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Cultura

“Per grazia ricevuta”

L'ex voto turese

Il Vescovo Oronzo, Santo taumaturgo, per la seconda volta
salvò la nostra città dalla peste

L’ormai nota passione per la ricerca di Stefano De Carolis in queste settimane si è indirizzata sul tema della peste scoppiata nel 1690-92 in Terra di Bari, approfondendo anche il filone riguardante l’arte e la devozione. E i frutti di questa dedizione alla musa della storia iniziano a maturare.

Questa volta l’attenzione dello studioso turese si è fermata su due ex voto. Il primo “per grazia ricevuta” è il dipinto, olio su tela, custodito all’interno dell’ufficio di gabinetto del sindaco. «Il piccolo dipinto – spiega De Carolis – si trovava da secoli all’interno del cappellone di Sant’Oronzo. Una ventina di anni fa, a seguito della sparizione e dei furti di alcune sculture, vari arredi sacri, fucili e altri ex voto, avvenuti negli anni e mai denunciati, il sindaco presentò ai Carabinieri una dettagliata denuncia di furto. Nel contempo, all’allora sindaco venne suggerito di mettere in sicurezza la chiesa e l’annessa grotta con i suoi tesori. Il dipinto in questione venne trasferito in Municipio, dove ancora oggi fa bella mostra». «Si tratta – aggiunge de Carolis – di un’interessante e pregevole opera d’arte devozionale, di pittore ignoto, tra i più belli ex voto catalogati in Puglia».

Ad attirare la curiosità del nostro concittadino, alcuni particolari iconografici finora trascurati: «Il malato, con molta probabilità, ha in mano un pezzo di stalattite, staccato quasi certamente della grotta di Sant’Oronzo. Infatti, come accadeva per le altre grotte oggetto di devozione a santi e madonne, anche nella Grotta di Turi, ritenuta miracolosa, da secoli i devoti turesi e quelli delle città limitrofe vi si recavano in pellegrinaggio e, nell’occasione, prelevavano piccoli pezzi di pietra o attingevano l’acqua prodotta dallo stillicidio carsico, in quanto ritenuta miracolosa per guarire dalle malattie. L’aspetto più interessante a carattere iconografico è che il malato mostra ai due astanti, verosimilmente un medico-cerusico e un deputato della salute, la propria gamba con una ferita guarita. Un dettaglio che potrebbe far riferimento alla peste. Basti pensare alla classica iconografia di San Rocco».

Altro indizio a sostegno della lettura di De Carolis, che correla il quadro, con molta probabilità, con una guarigione dal bubbone della peste, è la presenza di Sant’Oronzo, intento ad additare con l’indice l’avvenuto “miracolo” e la concessione della grazia.

«Molto probabilmente, il condizionale è d’obbligo, siamo di fronte ad un ex-voto commissionato durante o a seguito della peste del 1690-92, o ad una successiva ondata di peste scoppiata in Puglia nel 1708. Tra l’altro – continua lo studioso turese – oltre a quella scoppiata a Messina nel 1743, durante il ‘700 non si conoscono in Puglia altri contagi di peste. Tuttavia, non avendo una datazione certa del dipinto, possiamo ricavare elementi utili a collocarla temporalmente attraverso lo studio e l’analisi dell’abbigliamento».

Il mezzo busto realizzato da Domenico Gigante (1961)

I due gentiluomini al cospetto del malato, indossano la “sciamberga” (o giambèrga), un abito tipico della moda francese, adottato dalla nobiltà del regno di Napoli verso la fine del 1600: «Ho ritrovato il documento – precisa De Carolis – con cui il Vicerè di Napoli nel 1672 istituisce questo nuovo modo di “vestire con sciamberga” per i nobili napoletani e per quelli di Terra di Bari. Rimane un dubbio sul tipo di cappello “bicorno” indossato dall’uomo appoggiato al letto del malato: ad una prima lettura il cappello pare essere della prima metà del ‘700, tuttavia non è da escludere che fosse stato introdotto proprio con la “sciamberga” negli ultimi anni del ‘600».

Il mezzo busto argenteo di Sant’Oronzo

Nessun margine di incertezza, invece, sul secondo ex voto, relativo al mezzo busto argenteo di Sant’Oronzo, custodito presso il Museo Diocesano di Lecce. Anche in questo caso si tratta di un ex voto che lo studioso turese è riuscito a mettere in correlazione con la peste di Terra di Bari scoppiata nel 1690-92.

«Qualcuno erroneamente – ci racconta – aveva indicato il 1761 come anno di realizzazione dell’opera, collegandola al terremoto del 1743. Invece, ho appurato che la statua è datata 1691. Analizzando le fonti documentali, infatti, si apprende che verso la fine del 1690 un argentiere e orafo leccese, tale Domenico Gigante, maestro di pregio operante a Napoli, volle realizzare e donare il mezzo busto di Sant’Oronzo (in argento a sbalzo e pietre preziose) a devozione e in onore del Santo Patrono, primo Vescovo di Lecce, che nel 1656, “annus horribilis”, grazie alla sua intercessione aveva salvato l’intero popolo salentino dal contagio di peste bubbonica.

Il particolare della baseIl primo giugno 1691, allorquando in Terra di Bari imperversava la peste, da Napoli arrivò la sospirata opera del Gigante, che venne accolta a Lecce con tanta gioia e preghiera; lo stesso giorno con una solenne processione venne portata nella chiesa dei padri Olivetani di Lecce. Il tre giugno, con le porte della città chiuse, una grande processione – formata da preti, religiosi, militari, 1600 fedeli con le torce in mano, confraternite, fuochi d’artificio e campane suonate a festa – accolse solennemente il Santo nella Cattedrale, chiedendo la protezione dal contagio di peste».

«Ulteriore conferma – chiosa De Carolis – arriva anche dal particolare posto alla base della statua argentea, dove si può notare la classica rappresentazione della peste in atto: Sant’Oronzo sovrasta la città di Lecce per proteggerla con l’aiuto di un angelo sterminatore che brandisce la spada che scaccerà l’epidemia dalla città».

FD

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