L’antifascismo
La gioventù


Sandro, in piedi, con la madre, il padre, la sorella Marion e il fratello Eugenio
Nacque da una famiglia benestante – il padre Alberto era proprietario terriero – formata da quattro fratelli: il primogenito Luigi, pittore; la sorella Marion, che sposò un diplomatico italiano; Giuseppe, ufficiale di carriera ed Eugenio, deportato e tragicamente scomparso nel campo di concentramento di Flossenbürg il 25 aprile del 1945.
Pertini, molto legato alla madre Maria Muzio, fece i suoi primi studi presso il collegio dei salesiani "Don Bosco" di Varazze, e successivamente al Liceo Ginnasio "Gabriello Chiabrera" di Savona, dove ebbe come professore di filosofia Adelchi Baratono, socialista riformista e collaboratore di Critica Sociale di Filippo Turati, il quale contribuì ad avvicinarlo al socialismo ed agli ambienti del movimento operaio ligure. Iscrittosi all'Università di Genova, si laureò in giurisprudenza.
Nel 1917, il giovane Pertini venne richiamato come sottotenente di complemento e inviato sul fronte dell'Isonzo e si distinse per una serie di atti di eroismo: fu decorato con la medaglia d'argento al valor militare per aver guidato, nell'agosto del 1917 un assalto al monte Jelenik, durante la battaglia della Bainsizza. Tuttavia, dopo la guerra, non gli fu consegnata la decorazione poiché il regime fascista occultò tale merito a causa della sua militanza socialista.
Nel 1918 Sandro Pertini iniziò di fatto la propria militanza nelle file del Partito Socialista Italiano. In quegli anni si trasferì a Firenze, ospite del fratello Luigi, e si iscrisse all'Istituto Universitario "Cesare Alfieri" conseguendo nel 1924 la seconda laurea, in scienze politiche, con una tesi dal titolo La Cooperazione. A Firenze, Pertini entrò in contatto con gli ambienti dell'interventismo democratico e socialista vicini a Gaetano Salvemini, ai fratelli Rosselli e a Ernesto Rossi, e in quel periodo aderì al movimento di opposizione al fascismo "Italia Libera".
L'antifascismo
La prima condanna


Pertini aspirante ufficiale alla Scuola Mitraglieri Fiat di Brescia
Ostile fin dall'inizio al regime fascista, si iscrisse al PSU dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti. Per la sua attività politica fu spesso bersaglio di aggressioni squadriste e il 22 maggio 1925 venne arrestato per aver distribuito un opuscolo clandestino, stampato a sue spese, dal titolo Sotto il barbaro dominio fascista, in cui denunciava le responsabilità della monarchia verso l'instaurazione del regime fascista, le sue illegalità e le violenze del fascismo stesso, e la sfiducia nell'operato del Senato del Regno, composto in maggioranza da filofascisti, chiamato a giudicare in Alta Corte di Giustizia le eventuale complicità del generale Emilio De Bono a riguardo del delitto di Giacomo Matteotti.
Venne accusato di «istigazione all'odio tra le classi sociali» secondo l'articolo 120 del Codice Zanardelli, oltre che dei reati di stampa clandestina, oltraggio al Senato e lesa prerogativa della irresponsabilità del re per gli atti di governo.
Pertini, sia nell'interrogatorio dopo l'arresto, sia nell'interrogatorio condotto dal procuratore del re, sia durante l'udienza pubblica davanti al Tribunale di Savona, rivendicò il proprio operato assumendosi ogni responsabilità e dicendosi disposto a proseguire nella lotta antifascista e per il socialismo e la libertà, qualunque fosse la condanna a cui andava incontro.
Fu ovviamente condannato, il 3 giugno 1925, a otto mesi di detenzione e al pagamento di una ammenda per i reati di stampa clandestina, oltraggio al Senato e lesa prerogativa regia e fu assolto per l'accusa di istigazione all'odio di classe. La condanna non attenuò la sua attività, che riprese appena liberato.


Pertini nell'immediato primo dopoguerra
Nel novembre 1926, dopo il fallito attentato di Anteo Zamboni a Mussolini, come molti altri antifascisti in tutta Italia, fu oggetto di nuove violenze da parte dei fascisti e costretto ad abbandonare Savona per riparare a Milano. Il 4 dicembre 1926, con la proclamazione delle leggi eccezionali antifasciste, Pertini venne assegnato al confino per la durata di cinque anni, il massimo della pena previsto dalla legge, nel carcere della piccola isola di Santo Stefano.
L'esilio ed il periodo clandestino
Per sfuggire alla cattura, il 12 dicembre 1926, da Milano espatriò verso la Francia assieme a Filippo Turati con l'aiuto di Carlo Rosselli e Adriano Olivetti. Dopo aver passato alcuni mesi a Parigi, si stabilì definitivamente a Nizza e divenne un esponente di prim'ordine tra gli esiliati, svolgendo un'intensa propaganda contro il regime fascista, con scritti e con conferenze.
Nell'aprile del 1926 impiantò nella sua residenza di Nizza una stazione radio clandestina allo scopo di mantenersi in corrispondenza con i compagni in Italia, per potere comunicare e ricevere notizie. Scoperto dalla polizia francese, subì un procedimento penale e fu condannato a un mese di reclusione, pena poi sospesa con la condizionale, dietro il pagamento di una ammenda.
Il suo esilio francese terminò nel marzo 1929, quando partì da Nizza e, munito di passaporto falso portante la sua fotografia ed intestato al nome di Roncaglia Luigi, varcò la frontiera dalla stazione di Chiasso il 26 marzo 1929 e rientrò in Italia.
La cattura ed il carcere [modifica]


In esilio a Nizza, con i compagni di lavoro
Il 14 aprile 1929 a Pisa, in corso Vittorio Emanuele, l'attuale corso Italia, venne riconosciuto e tratto in arresto. Il 30 novembre 1929 fu condannato dal Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato a 10 anni e 9 mesi di reclusione e a 3 anni di vigilanza speciale. Durante il processo Pertini rifiutò di difendersi, conscio del fatto che si trovava di fronte a un tribunale non normale ma di partito, e perciò esortò la corte a passare direttamente alla condanna già stabilita. Durante la pronuncia della sentenza si alzò gridando: «Abbasso il fascismo! Viva il Socialismo!».

Il carcere di Santo Stefano, oggi
Fu internato nell'ergastolo dell'isola di Santo Stefano, ma dopo quasi due anni di detenzione, il 10 dicembre 1930, venne trasferito, a causa delle precarie condizioni di salute, alla casa penale di Turi dove condivise la cella con Athos Lisa e Giovanni Lai. A Turi, unico socialista recluso, conobbe Antonio Gramsci, al quale fu stretto da grande amicizia e ammirazione intellettuale e dalla condivisione delle sofferenze della reclusione: ne divenne confidente, amico e sostenitore.
Nel 1932 fu trasferito presso il sanatorio giudiziario di Pianosa ma, nonostante il trasferimento, le sue condizioni di salute non migliorarono, al punto che la madre presentò domanda di grazia alle autorità. Pertini, non riconoscendo l'autorità fascista e quindi il tribunale che lo condannò, respinse la domanda di grazia con parole durissime, sia per la madre che per il presidente del Tribunale Speciale.
![]() |
« […] Perché mamma, perché? Qui nella mia cella di nascosto, ho pianto lacrime di amarezza e di vergogna – quale smarrimento ti ha sorpresa, perché tu abbia potuto compiere un simile atto di debolezza? E mi sento umiliato al pensiero che tu, sia pure per un solo istante, abbia potuto supporre che io potessi abiurare la mia fede politica pur di riacquistare la libertà. Tu che mi hai sempre compreso che tanto andavi orgogliosa di me, hai potuto pensare questo? Ma, dunque, ti sei improvvisamente così allontanata da me, da non intendere più l'amore, che io sento per la mia idea? […] » |
|
(Lettera alla madre 1933[2])
|
Il 10 settembre 1935 venne trasferito a Ponza come confinato politico ed il 20 settembre 1940 venne assegnato al confino per altri cinque anni da trascorrere tra Ponza e Ventotene dove incontrò, tra gli altri, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi.