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GIOVANNI MAIURO SI RACCONTA

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 Un uomo, una vita, un esempio

Nato a Turi classe 1923


Presentazione dell’autore di questo articolo
 
La memoria degli uomini spesso corre come una debole scintilla lungo uno stoppino umidiccio. Giusto un soffio di vento, una goccia d’acqua o la semplice pressione di due dita possono facilmente spegnerla. La memoria non sempre trova parole per potersi raccontare davvero, per riuscire a smuovere le riflessioni assonnate di chi, presuntuoso, crede già di ricordare a sufficienza. Allora la memoria suona e canta le cifre della provocazione e con il ritmo preciso del pentagramma si insinua nelle emozioni di chi ascolta e lo rapisce catturando sentimenti ed interessi. 

Questo scrive lo scrittore Mario Serbo a proposito del tema “In ascolto alla memoria”.
Meditando queste parole, ho pensato a quanto avrebbero da dire, denunciare, farci conoscere, insegnare con le loro storie ricche di ricordi indelebili della loro vita, i nostri anziani, concittadini, coloro che nella loro solitudine, sembrano emarginati dai canoni della vita attuale.
Ritmi di vita sostenuti, vite personali che concorrono a mettere in discussione i ruoli interni alla famiglia, specie le innumerevoli silenziose richieste nel nome della propria dignità umana, rivolte, in particolare, al loro accudimento, tra la dimensione privata, propria delle mura domestiche, e sociale.
A questo proposito mi son chiesto.” Perche non far parlare loro?”
Munito di penna e taccuino ho incominciato questo viaggio-interviste ai cittadini anziani turesi, a cui faccio anticipatamente i miei personali ringraziamenti per la disponibilità offerta nell’accettare di essere intervistati.


D) Buongiorno signor Maiuro, lascio decidere lei da dove vuole incominciare questa chiacchierata.
R) Ok, ma lascia il signore, quello sta in cielo, vorrei presentare la mia famiglia o meglio i miei genitori, in casa eravamo in cinque, tre maschi con papà e due femmine con mamma.
D) Ai un ricordo particolare della tua infanzia?
R) Sì un bruttissimo ricordo, avevo 8 anni, papà aveva un amico Michele Ladisa, che era il panificatore del forno comunale di Turi. Questo chiese un prestito alla banca pregando mio padre di fargli da garante. La somma era di 250 lire.
Ricevuto il prestito, scappò via inbarcandosi per l’America, di conseguenza precipitò mio padre, la nostra famiglia all’estinzione del debito. Questo sconvolse la nostra vita, in quanto campavamo sulla giornata che papà portava a casa quando lavorava, era specializzato nella potatura di alberi.
Il fantasma di questo debito si divertiva a scombussolarci la tranquillità domestica, a tal punto che mamma e’ morta prematuramente all’età di 42 anni. Avevo 15 anni, fu’ un duro colpo per tutti, mia sorella maggiore assunse le veci di matriarca, fu’ lei dopo la morte di mamma la curatrice della casa e responsabile della nostra educazione.
D) Educazione, parlaci di questa.
R) In casa vigilava la regola del rispetto, ci si sedeva a tavolo per mangiare solo dopo seduto papà, la mamma recitava sempre la preghiera di ringraziamento, dopo in silenzio si incominciava a mangiare.
A papà si doveva riferire quello che avevamo fatto nella giornata, senza mentire, punizioni e digiuni non mancavano mai.
D) Giovanni al frequentato la scuola?
R) Ho frequentato le elementari fermandomi al 1° avviamento, anche se promettevo bene, a causa del debito spiegato prima non e’ stato possibile  continuare gli studi.
D) A che età ai avuto il tuo primo approccio al lavoro
R) Il lavoro, in quell’epoca ci si adattava a fare qualsiasi cosa, pur di non stare sulla strada, pensa che da bambini venivamo reclutati in duri lavori in campagna ai limiti della schiavitù. Ricordo in particolare un contadino che ci portò nella sua proprietà a scavare e trasportare la terra con mastelli di ferro, avevo solo 12 anni, mia madre saputa la notizia, mi venne a prelevare sul posto di lavoro, ed incazzandosi col proprietario lo invitava a farselo lui quel lavoro indecente per un bambino.
Crescendo mi indirizzai al lavoro di mio padre la potatura degli alberi, ed a 15 anni il capomastro Stefano detto Dondoz, mi inserì nel suo gruppo di potatori, rimase molto contento nel vedere che oltre ad imparare bene il lavoro, trattavo le piante con molto amore, questa caratteristiche furono molto apprezzate da DonDoz, a tal punto che mi promise di lavorare sempre da lui.
D) Giovanni, a Turi sei conosciuto per aver lavorato ed abitato presso il palazzo della famiglia Marchese Giovanni Venusio di Turi, cosa ci puoi raccontare?
R) Nel 1945 ricordo che ero seduto in via XX settembre, vicino al dopolavoro, intravidi una bellissima ragazza che passeggiava, fu’ un colpo di fulmine, i nostri sguardi si incrociarono in un intreccio amoroso.
Subito dopo decisi di correre all’assalto, organizzai la stessa sera una serenata. Lei abitava nel palazzo marchesale in quanto suo padre, Innocente Resta, aveva mansioni di portinaio.
Come tutti i turesi sanno, sono dotato di una bella voce da tenore, accompagnato da un chitarrista dedicai alla mia bella tre brani celebri, Maria Marì, Serenata Sincera, Buonanotte a te. Naturalmente la mia serenata non fece solo colpo al mio dolce amore, ma se la godettero anche i Marchesi Venusio.Ricordo quella sera il rione dove mi esibivo, era usanza che quando in una via si suonava una serenata, tutte le ragazze uscivano chi sul balcone chi dalla finestra a sbirciare, speranzose che quei canti d’amore fossero rivolte a loro. Per farla breve, riuscì nel mio intendo verso la mia amata, che rispose in forma molto riservata, un semplice saluto fatto dalla sua manina che si scorgeva appena dalla finestra socchiusa. Con quel gesto, si era dichiarata di essere la mia ragazza, successivamente la mia sposa.
D) Il primo bacio.
R) Per il primo bacio passo un po’ di tempo, avevo sete e accudivo dolori addominali, bussai al portone del palazzo per chiedere un bicchiere d’acqua, fu la mia Maria che lo portò, dopo averlo bevuto mi prese la mano tirandomi dentro, subito dopo ci abbandonammo in un lungo ed appasionato bacio, con promessa di matrimonio.
Ma aimè la promessa venne meno, causa problemi di vario tipo, fummo costretti a fuggire.
Al ritorno dovevamo regolarizzare la nostra posizione legale di marito e moglie.
La Marchesa Fiorenza  Ustheh, saputa la notizia, ci invitò ad un colloquio in quanto la mia Maria era come una figlia per lei.
Principalmente ci accolse con un sorriso, poi un lungo sormone di rimproveri ed alla fine stringendoci le mani ci invitò a sposarci e successivamente andare ad abitare nel suo palazzo.
Fatto questo, mi affidò mansioni di manutenzione dell’intero palazzo, e grazie alla fiducia che mostrava nei miei confronti, mi affidò il mazzo di chiavi che aprivono tutte le porte.
D) Quanti anni sei stato alle dipendenze dei Venusio?
R) Ho reso servizio dal 1952 al 1983.
D) Ai qualche ricordo della seconda guerra, intendo quella dell’epoca fascista .
R) Molti . All’età di 19 anni con obbligo di servizio, fui reclutato nell’esercito fascista con destinazione a Spoleto.
Mi affidarono la mansione di Genere Telegrafista, naturalmente dopo una breve scuola o meglio un corso accelerato.
Subito dopo fui trasferito a Cettigno città del Montenegro, con la mansione di telegrafista aeroportuale, avevo anche ricevuto i gradi di Caporale Maggiore.
Successivamente nuovamente trasferito in Albania e nella città di Argirocastro, fui imprigionato dai tedeschi, i quali a loro volta ci trasferirono in massa nella città greca di Florina.
Fummo caricati su un treno tipo merci, diretto in uno dei Lager della Germania. Durante il viaggio il treno si fermò a Metrovic città della Serbia, non poteva piu’ proseguire in quanto i russi avevano con la loro avanzata, occupato i collegamenti ferroviari, di conseguenza ci costrinsero a proseguire a piedi, imponendoci di collaborare con la Prima Divisione Alpina Tedesca, ad un rastrellamento sull’area del nostro tragitto, area che comprendeva Serbia, Bosnia fino in Ungheria.
D) Una bella camminata
R) Caro Lorenzo, o si camminava o si veniva sparati e abbandonati sul posto. Arrivati in Ungheria i tedeschi ricevettero nuove disposizioni sul percorso da fare, in quanto l’esercito russo aveva sorpassato le linee tedesche della frontiera ungherese.
Decisero allora di dislocarci, affidandoci come prigionieri a famiglie appartenenti al regime nazi-fascista ungherese.
Grazie alla mia voce ed al bel canto italiano, fui ben voluto dalla famiglia che mi teneva in consegna, a tal punto che il signor Luigi, il capo famiglia e responsabile del controllo, violando il suo giuramento, di nascosto mi accompagnò alla frontiera italiana, aiutandomi a fuggire.
Ormai la Germania cadeva nel caos, i controlli dei prigionieri si erano affievoliti, tutti pensavano a salvare la pelle, specie i tedeschi.
Passata la frontiera italiana, ebbi la fortuna di ricevere un passaggio su di un motocarro che si dirigeva come destinazione Bologna.
Da qui proseguì a volte a  piedi, a volte con mezzi di fortuna che incontravo fino ad Arezzo.
Finalmente incontrai gli americani, pensai che fosse tutto finito, ma era solo un nuovo epilogo per me.
Infatti, questi pensarono che fossi ancora un fedele dell’esercito fascista, anche loro mi imprigionarono. Ci vollero parecchi giorni per chiarire la mia posizione e con altri miei compagni, sotto scorta armata, fummo trasferiti a Bari.
Finalmente il profumo della mia terra, del mio mare, all’arrivo a Bari, il camion che ci trasportava non riusciva piu’ a camminare, molta gente, molte donne erano ansiose di controllare se all’interno di questi veicoli fosse presente un loro parente, figlio, marito, in questa confusione, approfittai nuovamente a fuggire sviando i controlli della scorta, e dopo alcuni chilometri a piedi, percorsi tra le nostre campagne di ulivi, finalmente arrivai nella mia bella Turi, era giunta l’ora di poter rivedere la mia famiglia, abbracciare la mia amata.
D) Grande storia Giovanni, parlami ora del tuo presente, vedo che vivi in una bellissima villetta, come mai vivi da solo?
R) Nel 1997 avviammo la costruzione di questa casa, sfortunatamente l’anno successivo morì mia moglie, e poco dopo la seguì mio figlio, era da parecchio malato di cancro.
Mi è rimasta mia figlia che vive fuori Turi, lavora a Bari come coordinatrice alla Regione Puglia, non ho contatti con lei purtroppo, abbiamo caratteri divergenti, mi sarebbe piaciuto riunire sotto lo stesso tetto la famiglia….pazienza.
Attualmente vivo solo sono abbastanza autosufficiente, solo con i miei cani e le piante che coltivo nel mio giardino. Naturalmente ho un’infinità di amici .
D) Giovanni per terminare questa bella chiacchierata,esprimi qualche tuo messaggio per tutti noi.
R) Vedo in queste generazioni atteggiamenti immorali di vita, pochi valori educativi, però e’ da dire che anche se in minoranza
ci sono bravissimi ragazzi che hanno voglia di fare, che credono in un futuro migliore da ricostruire.
Dei nostri governanti,i politici, ho poca stima e fiducia. Peccato che si facciano vedere solo quando hanno bisogno di un voto, strette di mano e caffè a volontà, appena finisce tutto,chi se visto se visto.
Ho una grande passione che tutti i turesi conoscono,la coltivazione delle rose, ne ho di svariate qualità,anche rare e ricercate da floricoltori, sono gelosissimo dei miei fiori.
Ogni qualvolta che ho tra le mani una rosa l’accarezzo dolcemente,vedo in lei il viso e corpo della mia amata Maria.
Grazie Lorenzo,in questa intervista mi ai fatto rivivere la mia vita (alcune lacrime scendono sul suo viso).
Grazie a te Giovanni che ci ai arricchito culturalmente con la tua storia.

 

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