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A VITO MINOIA IL PREMIO ANTONIO GRAMSCI

Vito_Minoia_di_Franco_Deriu

(Foto: Franco Deriu)

Nel 119esimo anniversario della nascita di Antonio Gramsci (Ales, 22 gennaio 1891 – Roma, 27 aprile 1937), l’associazione culturale “Casa natale Antonio Gramsci” ha presentato, nella Sala conferenze del Comune di Ales (Oristano), il 21 e il 22 gennaio, la dodicesima edizione del premio letterario dedicato al grande pensatore sardo.

La giuria del “Premio letterario Antonio Gramsci”, presieduta dal giornalista Vindice Ribichesu e composta da Salvatore Zucca, dallo scrittore ed antropologo Giulio Angioni, dal poeta Gavino Angius, dalla Lilli Pruna e dalla giornalista Maria Paola Masala, ha scelto i vincitori della sua undicesima edizione.

Al turese Vito Minoia, da tempo residente ad Urbino, ha assegnato il primo premio della sezione letteratura in lingua italiana con il testo teatrale “Lettere dal carcere”, frutto di una drammaturgia collettiva sull’opera dell’intellettuale sardo prodotta e messa in scena dal 13 al 18 maggio 2010 dalla Compagnia ‘Lo Spacco’, composta da attrici e attori reclusi nella Casa Circondariale di Pesaro.

“Un testo vitale ed organico che suggerisce, di fatto, all’associazione, la possibilità ad aprire il premio dalla prossima edizione ad una ‘sezione drammaturgica’ ”- cita la motivazione espressa dalla giuria.

PER SAPERNE DI PIÙ – Minoia è docente di Teatro di Animazione all’Università di Urbino e direttore del Teatro Aenigma, insieme alla Compagnia Lo Spacco. Il testo premiato si ispira liberamente all’opera omonima ‘Lettere dal carcere’ di Antonio Gramsci, raccontando gli sforzi compiuti dall’autore per sopravvivere, le speranze e le piccole felicità senza le quali una persona non può vivere, ma anche le crisi e lo sprofondarsi in abissi terribili.

Essere condannato a finire la vita o almeno una grande parte della propria vita in carcere (come per Gramsci) richiede da parte del condannato strategie particolari di sopravvivenza. Ciascuno reagisce in modo diverso, ma tutti devono fare i conti con il regolamento, con le costrizioni che cambiano la sensazione del proprio corpo, dello spazio e del tempo, con la scissione del mondo in un dentro e un fuori e con la crescente difficoltà di  tenere insieme questi due mondi.

“Gramsci ci ha aiutato con il suo ‘occhio da antropologo’, permettendoci la scoperta di una dimensione nella quale avvengono, come dice lui, trasformazioni molecolari della persona” -afferma Minoia, e continua “nel testo hanno trovato spazio e preso corpo in forma scenica alcune lettere di Gramsci ai figli Delio e Giuliano, alla moglie Giulia, alla cognata Tania, ma soprattutto scritture originali elaborate dagli stessi attori protagonisti dello spettacolo rappresentato a maggio scorso, nel tentativo di ricostruire le emozioni più profonde di chi vive l’esperienza della reclusione”.

 

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