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La Repubblica

La carriera politica repubblicana

 

Il dopoguerra

Pertini durante un comizio negli anni cinquanta

Pertini durante un comizio negli anni cinquanta

Nell'aprile del 1945 Pertini divenne segretario del PSIUP, carica che ricoprì fino all'agosto dell'anno successivo.

Durante il XXV Congresso del Partito Socialista di Unità Proletaria, svoltosi a Roma tra il 9 ed il 13 gennaio 1947, Pertini si prodigò per evitare la scissione con l'ala democratico-riformista di Giuseppe Saragat. Per giorni si pose al centro delle dispute nel tentativo di mediare tra le due correnti ma nonostante i suoi sforzi «la forza delle cose», come la definì Pietro Nenni, portò alla scissione socialista, meglio nota come Scissione di palazzo Barberini, da cui nacque il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani.

Nonostante fosse fautore dell’unità del movimento dei lavoratori, da sempre fu fervido sostenitore dell'autonomia socialista nei confronti del Partito Comunista Italiano. In tal senso si oppose, in seno al Partito Socialista Italiano, alla costituzione del Fronte Democratico Popolare per le elezioni del 1948. La sua mozione fu minoritaria: al prevalere della linea di Nenni, disciplinatamente si adeguò alla maggioranza come nel suo consueto stile democratico.

Nelle file socialiste fu eletto all'Assemblea Costituente[6] in cui intervenne nella stesura degli articoli del Titolo I, sui rapporti civili. Fin dall'inizio della storia repubblicana fu avverso all'attuazione dell'amnistia nei confronti dei reati politici commessi dai responsabili dei crimini fascisti e in tal senso, durante i lavori dell'assemblea, intervenne il 22 luglio 1946 con un'interrogazione parlamentare nei confronti del ministro di Grazia e Giustizia Fausto Gullo.

L'interrogazione verteva sulle motivazioni dell'interpretazione largheggiante del provvedimento di amnistia, sull'inadempimento del governo De Gasperi nell'applicare il decreto di reintegro dei lavoratori antifascisti allontanati dal lavoro per motivi politici durante il regime, sull'emanazione di provvedimenti atti a difendere la Repubblica contro i suoi nemici.[7]

Pertini rende omaggio al milite ignoto

Pertini rende omaggio al milite ignoto

La sua azione politica in quel periodo mirava anche al raggiungimento delle riforme sociali necessarie al recupero del paese, devastato sia dall'esperienza fascista, sia dalle tragedie della guerra, ma soprattutto al tentativo di eliminare radicalmente i rigurgiti di soprusi del regime mussoliniano.[8]

Nella I legislatura, fu nominato senatore della Repubblica, in base alla 3a disposizione transitoria della Costituzione della Repubblica italiana,[9] e divenne presidente del gruppo parlamentare socialista al Senato. Il 27 marzo 1949, durante la 583ª seduta del Senato, Pertini dichiarò il voto contrario del suo partito all'adesione al Patto Atlantico, perché inteso come uno strumento di guerra e in funzione antisovietica nell'intento di dividere maggiormente l'Europa e di scavare un solco sempre più profondo per separare il continente europeo, e sottolineò come il Patto Atlantico avrebbe influenzato la politica interna italiana, con conseguenze negative per la classe operaia. In quella seduta difese la pregiudiziale pacifista del gruppo socialista, esprimendo la solidarietà nei confronti dei compagni comunisti – veri obbiettivi, a suo dire, del Patto Atlantico –, concludendo con le seguenti parole:

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« Oggi noi abbiamo sentito gridare "Viva l'Italia" quando voi avete posto il problema

dell'indipendenza della Patria. Ma non so quanti di coloro che oggi hanno alzato questo

grido, sarebbero pronti domani veramente ad impugnare le armi per difendere la Patria.

Molti di costoro non le hanno sapute impugnare contro i nazisti. Le hanno impugnate invece contadini e operai, i quali si sono fatti ammazzare per la indipendenza della Patria![10] »

   
Sandro Pertini

Sandro Pertini

Fu successivamente rieletto alla Camera dei Deputati nel 1953, 1958, 1963, 1968, 1972 e nel 1976, nel collegio Genova-Imperia-La Spezia-Savona, per divenire presidente prima della Commissione Parlamentare per gli Affari Interni e poi di quella degli Affari Costituzionali, e nel 1963 vicepresidente della Camera dei Deputati.

Fu tra i politici che dimostrarono pubblicamente con sdegno riguardo alla possibilità che si tenesse il congresso del Movimento Sociale Italiano nella città di Genova ed il 1° luglio 1960, denunciò alla Camera i soprusi delle forze dell'ordine nei confronti dei manifestanti, sia nel capoluogo ligure, sia in altre città d'Italia. I disordini portano pochi giorni dopo ai tragici fatti della Strage di Reggio Emilia.

Politicamente fu tra coloro i quali non sostennero il centro-sinistra perché attraverso quell'accordo si sarebbero discriminati i comunisti, mettendo fine alla collaborazione tra i due principali partiti della sinistra.

Nella primavera del 1978, durante il sequestro Moro, Pertini, a

differenza della maggioranza del partito socialista, fu un sostenitore della cosiddetta «linea della fermezza» nei confronti dei sequestratori, ovvero il rifiuto totale della trattativa con le Brigate Rosse.

Nella V e VI Legislatura, ricoprì l'incarico di Presidente della Camera dei Deputati.

 

La presidenza: la "Repubblica pertiniana"

Il ritratto ufficiale del Presidente Pertini

Il ritratto ufficiale del Presidente Pertini

L'elezione del settimo presidente della Repubblica iniziò il 29 giugno 1978 a seguito delle dimissioni di Giovanni Leone. Nei primi tre scrutini la DC optò per Guido Gonella e il PCI votò in modo pressoché unanime il proprio candidato, Giorgio Amendola, mentre l'ala parlamentare socialista concentrò i propri voti su Pietro Nenni. Fino al 13° scrutinio il PCI mantenne la candidatura di Amendola e il PSI propose Francesco De Martino, senza trovare consensi, ma al 16° scrutinio, l'8 luglio 1978, la convergenza dei tre maggiori partiti politici si trovò sul nome di Pertini, che fu eletto presidente della Repubblica italiana con 832 voti su 995, a tutt'oggi la più ampia maggioranza nella votazione presidenziale nella storia italiana.

La sua elezione fu da subito un importante segno di cambiamento per il Paese, grazie al suo carisma e alla fiducia che esprimeva la sua figura di eroico combattente antifascista e padre fondatore della repubblica. In tal senso è emblematica una delle dichiarazioni di Indro Montanelli:

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« Non è necessario essere socialisti per amare Pertini. Qualunque cosa egli dica o faccia,

odora di pulizia, di lealtà e di sincerità »

   

Dopo aver giurato, nel suo discorso d'insediamento[11] Pertini ricordò il compagno di carcere ed amico Antonio Gramsci, e sottolineò la necessità di porre fine alle violenze del terrorismo ricordando, con la grande umiltà che lo contraddistinse sempre, la tragica scomparsa di Aldo Moro.

Nel periodo della sua permanenza al Colle contribuì a fare della figura del Presidente della Repubblica l'emblema dell'unità del popolo italiano. Grazie alla sua statura morale contribuì al riavvicinamento dei cittadini alle istituzioni, in un momento difficile e costellato di avvenimenti delittuosi come quello degli anni di piombo.

Nel 1980, quando morì il maresciallo Tito, partecipó ai funerali di stato solenni. Si precipitarono a Belgrado capi di Stato di tutto il mondo, Pertini incluso: la solidarietà partigiana, sin al punto di baciare la bara, stavolta prevaleva sul ricordo delle foibe. Il regista Emir Kusturica si divertì poi a mettere in evidenza i lati grotteschi di quelle esequie in uno dei suoi film più noti[12].

A seguito del terremoto del 23 novembre 1980 in Irpinia rimase memorabile la sua espressione «Fate presto» nell'invocare la repentina risposta dei soccorsi all'immane tragedia dei terremotati; frase apparsa il giorno seguente a 9 colonne sul quotidiano Il Mattino.

Pertini nel suo ufficio al Quirinale

Pertini nel suo ufficio al Quirinale

Dopo la sua visita in Irpinia, il 26 novembre, pochi giorni dopo la tragedia denunciò pubblicamente l'impotenza e l'inefficienza dello Stato nei soccorsi in un famoso discorso televisivo a reti unificate, in cui sottolineò la scarsità di provvedimenti legislativi in materia di protezione del territorio e di intervento in caso di calamità e denunciò quel settore statale che avrebbe speculato sulle disgrazie come nel caso del terremoto del Belice.[13]

Da Presidente della Repubblica nominò 5 senatori a vita: il politico e storico Leo Valiani, l'attore e commediografo Eduardo De Filippo, la politica e partigiana Camilla Ravera (prima donna a ricevere questa nomina), il critico letterario e rettore Carlo Bo ed il filosofo Norberto Bobbio. Con queste nomine i senatori a vita diventarono complessivamente 7. Secondo l'interpretazione di Pertini, infatti, l'art. 59 della Costituzione non intenderebbe limitare a 5 il numero di senatori a vita che possono sedere in Parlamento ma permettere a ogni Presidente della Repubblica di nominarne fino a 5. Tale scelta non fu contestata (forse per la qualità dei senatori a vita nominati e ancor più forse per la grande popolarità di cui Pertini godeva) e il suo successore Cossiga seguì la stessa interpretazione.

La sua figura è legata ad avvenimenti molto piacevoli della storia d'Italia, ma anche sempre vicina nei momenti di sofferenza. Spesso si ricorda la sua esultanza allo stadio di Madrid per la vittoria ai Campionati del mondo di Calcio del 1982 e come volle essere presente ai tentativi di salvataggio di Alfredino Rampi, un bambino di sei anni di Vermicino caduto in un pozzo nel 1981. Introdusse il rito del "bacio alla bandiera" tricolore, che sarebbe divenuto usuale anche per i suoi successori.

Pertini rende omaggio al feretro di Enrico Berlinguer

Pertini rende omaggio al feretro di Enrico Berlinguer

Pertini fu particolarmente partecipe durante la scomparsa di Enrico Berlinguer, tanto da partire personalmente da Roma con un volo presidenziale per poter scortare la salma nella capitale. Durante le esequie in piazza S. Giovanni, Nilde Iotti, dal palco delle autorità, ringraziò pubblicamente Pertini, scatenando un commovente applauso della folla partecipante.

Partecipò commosso ai funerali del presidente egiziano Anwar al-Sadat, camminando in mezzo alla folla al seguito del feretro lu

ngo tutto il percorso del corteo funebre e ricordandolo durante il discorso di fine anno nel 1981:

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« […]Siamo preoccupati, noi abbiamo assistito ai funerali del Presidente Sadat

assassinato dai fanatici. Stava operando per la pace nel suo Paese e fra Israele e il Mondo

Arabo. Ebbene noi abbiamo assistito a quei funerali; vi abbiamo assistito con un animo

colmo di angoscia. Sono situazioni che riguardano tutti noi, non possono essere circoscritte

al popolo e alle Nazioni in cui si svolgono, riguardano ognuno di noi, ogni uomo che ama la

libertà e ogni uomo che ha a cuore la pace.[…][14] »

   

Assunse, con la sua autorevolezza, un atteggiamento di intransigente denuncia nei confronti della criminalità organizzata denunciando «la nefasta attività contro l'umanità» della mafia e ammonendo sempre a non confondere i fenomeni criminosi della mafia, della camorra e della 'ndrangheta con i luoghi e le popolazioni in cui sono presenti.

Nel discorso di fine anno del 1982 parlò espressamente del problema mafioso, ricordando la figura dell'on. Pio La Torre e del gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa:

Pertini e il Presidente del Consiglio Giovanni Spadolini ai funerali del generale Dalla Chiesa

Pertini e il Presidente del Consiglio Giovanni Spadolini ai funerali del generale Dalla Chiesa

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« […]Vi sono altri mali che tormentano il popolo italiano: la camorra e la mafia. Quello

che sta succedendo in Sicilia veramente ci fa inorridire. Vi sono morti quasi ogni giorno.

Bisogna stare attenti a quello che avviene in Sicilia e in Calabria e che avviene anche con la

camorra a Napoli. Bisogna fare attenzione a non confondere il popolo siciliano, il popolo

calabrese ed il popolo napoletano con la camorra o con la mafia. Sono una minoranza i

mafiosi. E sono una minoranza anche i camorristi a Napoli.

Prova ne sia questo: quando è stato assassinato Pio La Torre, vi era tutta Palermo intorno al

suo feretro. Quando è stato assassinato il gen. Dalla chiesa, con la sua dolce, soave

compagna, che è stata più volte qui a trovarmi, proprio in questo studio, tutta Palermo si è

stretta intorno ai due feretri per protestare.

Quindi il popolo siciliano, il popolo calabrese ed il popolo napoletano sono contro la camorra e contro la mafia.[…][15] »

   

Nel 1983, Sandro Pertini sciolse il consiglio comunale di Limbadi in provincia di Vibo Valentia perché era risultato primo degli eletti il latitante Francesco Mancuso, capo dell'omonima famiglia mafiosa, e tornò sulle tematiche legate alla criminalità organizzata nel suo discorso di fine anno nel 1983:

Sandro Pertini nei giardini del Quirinale

Sandro Pertini nei giardini del Quirinale

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« […]Ci preoccupa quello che si verifica con la mafia in Sicilia, la camorra nel napoletano e

la 'ndrangheta – non so mai pronunciare bene questa parola – in Calabria. Però io qui mi

permetto di fare questa osservazione.

Il popolo siciliano non deve essere confuso con la mafia. Il popolo siciliano è un popolo forte, popolo che ben conosco, perché negli anni passati, quando ero propagandista del mio partito, ho girato in lungo e in largo la Sicilia. Li ho conosciuti nella prima guerra mondiale i giovani siciliani, con il loro coraggio e la loro fierezza. Il popolo siciliano è un popolo forte, generoso, intelligente. Il popolo siciliano è il figlio di almeno tre civiltà: la civiltà greca, la civiltà araba e la civiltà spagnola. È ricco di intelligenza questo popolo. Quindi non deve essere confuso con questa minoranza che è la mafia. È un bubbone che si è creato su un corpo sano.
Ebbene, con il bisturi, polizia, forze dell'ordine, governo debbono sradicare questo bubbone e gettarlo via, perché il popolo siciliano possa vivere in pace. Così si dica della 'ndrangheta in Calabria. Io ho girato in lungo e largo la Calabria. Se vi è un popolo generoso, buono, pronto, desideroso di lavorare e di trarre dal suo lavoro il necessario per poter vivere dignitosamente, è il popolo calabrese.

Così il popolo napoletano con la camorra. Anche qui sono una minoranza i camorristi. Parlano troppo di quello che è in carcere, capo-mafia. Quello si sente un eroe. I giornali ne parlano tutti i giorni ed è chiaro che entra il giornale in carcere e lui si sente un eroe, questo sci

agurato. Ma il popolo napoletano non può essere confuso con la camorra.[…][16] »

   

La presidenza di Pertini favorì l'ascesa del primo socialista italiano alla guida del governo, infatti, nel 1983, diede incarico di formare il governo a Bettino Craxi. Per due anni e per la prima volta nella storia d'Italia, furono socialisti sia il presidente della Repubblica, sia il presidente del Consiglio dei Ministri. Ciò nonostante, Pertini ebbe con Craxi rapporti altalenanti, dovuti essenzialmente alla diversa formazione e temperamento. Pertini spesso non condivise nel merito e nella forma le mosse politiche craxiane, come nel caso del XLIII Congresso a Verona, il 15 maggio 1984, in cui Bettino Craxi venne eletto segretario per acclamazione anziché con la consueta votazione. I rapporti tra i due politici comunque si mantennero su un piano di cordialità e rispetto, nonostante non si amassero; secondo Antonio Ghirelli, allora portavoce del Quirinale, il giorno dell'incarico per la Presidenza del Consiglio, Pertini notò che Craxi si era presentato al Colle indossando dei jeans, intimandogli di ritornare con un abbigliamento adeguato[17].

Pertini, peraltro, non costituì mai nel PSI una propria corrente e vantava rapporti travagliati quando non pessimi con quasi tutti gli esponenti socialisti (disse di lui il compagno di partito Riccardo Lombardi: «cuore di leone, cervello di gallina» [18]).

Durante il suo mandato sciolse due volte il Parlamento, convocando le elezioni politiche italiane del 1979 che diedero vita alla VIII Legislatura e le elezioni politiche del 1983 che diedero vita alla IX Legislatura, diede l'incarico (in ordine cronologico) di formare i governi Andreotti V, Cossiga I, Cossiga II, Forlani, Spadolini I, Spadolini II, Fanfani V e Craxi I e nominò giudici costituzionali Virgilio Andrioli, Giuseppe Ferrari e Giovanni Conso.

Il suo modo di intervenire direttamente nella vita politica, e del paese e delle istituzioni, rappresentarono una assoluta novità per il ruolo di Presidente della Repubblica, essendo fino all'epoca una figura "notarile". Grazie all'indubbio prestigio di cui godeva, soprattutto tra i cittadini, fu difficile per i vari esponenti politici non recepire, seppur controvoglia, le sue incursioni. Questo modo di fare, portò il sistema istituzionale a rassomigliare ad una anomala Repubblica presidenziale (basti pensare alla rivoluzione del 1981 con l'ascesa a Palazzo Chigi di Giovanni Spadolini il primo non democristiano dopo quarant'anni). Antonio Ghirelli, all'epoca portavoce del Quirinale, coniò l'appellativo di Repubblica pertiniana, ripresa poi dai media dell'epoca.

Sandro Pertini ed Eduardo De Filippo

Sandro Pertini ed Eduardo De Filippo

La sua costante presenza nella vita pubblica italiana è stata probabilmente il motivo della sua grande popolarità, nei momenti cruciali della storia italiana di quei sette anni, nelle situazioni piacevoli come nei momenti difficili. Da molti è considerato il Presidente piu amato dagli italiani, per l'amore verso la Patria, per il suo grande carisma, per la sua vena ironica, per il suo modo di fare sempre schietto e incurante dell'etichetta, per l'amore verso i bambini a cui prestava molta attenzione durante le famose visite giornaliere delle scolaresche al Quirinale e per aver inaugurato un nuovo modo di rapportarsi con i cittadini, con uno stile franco, diretto e amichevole («amici carissimi» o «non fate solo domande pertinenti, ma anche impertinenti: io mi chiamo Pertini… »). Non solo: la schiettezza e la pragmaticità di Pertini si riflesse costantemente nella sua azione politica ed istituzionale, facendolo apparire come un presidente che puntava alla concretezza, rifiutando compromessi e imponendosi con il suo alto rigore morale.

La sua personalità era intrisa dei princìpi che hanno ispirato la democrazia parlamentare e repubblicana, nata dall'esperienza della Resistenza partigiana; era solito sostenere il suo rispetto della fede politica altrui tanto quanto il suo fermo rifiuto del pensiero fascista e di tutte le ideologie che rinneghino la libertà dell'uomo:

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« Il fascismo è l'antitesi della fede politica, perché opprime tutti coloro la pensano

diversamente.[19] »

 

 

 


Pertini visse per lunghi anni su un attico che s'affaccia sulla fontana di Trevi. Le mamme che la mattina accompagnavano i bambini nella vicina scuola di via del Lavatore lo incontravano spesso, quando la macchina andava a prenderlo per andare "in ufficio" al Quirinale senza grandi apparati di sicurezza; per chi lo riconosceva e lo salutava, soprattutto i bambini, il Presidente aveva sempre un sorriso e un gesto di saluto.

 

 

Senatore a vita

Il 29 giugno 1985, pochi giorni prima della scadenza naturale del suo mandato, si dimise dalla carica allo scopo di facilitare le procedure dell'elezione del suo successore. Al termine del mandato presidenziale divenne come i suoi predecessori e come previsto dalla Costituzione, senatore a vita. L'unico incarico ufficiale che intraprese dopo la Presidenza della Repubblica fu la presidenza della Fondazione di Studi Storici "Filippo Turati", costituitasi a Firenze nel 1985 con l'obiettivo di conservare il patrimonio documentario del socialismo italiano.

Durante e dopo il periodo presidenziale non rinnovò la tessera del Partito Socialista, restando così al di sopra delle parti pur senza rinnegare il suo essere profondamente socialista.

La notte del 24 febbraio 1990, all'età di 93 anni, si spense, a Roma nel suo appartamento privato, una mansarda affacciata sulla Fontana di Trevi. Per suo espresso desiderio, il suo corpo fu cremato e le ceneri traslate nel cimitero del suo paese natale, Stella S.Giovanni.

 

 

Tratto da http://it.wikipedia.org

 

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