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COME SCONGIURARE LA CRISI AGRICOLA. PAROLA ALLA CIA

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Abbiamo intervistato Angelo Palmisano, componente della giunta provinciale della CIA, e Tommaso D’Addato, responsabile della Cia di Turi, in merito alla crisi del settore agricolo e delle soluzioni per superare tale stato.

Qual è lo stato attuale dell’agricoltura?

P.: “Iniziamo dall’uva da tavola. Il problema principale è l’imposizione dei prezzi di vendita da parte della grande distribuzione.”

Quindi sarebbe opportuno creare un consorzio per avere maggiore potere contrattuale e cercare di “spuntare” prezzi più elevati?

P.: “Non è un’operazione facile. Probabilmente dipende dalla mentalità. Nel 2004 abbiamo cercato di creare un OP, ma abbiamo ricevuto la disponibilità solo da parte di tre produttori. Il nostro obiettivo futuro è quello di riprovarci. Dobbiamo innanzitutto riacquistare la fiducia e far ragionare i giovani agricoltori. Dovremmo riunire circa trenta/quaranta produttori e capire se ci sono i presupposti richiesti per la creazione di tale soggetto.

Ad esempio, per le ciliegie esiste una cooperativa che non funziona ed è sempre gestita dai commercianti.

Anche in altri Paesi le cooperative non vanno mai a buon fine perché sono sempre gestite dalla grande distribuzione.”

La vendita a chilometri zero potrebbe risolvere una parte dei problemi del settore agricolo?

P.: “La filiera corta non riesce a risolvere il problema delle enormi quantità prodotte. Essa va bene per il percoco, ma non può funzionare per le ciliegie e l’uva da tavola.”

È necessario ridurre le importazioni dei prodotti agricoli?

P.: “Più che altro è necessaria la tracciabilità, cioè una etichettatura che dica la reale provenienza ed i vincoli per la produzione siano gli stessi per tutti i Paesi europei. Ad esempio ci sono delle limitazioni diverse per quanto riguarda l’utilizzo dei fitofarmaci. Allo stesso tempo molti di questi prodotti importati vengono immessi nel mercato come prodotti italiani. Esemplare è il caso di una presunta banda che rubava olio in Spagna per poi trasportarlo in Puglia, in particolare in provincia di Bari, per venderlo come olio pugliese.”

C’è una normativa a tutela del made in Italy; com’è possibile che si verifichino tali episodi?

D.: “È necessaria una normativa per cui le importazioni non dovrebbero avvenire nel periodo di raccolta del prodotto, perché ciò comporta la riduzione del prezzo di vendita. Per quanto riguarda la normativa sul made in Italy, prima Zaia, poi Galan, raccontano cose non veritiere. In base all’attuale normativa è possibile importare un prodotto, ed effettuando solamente qualche lavorazione in Italia, è possibile metterlo in commercio come prodotto italiano. Tutto ciò è errato: i prodotti italiani devono essere quelli interamente prodotti nella nostra Nazione. Per controllare che ciò avvenga è possibile effettuare un controllo sulle importazioni. Ad esempio, se importi 2mila quintali di ciliegie da una determinata Nazione, in uscita devono esserci 2mila quintali da quello Stato.”

P.: “Deve esserci la tracciabilità, perché da una recente indagine è emerso che l’80% dei consumatori sono disposti a spendere il 10% in più per l’acquisto di prodotti italiani, per la maggiore qualità di questi ultimi. La tracciabilità, quindi, rappresenterebbe una sorta di garanzia per i consumatori, che in questo caso non avrebbero nessuna remora nell’impiegare maggiori risorse nell’acquisto dei prodotti agricoli. Ma oggi tutto questo non avviene, perciò assistiamo ad una truffa ai danni dei consumatori.”

Quindi in Italia mancano i controlli?

P.: “Sì, non ci sono i giusti controlli. Sono una quindicina gli enti con funzioni di controllo che operano in modo autonomo senza scambiarsi informazioni. Il presidente regionale della Cia (Antonio Barile, ndr) tempo addietro organizzò un incontro per istituire una cabina di regia tra tutti gli enti per l’effettuazione dei controlli.”

Negli ultimi tempi è aumentato il consumo di prodotti agricoli nei Paesi dell’Est, in particolar modo in Polonia. Sarebbe utile subentrare in altri mercati?

P.: “I Paesi dell’Est consumano prodotti di seconda scelta; certo bisogna tenerli in considerazione. Bisogna puntare su altri Paesi.”

D.: “Si deve puntare su Paesi come l’India, la Russia e la Cina.”

Per quali ragioni i nostri prodotti non sono competitivi come quelli delle altre Nazioni?

P.: “Noi produciamo prodotti di qualità, ma abbiamo il problema dei contributi agricoli, che incidono sul costo della manodopera. È necessario prorogare la fiscalizzazione, terminata il 31/07/2010. La mancata proroga ha comportato un aumento del costo dei contributi passando da 10 a 23 euro. Questo provoca il fallimento dell’azienda.

A questo si aggiunge il problema delle agevolazioni per il gasolio agricolo e l’aumento dei fitofarmaci.

È opportuno portare i contributi allo stesso livello delle altre Nazioni europee per essere competitivi. Il Governo potrebbe attingere dai fondi FAS per aiutare l’agricoltura nelle zone svantaggiate e questo sicuramente troverebbe tutti d’accordo.”

Nella regione Lazio mediante il PIF (Progetto Integrato di Filiera) sono stati raggiunti in media 250 clienti al giorno. In Puglia tale strumento può rappresentare una delle soluzioni ai tanti problemi del comparto agricolo?

P.: “Purtroppo le esperienze passate sono state fallimentari, quindi si è persa la fiducia. Stranamente il produttore ragiona con la logica improntata esclusivamente alla produzione. Presume che siano altri ad occuparsi della commercializzazione del prodotto. È doveroso cambiare mentalità.”

Cosa è cambiato in seguito agli incontri tenuti in Comune per discutere dei danni procurati dal maltempo alle ciliegie, ed eventualmente ricevere la c.d. calamità?

P.: “Il Sindaco si fece promotore di quell’iniziativa ma, in realtà, le calamità non esistono più. Quella è stata una pagliacciata. In quell’occasione chiedemmo al sindaco di portare agli organi competenti la richiesta per la proroga per la fiscalizzazione dei contributi agricoli.”

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