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Cultura

PATRIZIA ROSSINI TRAVOLTA DA UNO TSUNAMI

Intervista a Patrizia Rossini, autrice del libro  Travolta da uno tsunami

Uno dei privilegi nella vita di ognuno è riuscire ad entrare in contatto con persone che all’utilitarismo, all’egoismo, all’indifferenza regnante sostituiscono umanità ed una mano sempre tesa a raccogliere il dolore degli altri. È il caso di Patrizia Rossini che, dopo esser riuscita a placare lo “tsunami”, a sconfiggere un carcinoma mammario, ha regalato ad ognuno di noi questo libro (da cui si è rapidamente evoluto il sito www.patriziarossini.it, zona franca di relazioni e scambi di esperienze). Non pensiate di leggere la solita storiella strappalacrime e melensa dell’eroe che sconfigge il mostro cattivo. La concretezza e la dignità dell’interrogarsi, del ruotare su se stessi indecisi su quale sia la strada migliore, per poi trovare la fermezza, il coraggio, di non lasciarsi andare. Questo è il tratto che segna tutte le pagine del volume. Nessun tornaconto personale, solo una sorta di diario di viaggio che possa accompagnare chiunque si trovi nello stesso mare in tempesta. 

Qual è il motivo che l’ha spinta a scrivere questo libro?

Si può dire che, da subito, ho sentito l’esigenza di condividere l’esperienza travolgente che stavo vivendo. Ritengo che il parlare sia sempre terapeutico e non solo per se stessi. E così il mio desiderio di condividere e i feed back positivi che ho avuto, giorno per giorno, nel parlare con donne travolte dallo tsunami – donne che neanche conoscevo e che mi chiamavano perché amiche di amiche – mi hanno fatto andare avanti in questo progetto di mutuo aiuto che con il libro ha avuto una spinta fortissima.

Quanto l’ha aiutata, nel corso della malattia, la sua passione per la scrittura?

La scrittura ti dà la possibilità di mettere nero su bianco i tuoi pensieri, le tue emozioni, i tuoi vissuti. La scrittura è sempre stata, come dice lei, una passione, ma anche una terapia. Ho insegnato italiano per 23 anni, diciamo che ce l’ho nel sangue. Il libro non è stato scritto dopo lo “tsunami”, ma durante, anzi, per dirla tutta, il nucleo di partenza è  stato proprio il capitolo  La rabbia, buttato giù di getto al rientro dalla prima visita con l’oncologo, e questo non è un caso!  Poi ho cominciato a ricostruire i momenti già trascorsi e a scrivere dei momenti successivi. Nonostante l’abbia scritto e letto e riletto infinite volte, ogni volta che ascolto qualche passo, magari durante una presentazione, mi emoziono perché le parole rispondono in tutto e per tutto ai ricordi.

In vari punti del testo offre una sorta di vademecum su come aiutare il proprio corpo, anche dal punto di vista estetico. Prendersi cura dell’esteticità, in un momento così difficile, è un tentativo di esorcizzare la malattia o una maschera per nascondersi? 

Penso che curare l’esteticità  in un momento così difficile abbia sia una componente esorcizzante, sia una componente  celante. Per me è stato soprattutto un modo per dire concretamente, con il mio corpo, che la malattia non poteva sconfiggermi. Anche il mio modo di vivere durante tutto il periodo, andando a lavorare regolarmente, non mancando ai miei impegni di sempre, sta a dimostrare che, nonostante i malesseri legati alla terapia, io sentivo di dover andare avanti. Poi c’è anche la dignità da conservare davanti al proprio marito e ai propri figli. Il dolore che si legge nei loro occhi ti dà la forza di abbatterti il meno possibile e quindi di curare anche l’esteticità. Qui però farei una precisazione: la nutrizionista, non è stata solo colei che mi ha aiutata dopo la chemio a riprendere nel minor tempo possibile il mio peso, ma è stata soprattutto, come scrivo dettagliatamente nel mio libro, un faro in un momento di buio totale. Quando l’oncologo mi iniettava i "rossi veleni", lei con l’alimentazione mi permetteva di limitare gli effetti collaterali a breve e a lungo termine. Quindi l’esteticità è da intendersi in una accezione più ampia e non legata solo a ciò che appare.

Nel libro muove una sottile critica nei confronti di alcuni oncologi, che sembrano spesso
dimenticare l’aspetto umano della propria professione.

Il rapporto con i medici in quei momenti è sempre molto difficile perché sono, almeno in un primo momento, coloro che ti annunciano una diagnosi, una delle peggiori e già per questo non li vedi proprio benevolmente. Poi pian piano ti affidi a loro se senti di poterlo fare. Nel mio percorso io ho avuto due esperienze negative: il primo senologo e il primo oncologo. Quando parlo di esperienze negative mi riferisco all’approccio, perché sulle competenze non posso esprimermi. Penso che
sia molto importante mettersi dalla parte del paziente e cercare di accoglierlo in un momento così difficile, non ci si può limitare a dire: “Signora al 90% si tratta di cellule maligne, dobbiamo toglierlo”. Non si può parlare di tutti gli effetti collaterali della chemio come se si elencassero le portate del  menù del giorno prima. È  importante che i medici in genere, e quelli che hanno a che fare con pazienti oncologici ancora di più, abbiano una formazione che permetta loro di rapportarsi al paziente in modo positivo. Non si può pensare che l’unica cosa importante sia salvare la vita, lo si può fare in vari modi, magari lasciando meno danni possibili!

Altra critica – o forse accusa – è nei confronti di amici e amiche che falsamente cercano di rincuorare, ma in realtà recitano solo canovacci di circostanza.

No,non parlerei di accusa, ma di consapevolezza di un dato di fatto. Effettivamente è così, molti recitano canovacci di circostanza. Oggi ritengo che Oscar Wilde non sbagliava quando affermava:  “Chiunque può simpatizzare col dolore di un amico, ma solo un animo nobile riesce a simpatizzare col successo di un amico”. E questa la dice lunga! Tuttavia c’è da fare una distinzione tra chi si sente ben disposto a fare la crocerossina per un puro piacere personale, per soddisfare i propri bisogni di protagonismo e chi, invece, lo fa in modo maldestro perché è troppo coinvolto o più semplicemente perché è difficile poter dire qualcosa di sensato ad una persona che sta vivendo uno “tsunami” di questa portata.

Il suo consiglio per coloro che si trovano a combattere la sua stessa battaglia?

Ritengo che sia molto importante cercare di essere lucidi, non pensare mai che il cancro possa distruggerci (anche perché oggi la percentuale di guarigione è davvero altissima), affidarsi a persone competenti senza aver paura di dover cambiare se non va bene. Pensare sempre in positivo e non chiudersi in se stessi, uscire, condurre la vita di sempre aiuta moltissimo. Nel forum presente nel sito (www.patriziarossini.it) ci sono tanti consigli e non solo miei, ma di tutte quelle donne che si sono unite, dopo aver letto il libro, in questo progetto di mutuo aiuto. Ovviamente io invito chiunque a leggere il libro e a partecipare al forum, non solo donne. In una delle varie presentazioni che mi hanno chiesto di fare, un uomo durante il dibattito mi ha chiesto: “Secondo lei un uomo può leggere il suo libro?” Ho risposto di sì, perché nel libro, che qualcuno ha paragonato al Piccolo Principe per brevità di pagine scritte e intensità di contenuto, in realtà non si racconta solo di una donna e del suo “tsunami”, ma anche di tutte quelle figure che le stanno vicine, prima fra tutte quella del marito e dei figli.

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