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I RITI DELLA SETTIMANA SANTA

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LA SETTIMANA SANTA: CENTRO DELLA FEDE DELLA CHIESA

Eccoci finalmente giunti alla Settimana Santa. Il cammino quaresimale è giunto al termine e possiamo prepararci a vivere quello che è il momento centrale di tutto l’anno liturgico. Quali sono gli elementi importanti di questo avvenimento che ci prepariamo a celebrare?

LA LITURGIA: luogo dell’esperienza della fede
La Settimana Santa inizia con la domenica delle Palme. Tutto il nostro itinerario quaresimale deve sfociare in questa settimana che ci accompagna negli ultimi giorni prima della Pasqua: per capirne l’importanza e la centralità pensiamo che la Chiesa ha voluto che fosse preparata da ben 40 giorni di preghiera e riflessione, senza contare che tutto l’anno liturgico converge ed è riassunto nella veglia pasquale che celebreremo insieme la notte di sabato.
Già due settimane prima, con la domenica laetare che scandisce la metà della Quaresima, siamo stati invitati a fare un po’ il punto del nostro cammino quaresimale; così anche la domenica delle Palme deve essere un momento di gioia e riflessione in vista della Pasqua vicina: abbiamo trascorso una Quaresima di piccoli sacrifici, di maggior attenzione verso l’altro e verso la nostra comunità cristiana? Abbiamo svolto con adesione vera il servizio a cui siamo stati chiamati? Siamo stati attenti alle nostre azioni? Ci siamo lasciati un po’ guidare dal Signore? Ci siamo ricordati di Lui, anche solo con una visita in chiesa o un segno di croce? Abbiamo scandito la nostra giornata con la preghiera, almeno mattina, sera e magari mezzogiorno, o siamo rimasti impantanati nelle nostre occupazioni, senza un piccolo pensiero a chi ci ha donato il tempo per fare tutte queste belle cose?
Se la nostra Quaresima non è stata così forte, a maggior ragione lasciamoci, una volta tanto, afferrare dalla Settimana Santa: giorno per giorno ci prende per mano e ci avvicina alla Pasqua, ci propone momenti di purificazione (la confessione), ascolto (la passione, le letture della veglia pasquale), silenzio e meditazione (la veglia di giovedì, la giornata di sabato), rievocazione (la processione delle Palme, la via crucis di venerdì sera), celebrazione (le liturgie del triduo), infine di gioia ed esultanza… finalmente è Pasqua, la realizzazione della salvezza dal peccato e dalla morte!
Si tratta di metterci al seguito di Gesù, di rispondere alla sua chiamata: accompagnarlo gioiosamente con i canti al suo ingresso a Gerusalemme, cenare con Lui condividendo lo stesso pane con i nostri fratelli, vegliare con Lui sul monte degli ulivi, assistere al suo arresto, ascoltare in silenzio (come nascosti dietro una colonna nella vasta sala del palazzo del governatore) il dialogo con Pilato, salire con Lui al Calvario (costretti a portare la sua croce, come il Cireneo, o muti o gridanti dalla folla), sostare adorando innanzi alla croce piantata nella nuda terra… per condividere poi anche il trionfo, la risurrezione!

UNA MESSA CHE DURA UNA SETTIMANA
Si tratta di un modo improprio di esprimersi, ma che può aiutarci a comprendere il dono della Settimana Santa che culmina nel Triduo. In antico non esisteva la Pasqua annuale, esisteva la Domenica Pasqua della settimana. Poi nacque l’anno liturgico e in esso la centralità della festa pasquale. Questo ci dà l’opportunità di vivere le diverse componenti del mistero pasquale. Per cui:
IL GIOVEDÌ: si ricorda l’ultima cena, il tradimento di Giuda e l’inizio della veglia di Gesù nell’Orto degli ulivi;
IL VENERDÌ: i processi a Gesù iniziato nella notte che continuano sino all’alba, la condanna a morte, la crocifissione e la morte e sepoltura;
IL SABATO: il mistero della morte di Gesù, la sua discesa agli inferi (per questo assenza di ogni liturgia);
LA VEGLIA PASQUALE: il momento della resurrezione del Signore.

Domenica delle Palme e della Passione del Signore
La domenica delle Palme ci prepara molto bene a vivere intensamente e attivamente la settimana santa: nella liturgia gioia e dolore coesistono prefigurandoci il mistero pasquale. Gesù è proclamato dalla folla come il Cristo (che signigica ‘unto, consacrato’) cioè il Messia tanto atteso in ebraico: ed Egli è realmente colui che può, Lui solo, colmare l’attesa degli uomini, dando loro il pegno della speranza nella fede. Ma la fede (cioè l’adesione a Gesù, il credere) è qualcosa di più concreto e più profondo: sappiamo come, poco dopo, sia cambiato l’umore della folla e lo leggeremo nel vangelo all’interno della Messa! Proprio questo vangelo si interromperà bruscamente, lasciando Gesù "sconfitto" nel sepolcro. Questo atteggiamento di sospensione ci deve accompagnare nella prima parte della settimana santa, fino all’inizio del triduo.

Il mistero della croce

Vertice della liturgia della Parola è la lettura della Passione: è a questo centro che occorre volgere l’attenzione, più che alla processione delle palme. I ramoscelli d’ulivo non sono un talismano contro possibili disgrazie; al contrario, sono il segno di un popolo che acclama al suo Re e lo riconosce come Signore che salva e che libera. Ma la sua regalità si manifesterà in modo sconcertante sulla croce. Proprio in questo misterioso scandalo di umiliazione, di sofferenza, di abbandono totale si compie il disegno salvifico di Dio.

Celebrazione liturgica

In ricordo di questo, la liturgia della Domenica delle Palme, si svolge iniziando da un luogo al di fuori della chiesa dove si radunano i fedeli per la benedizione di rami d’ulivo o di palma. Quindi si dà inizio alla processione fin dentro la chiesa, dove si continua con la celebrazione della Messa che è caratterizzata dalla lettura della Passione di Gesù. In questa Domenica il sacerdote, al contrario di tutte le altre di Quaresima, è vestito di rosso.

Giovedì Santo

Con la Messa celebrata nelle ore vespertine del Giovedì Santo, la Chiesa fa memoria di quell’ultima Cena durante la quale il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, amando sino alla fine i suoi che erano nel mondo, offrì a Dio Padre il suo Corpo e Sangue sotto le specie del pane e del vino, li diede agli Apostoli in nutrimento e comandò loro e ai loro successori nel sacerdozio di farne l’offerta.

Messa in "Coena Domini"

L’istituzione dell’Eucaristia come rito memoriale della «nuova ed eterna alleanza» è certamente l’aspetto più evidente della celebrazione odierna che del resto giustifica la sua solennità proprio con un richiamo «storico» e figurativo dell’avvenimento compiuto nell’ultima cena. Ma la liturgia ci invita a meditare anche su altri due aspetti dei mistero di questo giorno: l’istituzione del sacerdozio ministeriale e il servizio fraterno della carità. Sacerdozio e carità sono, in effetti, strettamente collegati con il sacramento dell’Eucaristia, in quanto creano la comunione fraterna e indicano nel dono di sé e nel servizio il cammino della Chiesa.

Gesù lava i piedi ai suoi: un gesto d’amore

È significativo il fatto che Giovanni, nel riferire le ultime ore di Gesù con i suoi discepoli e nel raccogliere nei «discorsi dell’ultima cena» i temi fondamentali del suo vangelo, non riferisca i gesti rituali sul pane e sul vino come gli altri evangelisti: eppure era questo un dato antichissimo della tradizione, riportato in una forma ben definita dal primo documento che ne parla, la lettera di Paolo ai Corinzi (prima lettura). Giovanni richiama l’attenzione sul gesto di Gesù che lava i piedi ai suoi e lascia, come suo testamento di parola e di esempio, di fare altrettanto tra i fratelli. Non comanda di ripetere un rito, ma di fare come lui, cioè di rifare in ogni tempo e in ogni comunità gesti di servizio vicendevole — non standardizzati, ma sgorgati dall’inventiva di chi ama — attraverso i quali sia reso presente l’amore di Cristo per i suoi («li amò sino alla fine»). Ogni gesto di amore diventa così «sacramento», incarnazione, linguaggio simbolico dell’unica realtà: l’amore del Padre in Cristo, l’amore in Cristo dei credenti.

Gesù dona se stesso in cibo: il sacramento dell’amore

Il Giovedì Santo, con il suo richiamo all’evento dell’ultima cena, pone al centro della memoria della chiesa il segno dell’amore gratuito, totale e definitivo: Gesù è l’Agnello pasquale che porta a compimento il progetto di liberazione iniziato nel primo esodo (cf prima lettura); il suo donarsi nella morte è l’inizio di una presenza nuova e permanente; «il suo corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza, il suo sangue per noi versato è la bevanda che ci redime da ogni colpa». Partecipare consapevolmente all’Eucaristia, memoriale del Sacrificio di Gesù, implica avere per il corpo della chiesa di Cristo quel rispetto che si porta al suo corpo eucaristico. La presenza reale del Signore morto e risuscitato nel pane e nel vino su cui si pronuncia l’azione di grazie (cf seconda lettura), si estende, sia pure in altro modo, alla persona dei fratelli, specialmente dei più poveri (cf tutto il contesto della 1Cor 11).

Il sacerdozio: dono per l’unità

All’interno della comunità, i rapporti reciproci sono valutati in chiave di servizio e non di potere, e trovano la loro più perfetta espressione nel momento dell’azione eucaristica. Chi «presiede» la comunità e ne è responsabile, presiede anche l’Eucaristia: la raccoglie nella preghiera comune, come la unisce nelle diverse attività della parola e dell’aiuto reciproco.
Il Concilio Vaticano II afferma: «I Presbiteri… ad immagine di Cristo, sommo ed eterno Sacerdote, sono consacrati per predicare il vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento… Esercitando, secondo la loro parte di autorità, l’ufficio di Cristo Pastore e Capo, raccolgono la famiglia di Dio, quale insieme di fratelli animati da un solo spirito, e per mezzo di Cristo nello Spirito li portano al Padre… » (LG 28).

Struttura della celebrazione

La liturgia comincia come tutte le messe, con il saluto iniziale e l’atto penitenziale; può però essere preceduta dalla presentazione degli oli (Crisma, Olio dei Catecumeni e Olio degli Infermi), benedetti la mattina dal Vescovo durante la messa crismale, mediante una breve processione fino all’altare, dove vengono appoggiati ed incensati. Al Gloria si suonano le campane a festa, in tutte le Chiese: dopodiché le campane taceranno fino alla notte di Pasqua. La liturgia della Parola consta dei seguenti testi:

• prima lettura dal Libro dell’Esodo: racconto della istituzione della Pasqua ebraica (Es 12,1-8.11-14);
• salmo responsoriale (Sal 115);
• seconda lettura dalla Prima Lettera ai Corinzi di San Paolo apostolo: racconto del «pasto del Signore» (1Cor 11,23-26);
• brano tratto dal Vangelo secondo Giovanni: racconto della lavanda dei piedi (Gv 13,1-15).

Dopo la Liturgia della Parola si compie il gesto della lavanda dei piedi. Il celebrante, tolte le vesti liturgiche (esclusa la stola), comincia a lavare i piedi di dodici persone scelte (che raffigurano i dodici apostoli); durante questo momento si canta un inno sulla carità. Dopo la Comunione, la Pisside contenente le ostie consacrate, non viene riposta, ma rimane esposta sull’altare per una breve adorazione; quindi, accompagnata dal un canto eucaristico, comincia una processione eucaristica fino al luogo della reposizione (non sepolcro) del Santissimo Sacramento. Quindi l’assemblea si scioglie in silenzio, senza benedizione o segno di croce. In alcuni luoghi, da quel momento si prolunga l’adorazione per tutta la notte, fino al giorno seguente. Fino alla Veglia Pasquale non si celebrano più Messe.

Venerdì Santo

In questo giorno la comunità cristiana non celebra l’Eucaristia perché il clima di festa non si addice all’evento che riempie il suo ricordo e motiva il suo digiuno (cf Mc 2,19-20): la morte del suo Signore e Sposo.

Commemorazione della Passione del Signore
L’azione liturgica è dominata dalla croce; manifestazione luminosa dell’amore divino spinto alla follia. La croce lascia spazio solo al silenzio e alla contemplazione.

Struttura della celebrazione
La celebrazione inizia in silenzio: non si effettua alcun canto; quando la processione dei celebranti arriva al presbiterio, essi si stendono a terra per qualche secondo, nell’ora della morte di Cristo, mentre tutto il popolo si inginocchia in silenziosa preghiera. Quindi i concelebranti si alzano e raggiungono il loro posto. Arrivato alla sede il celebrante pronuncia l’orazione che introduce la liturgia della Parola. Essa consta di:

• una prima lettura tratta dal libro del profeta Isaia: quarto canto del Servo del Signore (Is 52,13-53,12);
• il salmo responsoriale (Sal 30);
• una seconda lettura tratta dalla Lettera ai Filippesi di San Paolo apostolo: Cristo servo di Dio (Fil 2,6-11);
• la Passione secondo Giovanni;
• la Preghiera Universale, formata da dieci intenzioni in preghiera, introdotte da un diacono o un sacerdote e concluse ciascuna con l’orazione del celebrante.

Quindi comincia l’Adorazione della Santa Croce, in una delle forme previste dal rito; nella forma più comune un diacono o un sacerdote accompagnano processionalmente al presbiterio una croce velata; il celebrante provvederà a svelarla in tre momenti, intonando o recitando l’"Ecce lignum crucis" (Ecco il legno della croce), a cui il popolo risponde "Venite adoremus" (Venite adoriamo); ad ogni momento, dopo il canto, tutti si inginocchiano in silenziosa adorazione. Svelata totalmente la croce, essa viene esposta per il bacio della croce, da parte dei ministri e del popolo. Seguono i riti di comunione; la croce viene posta sopra l’altare e, dal luogo della riposizione, vengono portate da un diacono o sacerdote le ostie consacrate la sera prima. Quindi il celebrante introduce il Padre nostro; subito dopo si distribuisce la comunione al popolo. Terminata la comunione, letta l’Orazione dopo la Comunione e l’Orazione sul popolo, senza dare alcuna benedizione e senza segno di croce, i celebranti fanno ritorno in sacrestia in silenzio, senza canti o musica. Poiché l’Eucaristia viene interamente consumata il Venerdì, il Sabato Santo i tabernacoli sono vuoti e, non essendoci il Santissimo Sacramento nelle chiese, entrando si genuflette adorando la Croce.
Il Venerdì Santo, tutti i fedeli cattolici dai 18 ai 60 anni sono tenuti al digiuno ecclesiastico e all’astinenza dalle carni.

I RITI DEL VENERDI’ SANTO NELLA NOSTRA CITTA’                                               

Il Venerdì Santo, ricordando la Morte di Gesù, è il giorno di digiuno. Per le strade della nostra cittadina si snodano le tre processioni che riattualizzano il mistero della passione e morte di Nostro Signore Gesù Cristo.
La Processione dei Misteri della Passione si apre con le statue della parrocchia Maria SS. Ausiliatrice con il gruppo di Cristo nell’Orto del Getzemani. l’Ecce Homo, Il Calvario,la discesa dalla Croce. Successivamente, dopo una prima parte del  giro processionale, giunti alla parrocchia di S. Giovanni Battista, si aggiungono altre statue:  il Crocifisso, il Cristo Morto e l’Addolorata. Il giro continua per le vie del paese per  poi ritornare alla chiesa di S. Giovanni.  

Una particolare attenzione è rivolta ad uno dei momenti più forti del Venerdì Santo: il “Vieni Maria”,  quando la Madonna Addolorata va  in cerca del corpo del figlio. E’ una tradizione presente nel nostro paese dove “l’incontro” è dato dal ritrovamento del figlio morto. In tale incontro il popolo turese ha da sempre ravvisato tutte quelle ansie e tutti quei dolori che una mamma può nutrire e vivere per il proprio figlio. A Turi l’immagine dell’Addolorata viene portata dalla piccola chiesa di S. Domenico, curata dalla confraternita dell’Addolorata, presso la Chiesa Matrice dove tutto il popolo rivive un momento intenso di religiosità; l’incontro è sottolineato dalla lentezza dell’incedere. Dopo questo momento fortemente toccante per i turesi la Processione continua il suo lento tragitto per poi rientrare nella chiesa di S. Domenico.

La pietà religiosa continua attraverso un altro rito molto caro ai turesi: viene portata in processione la reliquia del Legno della Croce partendo dalla chiesa di S. Chiara. All’Arciconfraternita del Purgatorio, custode della sacra reliquia,  il compito di accompagnare con ceri, il canto del “miserere” e il baldacchino i sacerdoti del paese che, a turno, reggono la reliquia. Tale incedere sulla via della croce, seguita da numerosissimi fedeli, è l’epilogo che dà significato umano e cristiano a tutta la giornata della passione del Signore. I turesi sono fortemente legati da sempre ai riti di pietà popolare del Venerdì Santo e con molta religiosità ed attaccamento partecipano vivendo appieno il mistero celebrato.

Sabato Santo

La liturgia non prevede nulla: Gesù Cristo è sepolto. È giorno di silenzio.
Il silenzio è un sacrificio, ma è nel silenzio che si riesce a percepire gli altri. Quando riusciamo a non essere pieni di rumori e preoccupazioni, finalmente lasciamo che gli altri entrino dentro di noi stessi: Dio entra dentro di me, più intimo a me di me stesso.
Il silenzio esige libertà: solo quando si è liberi si riesce a stare in silenzio, la verità non è velata da parole, perché la verità è sempre più esposta dentro il silenzio.

Veglia Pasquale

Per antichissima tradizione questa è «la notte di veglia in onore del Signore» (Es 12,42), giustamente definita «la veglia madre di tutte le veglie» (s. Agostino). In questa notte il Signore «è passato» per salvare e liberare il suo popolo oppresso dalla schiavitù; in questa notte Cristo «è passato» alla vita vincendo la grande nemica dell’uomo, la morte; questa notte è celebrazione-memoriale del nostro «passaggio» in Dio attraverso il battesimo, la confermazione e l’eucaristia. Vegliare è un atteggiamento permanente della Chiesa che, pur consapevole della presenza viva dei suo Signore, ne attende la venuta definitiva, quando la Pasqua si compirà nelle nozze eterne con lo Sposo e nel convito della vita (cf Ap 19,7-9).

«Rivivremo la Pasqua del Signore»
La liturgia non è coreografia, né vuoto ricordo, ma presenza viva, nei segni, dell’evento cardine della salvezza: la morte-risurrezione del Signore. Si può dire che per la Chiesa che celebra è sempre Pasqua, ma la ricorrenza annuale ha un’intensità ineguagliabile perché, in ragione della solennità, «ci rappresenta quasi visivamente il ricordo dell’evento» (s. Agostino). La successione dei simboli di cui è intessuta la Veglia esprime bene il senso della risurrezione di Cristo per la vita dell’uomo e del mondo.

— Liturgia della luce: il mondo della tenebra è attraversato dalla Luce, il Cristo risorto, in cui Dio ha realizzato in modo definitivo il suo progetto di salvezza. In lui, primogenito di coloro che risorgono dai morti (Col 1,18), si illumina il destino dell’uomo e la sua identità di «immagine e somiglianza di Dio» (Gn 1,26-27); il cammino della storia si apre alla speranza di nuovi cieli e nuove terre dischiusa da questa irruzione del divino nell’umano.
I catecumeni e battezzati, che la tradizione cristiana ha definito «illuminati»: per la loro adesione vitale a Cristo-Luce, sanno che la loro esistenza è radicalmente cambiata. Dio li «ha chiamati dalle tenebre alla sua luce ammirabile» (1 Pt 2,9) e davanti a loro ha dischiuso un orizzonte di vita e di libertà. Ecco perché si innalza il «canto nuovo» (il preconio, il gloria, l’alleluia) come ricordo delle meraviglie operate dal Signore nella nostra storia di «salvati», e come rendimento di grazie per una vita di luce,

— Liturgia della parola: le 7 letture dell’Antico Testamento sono un compendio della storia della salvezza. Già la quaresima (cf la prima lettura di ogni domenica nei tre cicli) aveva sottolineato che il battesimo è inserimento in questa grande «storia» attuata da Dio fin dalla creazione. Nella consapevolezza che la Pasqua di Cristo tutto adempie e ricapitola, la Chiesa medita ciò che Dio ha operato nella storia. Quella serie di eventi e di promesse vanno riletti come realtà che sempre si attuano nell’ «oggi» della celebrazione; sono dono e mèta da perseguire continuamente.

— Liturgia battesimale: il popolo chiamato da Dio a libertà, deve passare attraverso un’acqua che distrugge e rigenera. Come Israele nel Mar Rosso, anche Gesù è passato attraverso il mare della morte e ne è uscito vittorioso. Nelle acque del battesimo è inghiottito il mondo del peccato e riemerge la creazione nuova. L’acqua, fecondata dallo Spirito, genera il popolo dei figli di Dio: un popolo di santi, un popolo profetico, sacerdotale e regale. Con i nuovi battezzati, tutta la Chiesa fa memoria del suo passaggio pasquale, e rinnova nelle «promesse battesimali» la propria fedeltà al dono ricevuto e agli impegni assunti in un continuo processo di rinnovamento, di conversione e di rinascita (cf Rm 6,3.11 e colletta).

— Liturgia eucaristica: è il vertice di tutto il cammino quaresimale e della celebrazione vigiliare. Il popolo rigenerato nel battesimo per la potenza dello Spirito, è ammesso al convito pasquale che corona la nuova condizione di libertà e riconciliazione. Partecipando al corpo e al sangue del Signore, la Chiesa offre se stessa in sacrificio spirituale per essere sempre più inserita nella pasqua di Cristo. Egli rimane per sempre con i suoi nei segni del suo donarsi perché essi imparino a passare ogni giorno da morte a vita nella carità (cf oraz. dopo la com.).

Una luce che mai si spegne
Dentro la struttura e i simboli della celebrazione è possibile leggere il paradigma dell’esistenza cristiana nata dalla Pasqua. Luce, Parola, Acqua, Convito sono le realtà costitutive e i punti di riferimento essenziali della vita nuova: uscito dal mondo tenebroso del peccato, il cristiano è chiamato ad essere portatore di luce (cf Ef 5,8; Col 1,12.13); a perseverare nell’ascolto di Cristo morto e risorto, Parola definitiva della storia; a vivere sotto la guida dello Spirito la vocazione battesimale; ad annunciare e a testimoniare nel dono di sé quel mistero di cui l’eucaristia celebra il memoriale.

Struttura della celebrazione

La Veglia Pasquale si articola in quattro parti:

Liturgia del Fuoco

La processione del clero esce dalla chiesa, lasciata completamente al buio, senza luci né candele accese, dal Venerdì santo. Una volta fuori dalla chiesa, i concelebranti raggiungono un braciere precedentemente preparato, e dopo un breve saluto iniziale (senza il Segno della Croce) il celebrante benedice il fuoco. Quindi prende delle braci e le mette nel turibolo e accende, da quella fiamma, il Cero pasquale; benedice poi il cero pasquale, tracciandovi una croce, le lettere greche Alfa e Omega e le cifre dell’anno; prende cinque grani di incenso e li conficca alle quattro estremità e al centro della croce disegnata, a simboleggiare le cinque piaghe gloriose di Cristo, delle mani, dei piedi e del costato. Quindi il diacono (in sua assenza il celebrante), portando il cero pasquale, comincia la processione che entrerà in chiesa, intonando per la prima volta "Lumen Christi" (La luce di Cristo), e il popolo risponde "Deo Gratias" (Rendiamo grazie a Dio). Dietro il cero pasquale si riforma la processione iniziale, e si accodano anche i fedeli; sulla porta il diacono (o il celebrante) intona di nuovo "Lumen Christi", e tutti i presenti accendono una candela; arrivati al presbiterio il diacono (o il celebrante) intona per la terza volta "Lumen Christi" e si accendono le luci della chiesa. Quindi viene riposto e incensato il cero pasquale e il libro, dal quale un diacono (o il celebrante o un cantore) intona l’Exsultet o annuncio pasquale. Terminato l’annuncio tutti spengono le candele, ed inizia la liturgia della Parola, introdotta dal celebrante.

Liturgia della Parola
La Liturgia della Parola della Veglia di Pasqua è la più ricca di tutte le celebrazioni dell’anno; consta di sette letture e otto salmi dall’antico testamento, un’epistola di San Paolo apostolo ed il vangelo scelto tra i tre sinottici, a seconda dell’Anno liturgico allo scopo di ripercorrere la storia della redenzione dall’origine della vita in Dio. Dopo ogni lettura e ogni salmo vi é l’orazione del celebrante.
Dopo l’Orazione alla settima lettura il celebrante intona il Gloria; all’intonazione seguirà il suono delle campane, secondo gli usi locali, e il suono degli strumenti musicali, ad accompagnarle; se le luci della chiesa non erano accese tutte alla Liturgia del Fuoco si accendono tutte. Quindi si canta il Gloria. Seguono la Colletta, l’epistola di San Paolo, il salmo responsoriale, il canto dell’alleluia e la proclamazione del Vangelo. La liturgia della Parola si conclude con l’omelia del celebrante.

Liturgia Battesimale
È questo il momento liturgico in cui viene amministrato il sacramento del Battesimo. Se non vi sono battesimi e non si deve benedire il fonte battesimale la liturgia cambia leggermente.
Se vi sono battesimi, dopo l’esortazione del celebrante, si cantano le Litanie dei Santi. Quindi il celebrante, pronunciata la preghiera, prende il Cero Pasquale e, immergendolo parzialmente nell’acqua del Battistero, benedice l’acqua. I battezzandi, dopo la triplice rinunzia, fanno la professione di fede con l’assenso della comunità; poi vengono battezzati. Durante la rinunzia e la professione di fede tutti i fedeli tengono in mano la candela accesa. Infine, dopo una breve monizione del celebrante, i fedeli vengono aspersi con l’acqua.
Se non vi sono battesimi e non si deve benedire il fonte battesimale, il celebrante, dopo l’esortazione, benedice l’acqua lustrale, cui segue la rinnovazione delle promesse battesimali, durante la quale i fedeli tengono in mano la candela accesa. Il celebrante poi asperge l’assemblea con l’acqua benedetta.

Liturgia Eucaristica
Segue la Liturgia Eucaristica, articolata come in tutte le celebrazioni eucaristiche; alla fine il celebrante dà la benedizione, concludendo così una grande celebrazione che era cominciata il Giovedì santo con la Messa in Coena Domini.

Domenica di Pasqua – Risurrezione del Signore

L’annuncio pasquale risuona oggi nella Chiesa: Cristo è risorto, egli vive al di là della morte, è il Signore dei vivi e dei morti. Nella «notte più chiara dei giorno» la parola onnipotente di Dio che ha creato i cieli e la terra e ha formato l’uomo a sua immagine e somiglianza, chiama a una vita immortale l’uomo nuovo, Gesù di Nazareth, figlio di Dio e figlio di Maria. Pasqua è dunque annuncio del fatto della risurrezione, della vittoria sulla morte, della vita che non sarà distrutta. Fu questa la realtà testimoniata dagli apostoli; ma l’annuncio che Cristo è vivo deve risuonare continuamente. La Chiesa, nata dalla Pasqua di Cristo, custodisce questo annuncio e lo trasmette in vari modi ad ogni generazione: nei sacramenti lo rende attuale e contemporaneo ad ogni comunità riunita nel nome del Signore; con la propria vita di comunione e di servizio si sforza di testimoniarlo davanti al mondo.

Testimoni del Cristo risorto

La parola di Dio che illumina i cuori insiste sul fatto storico dei «Cristo risuscitato», sulla fede che nasce davanti alla «tomba vuota»; ma sottolinea pure che la risurrezione del Signore è un fatto sempre attuale. I battezzati sono membra del Cristo risorto; in lui l’umanità accede progressivamente ad una «vita nuova» purificata dal vecchio fermento del peccato. Questa vita è tutta da costruire nell’oggi, non da proiettare in un futuro dai contorni imprecisi: Pasqua è oggi, è ogni giorno dell’esistenza umana e cristiana. Nella veglia pasquale i catecumeni hanno ricevuto il battesimo, i fedeli ne hanno rinnovato gli impegni: ancora un volta hanno fatto la scelta per Cristo.

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