce e sconforta chi ne è costretto a subirla e soprattutto contro l’indifferenza di chi, prima vicino, ha poi negato anche quel sostegno psicologico necessario per affrontare la quotidianità.

Gianfranco ha solo 46 anni, era una agente della Polizia Penitenziaria e suonava nella Banda Musicale cittadina. Da due anni convive con la SLA che lo costringe a letto, immobile ed incapace di agire, obbligato ad una degenerazione inevitabile. Ad accompagnarci nella sua realtà, la moglie Rosanna, la sua spalla, la sua roccia, che da quattro anni ha imparato a conoscere la malattia del marito, “scoperta per caso” e che sin da allora ha sconvolto la loro vita. “Al Policlinico di Bari, a seguito di un controllo specifico, ci diedero la conferma della diagnosi: si trattava di Sclerosi Laterale Amiotrofica”.

“Abbiamo provato di tutto e sin dall’inizio” – continua Rosanna. “Siamo stati prima in Israele, a Tel Aviv, dove hanno sottoposto Gianfranco al prelievo delle sue cellule staminali” che, messe a coltura, sono state infuse nel settembre 2011 in una clinica Svizzera. “Non abbiamo visto miglioramenti”, questo lo ammette, ma lo rifarebbero perché rappresenta una delle poche speranze per la malattia del marito, se non fosse per i suoi costi eccessivi, che superano anche le 20mila euro. Perché la cosa più drammatica, della condizione di Gianfranco, come degli altri malati di SLA, è la loro capacità cognitiva che resta immutata come la voglia di rapportarsi agli altri. La loro mente resta vigile, intrappolata in un corpo che non reagisce. E a confermarcelo è la stessa moglie di Gianfranco, quando ci racconta, con un sorriso che esprime tristezza, lo sguardo del marito, che le comunica i suoi pensieri attraverso un alfabetiere e dei lievi movimenti della bocca e degli occhi.

La condizione di Gianfranco è peggiorata nell’aprile 2012 quando, a seguito di una bronchite, è rimasto in ospedale per circa un mese e dal momento della sua uscita, è chiuso nella sua stanza, progressivamente costretto ad assistere alla degenerazione delle sue capacità motorie. A rendere più pesante la situazione, una mancanza di comunicazione dalle strutture sanitarie, alla famiglia, ignara di poter richiedere assistenza e strumenti utili per un proseguimento più dignitoso della vita di Gianfranco. Non appena ne ho saputo, siamo nel “giugno 2013, ho presentato tutto l’incartamento all’ASL, soprattutto per avere un comunicatore che aiuti Gianfranco a rapportarsi agli altri”. Da quella data e dopo numerosi solleciti, “mi fu detto che il comunicatore ci sarebbe stato consegnato a fine ottobre ma nulla ho ancora visto”. Ogni comunicatore, ha un costo di circa 20 mila euro e la Regione Puglia pare che avesse garantito un finanziamento di circa 200mila euro per coprire le spese dello strumento. “In realtà, da quanto abbiamo saputo, pare siano stati dati solo 10 comunicatori” – insiste Rosanna Labalestra, supportata dal padre di Gianfranco. “Dove sono finiti gli altri 10?”. Insieme con tutto questo, disattenzioni di ufficio hanno permesso di smarrire documentazioni utili per fornire alla famiglia l’insieme di assistenza e cura medica, alimentare, respiratoria, igienica, sanitaria che spettava di diritto, ma che piuttosto è costretta a pagare sobbarcandosi spese ingenti che gravano sulla loro condizione. “Come deve fare una donna, sola, a gestire tale situazione?” – aggiunge aspramente Rosanna, ringraziando quei pochi che in questo periodo le sono vicini e ammettendo che adesso sta anche rimborsando quanto la famiglia ha avuto per mezzo dell’invalidità civile e che oggi le è stata tolta. “Noi abbiamo solo l’assegno di accompagnamento!”.

Da qualche tempo, “ci siamo messi in contatto con l’associazione “Attivamente Puglia” e con Antonella Di Noia, con la quale abbiamo presentato una denuncia all’ASL per la mancanza dei servizi che ci spettavano di diritto” e che piuttosto sono costretti a pagare o a fornirsi di persona – “demandando qualcuno che gentilmente possa andarli a prendere e portarceli, perché io non posso muovermi da casa!”.

La realtà che vive Rosanna e Gianfranco Labalestra, insieme alle loro due figlie di 16 e 10 anni è una situazione molto dura e difficile da affrontare, da digerire, da sopportare. “Avevamo bisogno di qualcuno che ci poteva indirizzare nel modo migliore per affrontare la strada della SLA, per far vivere a Gianfranco un’esistenza più dignitosa, più umana, piuttosto che un inappropriato letto e una non adeguata sistemazione, ma in quei momenti, pensi a cavartela, non sai neppure come!” – ammette con un velo di sconforto Rosanna. “Ogni giorno è duro da affrontare, ti vien voglia di piangere, ma lo fai lontano da tutto e tutti, e ti mostri sempre forte per te stessa, per Gianfranco, per le ragazze”. “Per la più piccola è come se fosse tutto normale”, ma per la sedicenne, accettare di vedere il proprio padre, il proprio eroe, da un giorno all’altro trasformarsi ed irrigidirsi  “è difficile da sostenere”. Orfane di un padre che giace in un letto e di una madre impegnata con lui.

Quella della famiglia Labalestra è solo uno dei casi di famiglie incastrate tra burocrazia e ignoranza che rende ancora più complicata la quotidianità di un malato di SLA e di chi gli sta accanto. Purtroppo i numeri delle persone coinvolte in tutto questo crescono repentinamente, anche nel nostro piccolo paese del sud-est barese, dove in molti preferiscono restare nell’ombra e affrontare in silenzio la propria malattia che si contrasta anche con la forza di un gesto nato dal cuore e di una parola amica, più che con un farmaco o una terapia.  

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