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BORRI: DIALOGANDO NEL MONDO ARABO

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Francesca Borri, ospite in piazza San Nicola di Turi, ha presentato nella serata di giovedì 7 luglio, il suo nuovo libro “Qualcuno con cui parlare”. L’iniziativa del Presidio del libro, è stata presentata da Alina Laruccia e realizzata nell’accogliente cornice del nostro centro storico.

Una giovane trentenne, barese, laureata in Politica europea e filosofia del diritto, è stata in Kosovo in pieno periodo di guerra, conosce in maniera approfondita la Palestina, paese che garantisce appena 2 litri di acqua al giorno. Giornalista free lance, “anche se non mi piace definirmi così perché amo continuare a guardare con l’anima letteraria” oggi conta il suo secondo libro, ma “è già al lavoro per il prossimo”.

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Il testo nasce da una serie di interviste, anche se poi si presenta privo di domande e “organizzo il lavoro in modo tale che non si comprenda chi sia l’intervistato e l’intervistatore”.  “Diciotto interviste a donne e uomini dalle storie e ferite diverse, ma che continuano a sentirsi prima di tutto persone, rivendicando identità più larghe, varie e complesse di quelle consentite dalla classificazione e costrizione in israeliani e palestinesi. Nella convinzione che per sconfiggere il fondamentalismo altrui, sia indispensabile cominciare dalla decostruzione del proprio – perché beit, alla fine arabo e ebraico hanno la stessa parola per dire casa”.

 

“Tra le interviste da me raccolte in questi quattro anni di lavoro in Palestina, molti pensano che quella più difficile da fare sia stata a Marwan Barghouti, segretario generale di Fatah, rinchiuso in carcere dove, in effetti, mi sono introdotta furtivamente”. In realtà, racconta l’autrice, quella più complicata è stata quella fatta a una mamma israeliana e un papà palestinese, accomunati dalla perdita di un figlio durante un attentato.

Si scopre così che due persone vissute a pochi chilometri di distanza sembrano venire da realtà completamente diverse. Così, superando la barriera fisica che divide i due paesi, ha luogo la lunga intervista tra Francesca Burri e Nurit Peled e Bassam Aramin. Israeliana lei, una figlia uccisa in un attentato suicida, palestinese lui, una figlia uccisa da un checkpoint.

Emerge cosìche “dall’altro lato del Muro esiste qualcuno con cui parlare e mi ha sorpreso la facilità di dialogo tra i due che con nessun problema passavano dall’arabo all’ebraico e viceversa”. “Si scopre così – continua la scrittrice – che son stati gli accordi di Oslo, accordi per decretare la pace, ad alzare il muro tra Israele e Palestina”.

Una chiacchierata con l’autrice proseguita anche oltre la presentazione del libro e, nelle sue parole e con il suo atteggiamento dimostra un carattere forte e combattivo necessario per un lavoro come il suo. Perennemente a contatto con civiltà dalle ideologie differenti, da credi opposti e da sentimenti palesati con toni distanti tra loro, la Borri alimenta le sue esperienze di accaduti e di sentimenti indimenticabili che, come ci confessa prima dell’inizio della serata, “a volte è proprio quando ritorno. Non sapere dove andare, rendersi conto dell’arroganza occidentale a volte così incapace di comprendere che l’immagine che abbiamo del mondo arabo è ben diversa, che il popolo agisce e progredisce” senza che l’America o i Paesi più forti attendono il loro soccorso. “Sono arrivata in Palestina senza sapere nulla di quella terra e poi ho scoperto che, come il resto del mondo arabo da me visitato e conosciuto, è soggetto a diverse influenze internazionali. Esistono solo diverse forme di libertà o di oppressione, che spesso variano in base alla classe sociale, all’età o al Paese, ma è una società giovane e piena di energie”, elementi che forse non ci appartengono.

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