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Cultura

Una percussione che accarezza l’anima

Marino “Javi” Roberto

Marino Roberto dalle lezioni di clarinetto con il maestro Mallardi all’hang drum, passando per la batteria, il cajòn e il timbau

Quasi un mese fa, sempre su queste colonne, vi raccontavamo di “Password”, il nuovo brano del nostro concittadino Nicolangelo Colapietro; in realtà ampio spazio fu dedicato soprattutto all’evoluzione artistica di questo giovane musicista classe ’92, il quale, tra i vari progetti avviati nel tempo, ha avuto modo di suonare al fianco di Marino Roberto, percussionista poliedrico ed anch’egli turese classe ’92. Oggi, ad un mese di distanza, ci soffermeremo su quest’ultimo, tracciandone come sempre un profilo umano ed artistico, avendo inoltre come obiettivo quello di raccontarvi del suo mistico RAV Vast drum. Di cosa si tratta? Mettetevi comodi ed inforcate gli occhiali qualora ne abbiate bisogno.

Marino Roberto è nato il 16 dicembre del 1992 ed attualmente lavora come O.S.S. nella comunità psichiatrica “Apollo”.

Hai un nome d’arte?

«Si, Javier che, abbreviato, diventa Javi. È un nome nato per gioco, rimasto poi simpaticamente negli anni».

Quando e com’è nata la tua passione per la musica?

Gli esordi con il clarinetto

«Tutto è cominciato frequentando l’oratorio della Parrocchia “Maria SS. Ausiliatrice”. Circa 15 anni fa i miei genitori decidevano di iscrivermi ad un corso di clarinetto tenuto dal compianto maestro Peppino Mallardi. Colgo l’occasione per ricordarlo con affetto, perché da tutti riconosciuto come una vera e propria autorità; era un docente di Conservatorio e sapeva insegnare le tecniche necessarie per suonare qualsiasi strumento. Per noi allievi era un simbolo e, sotto l’aspetto umano, era una persona davvero eccezionale; con i suoi modi sempre pacati, riusciva a trasmetterci concetti e, non poche volte, anche lezioni di vita. È stato fondamentale per la mia crescita musicale e non solo. Conservo ancora oggi nel mio cuore tutti i suoi consigli e le sue raccomandazioni. Non posso dimenticare il nostro ultimo incontro, alcuni giorni prima della sua prematura scomparsa: aveva del materiale da darmi per avviarmi allo studio del rullante, che però, purtroppo, non ho potuto più ricevere.

Altrettanto indimenticabili sono gli episodi della mia “latitanza” dalle lezioni: spesso, invece di ascoltare le lezioni, andavo a giocare a calcio nel campetto dell’oratorio; non di rado gli capitava di beccarmi intento ad assemblare casse e tamburi, perché già all’epoca sentivo dentro di me una sorta di vocazione per le percussioni. Tuttavia, per anni, ho dovuto cimentarmi col clarinetto, spinto anche dai miei genitori che desideravano vedermi in banda; in famiglia abbiamo avuto non pochi diverbi al riguardo, ma fortunatamente, col tempo, tutto si è risolto sotto questo punto di vista».

LA BANDA E SANT’ORONZO

Oggi hai ancora un cattivo rapporto col clarinetto?

«Devo ammettere che ho imparato ad amarlo dopo averlo abbandonato. Iniziai a studiarlo quando avevo circa 10 anni, assieme a mia sorella. Dopo un paio di anni siamo stati inseriti nella banda cittadina, la quale ci ha permesso di vivere momenti davvero emozionanti: su tutti, ovviamente, quello della Festa Patronale, quando la banda arriva di fronte al Municipio per il ricorrente bagno di folla e la sfida contro la banda forestiera presente nel baldacchino in piazza; la marcia “Mosè”, i turesi che acclamano il Santo e che incitano a suonare sempre più forte: l’atmosfera di quei giorni è meravigliosa. Poi abbiamo partecipato anche a vari festival, tra cui, quello più importante, il Festival Internazionale delle Bande in Spagna a Malgrat de Mar. Non di rado ci siamo spostati in Salento per suonare in altre città oronziane come la nostra e, ovviamente, abbiamo suonato a tantissimi funerali. Conservo ricordi fantastici di quegli anni: ancora oggi, quando ascolto la banda passare per il paese, dei brividi accarezzano la mia schiena. Tornando al clarinetto, come dicevo, non ho mai avuto grande trasporto nel suonarlo, perché non lo sentivo mio: sin da bambino ho sempre ricercato, anche inconsciamente, il ritmo delle percussioni; è una passione nata naturalmente, quasi per istinto. A scuola venivo non poche volte rimproverato dai professori e a casa dai miei genitori per il mio costante “tamburellare”, per la mia voglia di percuotere sempre qualcosa e farla così risuonare. Verso i 12 anni mio padre intuì qual era il mio desiderio e decise di acquistare una batteria per permettermi di suonarla e studiarla; prima di abbandonare definitivamente il clarinetto trascorse del tempo, ma questa è un’altra storia. In ogni caso, con l’arrivo della batteria, ho finalmente potuto evolvermi, abbracciando diversi generi musicali, al di là di quello bandistico».

Quale genere prediligi maggiormente?

Live al 'treppizzstock' - 2010

«Piuttosto che fossilizzarmi su un genere in particolare, preferisco cogliere l’essenza della musica nella sua diversità. Per cui mi capita di ascoltare musica classica, come il metal, passando per i canti gregoriani ecc. Non trovo ragione per pormi dei limiti in tal senso. Un po’ come cerco di fare nella vita, sento che sia più utile porsi in una ricerca continua e costante, alimentando la mia voglia di imparare sempre qualcosa di nuovo».

 

DALLA BANDA ALLE BAND

Dopo la banda cittadina, in quali formazioni hai trovato spazio?

«La mia avventura con le band è iniziata circa 11 anni fa, al fianco di Nicolangelo Colapietro, mio storico compagno musicale, e di Leonardo Spinelli, altro giovane talento turese adesso trapiantato a Tenerife, nelle Canarie. In questo trio, assimilabile per stile ai The Police, Nicolangelo suonava la chitarra, Leo il basso ed io la batteria. Abbiamo partecipato ad alcune giornate dell’arte a Conversano, ottenendo ottimi risultati, tra cui un secondo posto nella gara dedicata ai giovani musicisti. Com’è facile intuire, inizialmente, apprezzavo maggiormente il Rock e, più in particolare, il Pop Punk ad esempio dei Green Day che, con mia grande fortuna, ho potuto apprezzare dal vivo allo United Center di Chicago durante una vacanza in famiglia nel 2009».

LA DENUNCIA SOCIALE DEGLI EVA’S BORDERLINE

L'esperienza puk con gli 'Eva's Bordeline'

«Dal 2012 al 2015 ho fatto parte degli Eva’s Borderline, un gruppo punk di Bari ispirato alle sonorità degli L7 e degli Hole. Con loro ho prodotto anche un EP scritto interamente inglese, se non per una singola canzone intitolata “Vivo nel veleno”; il brano in questione parla delle morti bianche dell’Ilva di Taranto e, come tutti gli altri pezzi del disco, racchiude in sé un intento di sensibilizzazione sociale su temi che meritano maggiore attenzione all’interno del dibattito pubblico. Ad ogni modo, per motivi lavorativi e di studio, alcuni componenti hanno dovuto trasferirsi altrove: il gruppo si è sciolto ed io stesso, per un periodo, ho vissuto lontano dalla Puglia».

IL CAJÒN E GLI A SENZIO UNICO

Gli 'A Senzio Unico'

«Al rientro, ho ripreso a suonare, inserendomi con il cajòn all’interno degli A Senzio Unico, una nuova formazione creata con Nicolangelo Colapietro alla chitarra acustica e Giada Tateo alla voce».

Cos’è il cajòn?

«Trattasi di uno strumento a percussione a forma di scatola originario del Perù. Il cajòn viene suonato schiaffeggiando o percuotendo la faccia anteriore (tapa) con le mani e le dita, o talvolta con strumenti come spazzole, mazze o bastoncini. Insomma, parliamo di uno strumento tribale nella sua concezione, impiegato nella musica afro-peruviana, ma anche nel flamenco».

Tornando invece agli A Senzio Unico?

«Con loro abbiamo portato avanti un progetto chiaramente acustico, culminato con il nostro primo album. Abbiamo provato a rivedere il pop sotto una chiave diversa, più originale rispetto agli scenari della musica commerciale italiana».

IL TIMBAU DELL’ASSURD BATUKADA

La stret band 'Assurd Batukada' (2)

«Intanto, da circa 5 anni, faccio anche parte di una street band, ovvero l’Assurd Batukada, una band itinerante in stile afro-brasiliano; suono il timbau, tipico djembè brasiliano di forma conica. La peculiarità di questa street band è l’assenza di fiati: solo percussioni, solo ritmo, ma tantissimo divertimento.

Con loro ho girato tantissimo, tra sagre, feste cittadine e private. Adesso, purtroppo, siamo fermi a causa del Covid-19, ma contiamo di riprendere non appena possibile, più carichi di prima».

IL MISTICISMO E LA MUSICOTERAPIA

Dopo questo rapido excursus, possiamo approdare al presente di “Javi”; la digressione è stata doverosa, oltre che per ragioni informative, ai fini della comprensione degli attuali sviluppi artistici del nostro concittadino. Il desiderio di esprimersi attraverso le percussioni non lo ha mai abbandonato, anzi, col tempo, non ha fatto altro che aumentare.

Il RAV Vast drum

Il tempo, inoltre, accompagna di per sé nuove consapevolezze, nuove istanze, nuovi strumenti alla portata dell’individuo. A tal proposito, volgiamo adesso al termine parlando del RAV Vast drum citato in introduzione ed ultimamente impiegato da Marino Roberto, o meglio, dal suo lato meditativo, portato alla luce forse grazie allo strumento stesso. Il suono di questo particolare Hang Drum richiama infatti le atmosfere incontaminate, mistiche dell’Oriente.

Da quanto suoni questo strumento? Perché ti ha affascinato?

«Da circa 2 anni sto perfezionando la tecnica necessaria per suonarlo a dovere. Il mio Hang Drum è un RAV Vast di fabbricazione russa, diverso dal più noto handpan. A differenza di quest’ultimo, ha un suono più melodico e sostenuto: perciò ne sono rimasto colpito. Inoltre è in grado di rilassarmi notevolmente con la sua sonorità mistica; la nota centrale rimanda all’Aum primordiale: accarezzandola, magari chiudendo gli occhi, permette al corpo di entrare quasi automaticamente in una dimensione di pace e tranquillità. L’ho anche sperimentato nella meditazione alla stregua di una campana tibetana. Per questo adesso sto creando delle melodie Ambient sperimentali che porteranno alla produzione di un album: per adesso non svelo altro; cerchiamo di mantenere per l’appunto l’atmosfera».

Si è parlato di meditazione. È possibile applicare questo strumento nell’ambito della musicoterapia?

«Credo proprio di sì. Grazie al lavoro all’interno della comunità psichiatrica, ho modo di confrontarmi con l’equipe e, tra i tanti laboratori che si organizzano, si sta pensando di integrare quello sulla musicoterapia. Qui non è ancora molto diffusa, ma presto organizzeremo delle sessioni e il RAV Vast sarà senz’altro mio compagno d’avventura».

Per concludere, che significato ha per te la musica?

«Aldilà della retorica, per me la musica è speranza. Concettualmente è l’arte di comunicare attraverso il linguaggio dei suoni e per questo racchiude in sé una forza che a volte le parole non possiedono e non riescono ad imprimere. Il sogno rimane sempre quello di fare della propria passione la professione, ma, a prescindere da questo, la musica mi accompagnerà sempre nel mio percorso di vita in quanto vivo delle emozioni che essa stessa mi trasmette. Cito un aforisma di Michele Sannino che rappresenta appieno il concetto espresso: “Mi lascio bruciare nell’ardore della musica che infiamma la mia anima e fa ardere il cuore di passione”».

LEONARDO FLORIO

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