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L’opera buffa per antonomasia in piazza Orlandi

locandina

Stasera, alle ore 20.30, l’ensemble barocco “Giovanni Maria Sabino”, con la partecipazione di Pasquale Del Re, presenta “La serva padrona” di Giambattista Pergolesi

Il 28 agosto 1733, al Teatro San Bartolomeo di Napoli, negli intervalli tra i tre atti dell’opera seria “Il prigionier superbo”, andò per la prima volta in scena “La serva padrona”. Quest’intermezzo, composto da Giovanni Battista Pergolesi su libretto di Gennaro Antonio Federico, ha il merito di aver dato inizio ad un nuovo genere, quello dell’Opera buffa, di cui lo stesso Pergolesi fu dunque precursore. A proposito di precursori, diamo un’occhiata alla breve biografia, di seguito proposta, di Giovanni Battista Draghi detto Pergolesi.

PERGOLESI, SABINO E LA SCUOLA MUSICALE NAPOLETANA

Nacque a Jesi, nelle Marche, il 4 gennaio 1710 e morì appena 26enne a Pozzuoli il 16 marzo 1736. All’età di quindici anni, Pergolesi fu ammesso nel celebre Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo a Napoli, dove ebbe modo di studiare composizione con alcuni dei più celebri autori della Scuola musicale napoletana, come Francesco Durante, Leonardo Vinci e Gaetano Greco. Questi musicisti avevano studiato con Giovanni Salvatore che a sua volta era stato allievo di Giovanni Maria Sabino, musicista nato a Turi a fine giugno del 1588.

Di Sabino abbiamo diffusamente parlato su queste colonne nelle settimane precedenti al nostro breve periodo di pausa, soprattutto in occasione della conferenza tenutasi in piazza Silvio Orlandi lo scorso martedì 28 luglio. In quella sede, a dirigere un’orchestra fatta di svariati documenti, fotografie, schemi e informazioni inerenti al musicista e sacerdote turese don Giovanni Maria Sabino, non poteva che esserci Paolo Valerio, ricercatore e direttore dell’ensemble barocco “Giovanni Maria Sabino”. A quest’ultimo il maestro Valerio ha dedicato 15 anni di intensa attività di ricerca, con il risultato di poter ammirare quest’oggi con le nostre orecchie una preziosa parte del patrimonio musicale composto da Sabino; la rilevanza di quanto appena espresso non scaturisce dalla semplice origine turese del Sabino, quanto piuttosto per ciò che egli ha rappresentato lontano dalla nostra piccola terra. Sabino, infatti, ebbe – non casualmente – numerosi contatti con Claudio Monteverdi, genio assoluto riconosciuto a livello internazionale, dal quale attinse un nuovo stile di composizione musicale – lo stile barocco -successivamente importato a Napoli, dove Sabino fondò la Scuola musicale napoletana di cui sopra, creando al contempo una catena maestro-allievo che sarebbe presto diventata prolifica fucina di incredibili talenti.

Ad ogni modo, per ulteriori informazioni relative al compositore turese, invitiamo i lettori a visitare la pagina facebook Ensemble Barocco “Giovanni Maria Sabino”. Altre notizie, invece, sono reperibili sugli articoli da noi pubblicati e sempre disponibili gratuitamente su www.turiweb.it.

LA TRAMA

ATTENZIONE SPOILER! Fatta questa dovuta avvertenza, lasciamo adesso ai lettori la libertà di decidere se crearsi un’anteprima dell’opera o se lasciarsi sorprendere stando comodamente seduti in piazza S. Orlandi a partire dalle 20.30 di sabato 29 agosto. Sulla scena, nei panni di Vespone, ci sarà anche un altro turese, Pasquale Del Re, carico dopo il grande successo riscosso dalla “Turida” organizzata assieme a “I Dìscjadìsce”. In ogni caso, ecco un riassunto della trama.

Uberto, svegliatosi da poco, è arrabbiato perché la serva Serpina tarda a potargli la tazza di cioccolata con cui è solito iniziare la giornata e perché il servo, Vespone, non gli ha ancora fatto la barba. Invia quindi il garzone alla ricerca di Serpina e questa si presenta dopo un po’ di tempo, affermando di essere stufa e pretendendo, pur essendo una serva, di essere rispettata e riverita come una vera signora. Uberto perde la pazienza e intima alla giovane di cambiare atteggiamento. Serpina, non troppo turbata, si lamenta a sua volta di ricevere solo rimbrotti nonostante le continue cure che offre al padrone e gli intima di zittirsi. Uberto va in collera e decide di prendere moglie per avere qualcuno che possa riuscire a contrastare la serva impertinente. Ordina perciò a Vespone di andare alla ricerca di una donna da maritare e chiede che gli vengano portati gli abiti ed il bastone per uscire. Per tutta risposta, Serpina gli intima di rimanere a casa perché ormai è tardi e gli dice che, se si azzarda ad uscire, lei lo chiuderà fuori. Inizia un vivace battibecco, che evidentemente è già avvenuto altre volte, in cui Serpina chiede al padrone di prenderla in moglie, ma Uberto rifiuta con risolutezza.

Il secondo intermezzo de “La serva padrona” si apre con Serpina che ha appena convinto Vespone – con la promessa di farlo diventare secondo padrone – ad aiutarla nel suo proposito di maritare Uberto. Vespone si è perciò travestito da Capitan Tempesta ed attende di entrare in scena, quando Serpina, cercando di attirare l’attenzione di Uberto, rivelerà a quest’ultimo di aver trovato marito e che si tratta di un soldato chiamato, per l’appunto, Capitan Tempesta. Uberto, pur dolorosamente colpito dalla notizia, cerca di dissimulare deridendo la serva ma si lascia sfuggire, alla fine del recitativo, che, nonostante tutto, nutre nei suoi confronti un certo affetto e che sentirà la sua mancanza. Serpina, rendendosi conto di essere vicina alla vittoria, dà la stoccata finale usando la carta della pietà, e gli chiede di non dimenticarsi di lei e di perdonarla se a volte è stata impertinente. Terminata l’aria, Serpina chiede ad Uberto se vuole conoscere il suo sposo ed egli, a malincuore, accetta. Serpina esce fingendo di andare a chiamare il promesso sposo. Uberto rimasto solo si interroga e, pur rendendosi conto di essere innamorato di Serpina, sa che secondo i rigidi canoni dell’epoca è impensabile che un nobile possa prendere in moglie la propria serva. I suoi pensieri sono interrotti dall’arrivo di Serpina in compagnia di Vespone/Capitan Tempesta. Uberto è al tempo stesso incredulo e geloso. Il Capitano, che non parla per non farsi riconoscere, per bocca di Serpina intima ad Uberto di pagarle una dote di 4.000 scudi oppure il matrimonio non avverrà e sarà invece Uberto a doverla maritare. Di fronte alle proteste di quest’ultimo, il militare minaccia di ricorrere alle maniere forti, al ché Uberto cede e acconsente a prendere Serpina in moglie. Vespone rivela la sua vera identità ma il padrone, felice ormai di come siano andati i fatti, lo perdona. L’opera si conclude con la frase che è la chiave di volta di tutta la vicenda: “E di serva divenni io già padrona”.

LEONARDO FLORIO

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