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Cultura

Le raffinate suggestioni pittoriche di Saverio Costantino

Saverio Costantino

“L’altare dell’infinito”, allegoria dell’amore o rappresentazione simbolica del pensiero e della conoscenza?

A causa del COVID-19, la Pasqua di quest’anno è stata certamente diversa e tutti gli italiani, negli anni a venire, la ricorderanno per questo motivo. Non ne sono esenti anche i turesi, i quali, al mattino, hanno dovuto apprendere la notizia della prematura scomparsa di Saverio Costantino; sui social, quasi immediatamente e ancora in preda allo sgomento, tantissimi concittadini hanno voluto mostrare vicinanza ai familiari di Saverio, condividendo un pensiero personale, scritto col cuore e con la mente ancora a caldo.

Una delle ultime foto con gli 'amici ribelli' - ph G. Marrese

Non è mai semplice prendere atto della scomparsa di una persona a cui si vuole bene, specie se il filo della sua esistenza viene spezzato troppo presto. Tuttavia, è peculiarità degli artisti riuscire ad ingannare la morte, realizzando opere d’arte che, anche al cessare del battito cardiaco, continuano a rimanere sulla Terra e a trasmettere qualcosa in chi le osserva. Per certi versi, dunque, gli artisti sono come le leggende, poiché non muoiono mai; se non altro, al di fuori di ogni retorica iperbole, restano in vita fino a quando viene conservata la memoria delle loro opere.

Questa riflessione, forse eccessivamente ingombrante per essere trattata in maniera esaustiva sulla pagina di un settimanale, trova sostegno anche nel caso di Saverio Costantino, ricordato da tutti come un’intelligenza poliedrica dalle multiformi espressioni artistiche.

IL RICORDO DI EMILIANO

Da sx, A. Cristallo, M. D'addabbo, N. Leogrande, M. Palmisano e Saverio - Ph G. Marrese

“Descrivere chi è stato Saverio Costantino non è difficile. Grande talento attivo su più fronti: attore, musicista, autore televisivo, pittore e scultore. La lista dei suoi riconoscimenti pittorici abbraccia tutto il mondo di cui lui è stato anche ambasciatore, divulgatore e fondatore di colonie artistiche in nazioni svantaggiate come la Serbia, l’Albania e la Polonia. Grande sensibilità artistica e soprattutto umana. Il suo laboratorio d’arte è stato per quarant’anni anche fucina di talenti, oggi, affermati professionisti, figli spirituali che riconoscono in lui la luce della libertà e l’eleganza nei modi d’essere unici. Padre presente, amico sensibile, punto di riferimento e maestro di vita. Ecco chi è stato Saverio e chi ha avuto la fortuna e l’onore di conoscerlo conserva in sé la scintilla della sua alchimia” – ci scrive Emiliano, suo figlio.

“LA SCINTILLA DELLA SUA ALCHIMIA”

“La scintilla della sua alchimia” è un’immagine, oltre che meravigliosa, perfetta, poiché in grado di riassumere il senso di cosa voglia dire trasmettere a qualcuno qualcosa, nel caso in cui quel qualcuno sia un figlio, un discepolo o un fruitore e che quel qualcosa sia una prospettiva sul mondo, una tecnica da apprendere o un più generico messaggio da far proprio.

Dentro di noi conserviamo i volti e gli insegnamenti dei nostri nonni e, attraverso loro, degli avi che non abbiamo mai conosciuto e che, ciononostante, abitano la nostra identità seppur in un remoto anfratto del nostro inconscio: per tale ragione, il patrimonio culturale che di generazione in generazione viene ereditato, e pedissequamente arricchito, ha un valore economico, oltre che affettivo, inestimabile; in altre parole, non ha prezzo.

In ossequio a quanto appena detto, procediamo con l’analisi di uno dei tanti dipinti realizzati da Saverio Costantino, avvertendo i lettori che si tratta di un’interpretazione critica del tutto legata alla soggettività di chi in questo momento scrive. Ogni opera, in quanto simbolo, rimanda a dei significati e perciò, come insegna su tutte l’arte contemporanea, può suscitare nei vari fruitori diverse risposte emotive e intellettuali.

L’ALTARE DELL’INFINITO

La produzione artistica di Saverio Costantino si concretizza in un repertorio enorme, frutto di decenni di lavoro. In questa sede, analizzeremo “L’altare dell’infinito”, datato 1996. Essendo il nostro settimanale, nella sua forma cartacea, in bianco e nero, invitiamo i lettori a seguire la pagina Facebook “Turiweb.it” per poter osservare l’opera a colori; nelle sue tinte delicate, ma non per questo piatte o prive di luminosità, il dipinto rimanda alle xilografie giapponesi che tanto furono di ispirazione per Vincent Van Gogh. L’atmosfera onirica dei paesaggi, in cui sono spesso avvolti, come estraniati, i soggetti dei suoi dipinti, avvicina Saverio Costantino alla corrente del Surrealismo, portato alla ribalta da Dalì, e alla Metafisica di cui fu massimo esponente De Chirico.

Il fascino intellettuale di Costantino risiede nella simbologia adoperata in molti dei suoi quadri: a tal proposito, analizzando “L’altare dell’infinito”, si potrebbe speculare per giornate intere. Ogni artista ha una visione interiore che, attraverso il proprio strumento, prova ad esternare; dopodichè, come avvenuto in maniera esemplare col pittore fiammingo Hieronymus Bosch, la critica prova a dare una propria lettura, talvolta scomodando dottrine parallele all’arte, come ad esempio la psicoanalisi. Comprendere un’opera, dunque, significa comprendere la mente di chi l’ha prodotta.

“L’altare dell’infinito”

Procedendo dai margini verso l’interno, “L’altare dell’infinito” presenta una cornice, elemento spesso ricorrente nei quadri di Costantino; alla stregua della “Madonna” di Munch, il pittore turese impiega questo spazio in maniera attiva, inserendo dei simboli e rendendo la cornice parte stessa del quadro. Tra l’altro, in questo caso, essa coincide con la cornice di una finestra in pietra: da qui, l’identità quadro-finestra. Sui due lati della cornice ritroviamo due donne molto simili, entrambe in piedi e legate ad una verga; le differenti sommità di questi due bastoni sono un chiaro riferimento al dualismo della realtà, riproposto poi dai due pesci, e alla fecondità intellettuale di quest’ultimo. Ai piedi dei due profili femminei, troviamo due anfore rovesciate: l’acqua che si riversa, in entrambi i casi, sembra ad un certo punto avvilupparsi e cambiare stato di aggregazione, per poi svilupparsi nuovamente e terminare in due forme simboliche, ancora una volta, come le verghe, diverse ma molto simili.

Il tema, supponiamo, è quello della dualità, degli opposti che si incontrano, magari dopo essersi osservati a distanza, come i due profili maschili seduti nella parte alta del quadro: forse, più che il semplice dualismo, il riferimento è alla simmetria reciproca e complementare che sussiste tra due amanti o tra i due emisferi della nostra mente.

L’idea che questo quadro possa essere un’allegoria del pensiero di cui è capace l’essere umano spiegherebbe anche il senso del libro aperto sul davanzale della finestra: i libri possono aprire una prospettiva conoscitiva, un ponte di congiunzione tra due aree di significato (le due lande desolate dal contorno sinuoso e frastagliato) fino a quel momento separate. I libri inoltre danno un senso di libertà al viaggio che i nostri pensieri (i gabbiani) intraprendono verso la conoscenza (l’isola). O forse, come dicevamo poc’anzi, Saverio Costantino ha provato a rappresentare l’armonioso incontro di due amanti, felici di incontrarsi e, nell’incontro stesso, di armonizzarsi. D’altronde, similmente al celeberrimo Uroboro, i due pesci che si incontrano simboleggiano l’infinito.

Tuttavia, forse in maniera errata, non vogliamo abbandonare la prima interpretazione legata al pensiero e alla conoscenza, alla luce del Sole bianco che campeggia immobile nel cielo e, soprattutto, del gallo, simbolo del risveglio, dipinto in alto, all’interno del metaforico “terzo occhio” della finestra: se ciò su cui poggia è un riferimento alla trinità, il cerchio si chiuderebbe, in quanto è nell’idea di Dio che risiede la massima conoscenza. Questo però non possiamo dirlo e forse in quest’interpretazione siamo andati del tutto fuori strada. Resta agli atti però la capacità suggestiva di questo dipinto, realizzato da un corpo che qualche giorno fa si è spento, ma da una mente che, fino a prova contraria, continua tutt’oggi a brillare.

UNA PORTA DEL CENTRO STORICO

Avremmo concluso l’articolo con il beneficio e la condanna del dubbio, tuttavia siamo stati raggiunti telefonicamente da Emiliano Costantino, figlio di Saverio, assieme al quale abbiamo avuto modo di chiarire ed entrare nel merito di alcuni aspetti interpretativi.

Grazie al suo prezioso contributo, infatti, veniamo a conoscenza della fede cristiana di suo padre e, più nello specifico, di una profonda devozione nei confronti di San Francesco: indi per cui, nei due pesci è possibile scorgere un riferimento a Gesù Cristo, nel senso di “ichtýs”, ovvero l’acronimo in greco antico usato dai primi cristiani per indicare il figlio di Dio; il gallo di cui prima, invece, è una più appropriata colomba per l’appunto posata sul simbolo della trinità. Permane il dualismo delle due cariatidi e delle verghe a cui sono legate – in realtà meglio interpretabili come il bastone impugnato nella Bibbia da Mosè – sulle cui estremità troviamo rispettivamente la simbolizzazione del grembo vergine e materno. Dalle anfore, tradotte in fonti di vita, sgorga dell’acqua che, in fondo al quadro, materializza dei simboli: trattasi di simboli ancestrali, attinti dai trulli di Alberobello. Anche in questo caso il richiamo è alla fecondità e alla famiglia che, al centro del quadro, si trasforma in un’isola felice.

Restituita al dipinto l’originaria dignità spirituale, Emiliano sottolinea un dettaglio: il davanzale su cui è poggiato il libro, in realtà, è il classico gradino in pietra di accesso alle abitazioni del nostro centro storico, ragion per cui, oltre che come una finestra, quest’ultima può essere intesa come una porta.

LEONARDO FLORIO

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