MICHELE JAMIL MARZELLA, NAMASTÈ
Namastè non è una delle locuzioni tipiche del nostro dialetto, e non è una trovata per attirare la vostra attenzione. È la parola con cui Michele Jamil Marzella, mentre stava andando via di casa dopo il nostro megagalattico ritardo, ci ha accolto inchinandosi e facendoci segno con il braccio sinistro di accomodarci nella sua dimora. Namastè è una parola che ha anche dipinto sul portone di casa sua e significa “io mi prostro a te, chiunque tu sia“: un inizio grandioso, per un’intervista ancora più particolare, senza domande preventivate e con l’unico scopo di conoscere una persona, un personaggio, che da poco tempo è nostro concittadino e ha già fatto parlare di sé per essere il maestro d’orchestra dell’Improbabilband: una banda che ha ereditato insieme a Giovanni Chiapparino, dopo la scomparsa di Francis Bebey nel 2005. Insieme l’hanno trasformata radicalmente, contaminandola con tutto il bagaglio personale di esperienze africane fatte negli anni precedenti dell’uno, e con la cultura balcanica dell’altro.
Michele Marzella, nasce a Giovinazzo nel 1980, da una famiglia di musicisti. È musicista, trombonista, suonatore di tube tibetane e strumenti musicali tibetani e compositore. Ha suonato anche nelle bande di paese. Lui però non ama definirsi musicista, ma più ecletticamente “artista“.
Egli infatti concepisce la musica in un modo del tutto particolare: ad esempio, attualmente, sta occupandosi di collaborare con il teatro dell’Opera di Roma, in cui egli è attore e musicista. Ma non è attore con le parole, con i gesti, ma con il suo strumento, con cui riesce a trasmettere sensazioni e suoni realistici: il grido, l’orgasmo, l’elefante, la paura ecc., “portando lo strumento all’ennesima potenza, all’estremo delle sue potenzialità”.
Dà tanta importanza al verbo “fissare“: “nella vita bisogna allenare l’occhio a fare questo perché alla fine si riesce a vedere quello che non è visibile”.
Abita in via Arco Gil, una delle viuzze più belle del nostro centro storico, in una casa arredata e accomodata in stile etnico. Si sta battendo per la rivoluzione e rivalutazione del Paese vecchio, secondo lui ricco di risorse, troppo poco sfruttato e troppo poco curato (riferendosi al tema della pulizia).
Dal ’99 è ambasciatore della musica tibetana nel mondo, e durante il battesimo indo-tibetano gli è stato dato il nome arabo Jamil, che significa “bello”, “bellezza”.
Non è un semplice suonatore, ma è una persona che cerca di trasmettere agli altri le caratteristiche intrinseche degli strumenti. Nei confronti delle tube tibetane, infatti, ha una specie di venerazione: le considera non degli strumenti da suonare, ma il prolungamento della mente. “Ogni strumento deve essere legato ad una storia. Deve portare fuori quello che una persona ha dentro” – ci spiega Jamil.
Conosce 12 lingue, che non riesce nemmeno a ricordare a mente facilmente: tra le tante, ricordiamo l’inglese, il francese, lo spagnolo, il tedesco, il mandarino cinese, il bambori, il dom, l’indo, il tibetano e l’arabo. Non sono tutte lingue che ha studiato a tavolino; più semplicemente le ha dovute imparare per convivere con le genti dei posti che ha frequentato. Infatti ha vissuto in Nepal, Tibet, India, e visitato tanti altri posti.
Ci dice che è indo-buddista e venera e prega costantemente le divinità di questa religione. Lo è diventato dopo che nel ’95, spinto dalla ricerca di se stesso, si recò presso un monastero tibetano, davanti al cui uscio stazionò circa un mese, come un barbone, per farsi accettare dai monaci. Lì ha imparato l’arte della meditazione e del rispetto. Adesso fa di questa religione una filosofia di vita, in cui “i preconcetti e le discriminazioni non devono esistere, ma si dà spazio all’accettazione del prossimo, qualunque sia il suo passato, chiunque egli sia, apprezzandolo per il suo presente”.
Dopo le medie è scappato di casa a causa della sua irriverenza e del suo essere speciale. Tuttavia nel resto della vita ha avuto modo di studiare, frequentare il liceo e laurearsi in filosofia. Non solo: si è anche diplomato con un punteggio quasi perfetto presso il Conservatorio di musica “N.Piccinni” di Bari sotto la guida del maestro turese Angelo Palmisano “che lo ha fatto innamorare della musica”.
È insegnante di yoga e body-music;
è insegnante di tromba e trombone presso il C.U.T.A.M.C., Centro Universitario per il Teatro, le Arti visive, la Musica e il Cinema (Palazzo S.Giacomo – vico S.Giacomo, Bari);
ha frequentato stage di musica jazz e leggera con Demo Morselli, Michael Supnick, Franco Piana, Mario Andriulli, Michele Marrano, Solange Labelle, i corsi del D.I.M.I. Roma e Roberto Ottaviano, Michael Mosmann.
Citare il resto del suo curriculum e i personaggi famosi con cui ha collaborato è praticamente impossibile. Vi diamo il link che riporta al suo sito in cui c’è scritto veramente tutto:http://www.michelemarzella.altervista.org/site.php?page=cur.
Citiamo solo un piccolo passaggio, l’ennesima esperienza fuori dal comune che lo ha visto protagonista: in un altro periodo particolare della sua vita, durato otto mesi, ha suonato per le strade di Roma chiedendo offerte ai passanti. Un bel giorno, a Piazza del Popolo, presso la Stazione Flaminia, mentre era intento a fare musica con altri ragazzi ai bordi della strada, venne notato da Renato Zero che rimase colpito dalle sue note e lo invitò a far parte della sua band.
E da barbone è diventato anche molto benestante, si è permesso viaggi in lungo e in largo nel mondo, dove ha aperto la sua mente a nuovi orizzonti, quelli che oggi definiscono il suo percorso di vita.
È un uomo di sinistra. Di ideologia di sinistra. Quella che ormai non si vede quasi più. È stato assessore a Giovinazzo per Rifondazione Comunista. Non esclude una futura candidatura nel nostro paese. Ci spiega che “non si schiererà necessariamente con gente che è vicino a lui politicamente, ma con qualcuno che abbia dimostrato di aver voglia di fare, di migliorare questo paese”. A tal proposito riempie di elogi l’attuale assessore alla cultura Antonio Tateo. Secondo Marzella, “è l’unico, insieme al vicesindaco, a darsi da fare”.
Ma perché Michele si è trasferito a Turi? Per tre motivi: è affascinato dai centri storici; ritiene che il nostro paese sia tranquillo e sereno, un posto ideale per poter concentrarsi, comporre e meditare; considera Turi un paese compatto, non decentrato come possono essere la vicina Conversano o altri paesi limitrofi.
Critica duramente l’anarchia regnante nel nostro paese, il non rispetto delle semplici regole di convivenza civile, la poca durezza nel far rispettare le regole da parte delle forze dell’ordine, l’incapacità di mettere insieme le capacità di tanti per ricavare dei risultati migliori e l’atavico vizio dei turesi di disapprovare e smontare sempre qualsiasi cosa si tenti di costruire.