COLADONATO E LA STORIA INFINITA DEGLI SWAP

In
un precedente articolo, Menico Coladonato, già Assessore al bilancio nella
Giunta capitanata da Nicola Degrisantis, aveva cominciato a spiegare le
motivazioni di carattere generale, relative al contesto interno ed
internazionale, che hanno consentito ai Comuni, segnatamente quello di Turi, di
deliberare la rinegoziazione di mutui pregressi per un valore pari a 6 milioni
circa di euro con un istituto di credito. Il Comune
di Turi compì una verifica. I mutui pregressi del Comune, dal 1996 sino al
2003, avevano un tasso d’interesse alto rispetto al tasso medio vigente in quel
periodo. Il Responsabile dell’Ufficio ragioneria fu incaricato dall’Amministrazione
di contattare l’istituto di credito, il San Paolo, per rinegoziare i mutui
contratti con
Depositi
A seguito di tale indagine, un istituto di credito, “il San
Paolo, se non ricordo male, che all’epoca non era ancora divenuta Banca Intesa”
– prosegue Coladonato – “giunse nei nostri uffici comunali ed effettuò una
verifica”. Il bilancio comunale fu sottoposto a minuziosi controlli, un vero
check-up, insomma. Ne emerse una valutazione complessiva. Il motivo consisteva
nel fatto che il Comune avrebbe potuto avere accesso alla ristrutturazione del
debito solo a seguito di un rapporto, una valutazione positiva da parte della
banca stessa.
All’epoca, esisteva una maniera particolare per stabilire il
criteri e cifre del patto di stabilità interno, ossia numeri e cifre di un
bilancio che un Comune non può e non deve sforare se non vuole incorrere in
penalità da parte del Governo nazionale, per farla in breve. Si diceva che
l’ammontare dell’indebitamento, è sempre Coladonato che parla, relativo ai
mutui contratti nel corso del tempo, deve essere sempre in rapporto con alcune
voci relative alle entrate del Comune. In particolare, le entrate fisse,
stabili, non straordinarie.
Il rapporto risultante, dunque, tra capacità di introitare
risorse fisse e valore dell’indebitamento avrebbe dovuto avere un valore pari
almeno al 12%. Questo significa che il Comune è dotato di stabilità sufficiente
per fronteggiare lo stato di indebitamento. Dunque, può contrarre nuovi mutui.
Il Ministro della Economia Giulio Tremonti, in quell’epoca, modificò il valore
del rapporto, dal 12 all’8%. Ossia, il Comune avrebbe dovuto aumentare la
propria capacità di incassare e ridurre ulteriormente il proprio indebitamento.
In cambio, il Governo assicurava che si sarebbe accollato il 50%
della ritenuta d’acconto che il Comune avrebbe dovuto pagare sugli interessi
del mutuo. Una agevolazione, insomma. A quel punto, era il Comune a proporre
alla Cassa Depositi e Prestiti una competizione rispetto all’istituto di
credito. Ossia, se
Cassa Depositi
il Comune non avrebbe cambiato ente erogatore del mutuo, ossia sarebbe rimasto
cliente della Cassa. “In realtà, l’offerta della Cassa Depositi e Prestiti non
fu conveniente; anzi, lo stesso ente ci indicò quali mutui potevano rientrare
in questa ristrutturazione. E questi furono, poi, sottoposti all’attenzione
della banca”. Stiamo parlando, per la quasi totalità di mutui contratti per
investimenti, ossia per opere pubbliche. Ma la storia continua.